Film sull’ascesa e la caduta di Dan Rather e Mary Mapes per l’inchiesta su Bush

I giornalisti eroi di “Truth” al Festival di Roma

Mary Mapes

Mary Mapes

Dan Rather

Dan Rather

ROMA – “Questa storia ha creato grande scalpore, io non ho visto 60 Minutes, ma quel che è seguito. Poi ho letto il libro di Mary Mapes, e l’ho contattata: il giornalismo mi affascina da sempre, avevo anche pensato di diventare giornalista. Poi l’ho incontrata, Mary è una donna straordinaria, e ho pensato che valeva la pena farlo questo film”.
Parola di James Vanderbilt, stimato sceneggiatore hollywoodiano (“The Amazing Spiderman”), che apre la decima edizione della Festa di Roma con il suo esordio alla regia, “Truth”, interpretato da Cate Blanchett e Robert Redford.
Dal 5 gennaio nelle nostre sale con Lucky Red, il film ripercorre lo scandalo che rischiò di far fallire la CBS nel 2004: l’8 settembre di quell’anno, infatti, “60 Minutes” aveva mandato in onda un reportage investigativo, prodotto da Mary Mapes (Blanchett) e condotto da Dan Rather (Redford), che rivelava prove circa il mancato assolvimento, tra il 1968 e il 1974, dei propri obblighi di pilota nella Guardia Nazionale dell’aeronautica del Texas da parte di George W. Bush, futuro presidente degli States. Ma i documenti a supporto dell’inchiesta vennero denunciati quali falsi, e lo staff di “60 Minutes”, accusato di cattivo giornalismo, finì nell’occhio del ciclone mediatico e non solo…
Il film è tratto dal memoir della Mapes “Truth and Duty: The Press, the President and the Privilege of Power”.
“Siamo partiti da lì – dice Vanderbilt – ho passato tanto tempo con Rather e la Mapes, ed è dal suo punto di vista che vediamo i fatti. Ma siamo stati attenti a non inventare nulla: dati fatti e documenti sono accurati, viceversa, per noi la parte più difficile è stata arrivare alla verità emotiva della storia”.
“Da quando avevo sei anni – prosegue il regista – Rather è stata la voce che ci portava a in casa le notizie, al contrario, oggi queste voci sono 10mila: è indubbio, siamo a una svolta, meglio, raccontiamo la prima volta che internet influenzava l’evoluzione notizie. Un momento capitale nella storia del giornalismo e della comunicazione, ma non solo: quella di Rather fu la caduta di un re scespiriano, ignaro finché appunto non cadde”.
Vanderbilt non ha “voluto dare risposte, ma interrogativi: sta a voi decidere”, ma parla di “giornalisti eroi: è un professione importantissima, ci mantiene in uno stato di sanità mentale come dice Mary. Bisogna porre domande scomode, è importante continuare a porle a chi è al potere”. Ma Mapes, Rather e gli altri del team di “60 Minutes” che sono? Colpevoli, responsabili o sconfitti? “Sono esseri umani, ed è interessante quanto ha detto Dan: ‘il giornalismo è la bozza della storia, ma solo una bozza’. Tutti loro cercavano di fare bene il proprio lavoro, anche se a volte è impossibile: ecco perché questo titolo, Truth, tutti tentano di trovare la verità, che però può sfuggire. E allora crollano le carriere, non è più consentito fare il proprio lavoro: sì, c’è del tragico”.
Sull’accoglienza del film negli Usa, Vanderbilt precisa: “Sapevamo che non c’era alcun modo di fare questo film per accontentare tutti: la Cbs ha fatto la sua dichiarazione, ovviamente nessuno di noi si immaginava ci potesse ringraziare… Ma non credo siamo stati troppo teneri con Dan e Mary, del resto, raccontiamo la sfida professionale più drammatica che hanno avuto, come hanno perso un lavoro che era il sogno della loro vita. Davvero secondo voi siamo stati troppo teneri? L’ultima ora è come un incidente stradale al ralenti: non siamo stati troppo teneri, abbiamo narrato con onestà”.
Sul fronte giornalistico, Vanderbilt osserva come “oggi è difficile fare giornalismo di indagine: ci vuole una vita per mettere insieme una notizia, ma non viene più concesso il tempo per farlo, ed è una perdita molto grossa”, mentre del lavoro con la Blanchett dichiara: “Cate si fa un culo così, scusate il francesismo, è una lavoratrice incredibile. Dopo l’Oscar, voleva un regista alle prime armi. Ha approfondito moltissimo per capire che lavoro è, quello della produttrice, e ha fatto propri anche i minimi dettagli. sentire cos’è quel lavoro, storie che ti portano dietro le quinte, quando controlli e-mail, piccoli dettagli”.
Infine, il regista e sceneggiatore, insieme ai produttori, nega che Truth prenda posizione sulla famiglia Bush, né che possa influenzare negativamente la campagna presidenziale di un altro Bush, Jeb: “Già in ‘Tutti gli uomini del presidente’ il lavoro di Redford non riguardava Nixon, ma qualcos’altro. Come qui”. (AdnKronos)

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