Dal dibattito di Vibo Valentia una chiamata a raccolta della Calabria degli onesti

I giornalisti a Polsi per dire no alla ’ndrangheta

Da sinistra: Antonello Fuscà, Carlo Parisi, Giuseppe Soluri, don Pino Strangio e (in seconda fila): Luciano Regolo, Michele Albanese e Karen Sarlo

Da sinistra: Antonello Fuscà, Carlo Parisi, Giuseppe Soluri, don Pino Strangio e (in seconda fila): Luciano Regolo, Michele Albanese e Karen Sarlo

VIBO VALENTIA – Una manifestazione antimafia al Santuario di Polsi, una chiamata a raccolta della Calabria degli onesti in tutte le sue articolazioni per dire no alla ‘ndrangheta. È la proposta lanciata dal direttore de “l’Ora della Calabria”, Luciano Regolo, consigliere nazionale Fnsi, al dibattito su “Chiesa, ‘ndrangheta, informazione, tre facce della stessa medaglia”, che si è svolto oggi alla Provincia di Vibo Valentia. Proposta fatta propria dall’Ordine e dal Sindacato Giornalisti della Calabria.
Un titolo impegnativo per una discussione “senza rete” dopo le vicende degli “inchini” ai boss nel corso di alcune processioni religiose, del monito di Papa Francesco contro tutte le mafie e delle polemiche scatenate dalla relazione della Dna sui troppi silenzi che, in passato, hanno caratterizzato l’approccio della Chiesa al fenomeno della criminalità organizzata.
Il dibattito, organizzato dal Rotary Club di Vibo Valentia, ha visto la partecipazione degli studenti di tre istituti superiori vibonesi. Ha moderato la giornalista della Tgr Rai, Karen Sarlo, mentre l’introduzione è stata affidata ad Antonello Fuscà, presidente del Rotary Club di Vibo, che ha evidenziato il significato dell’iniziativa tesa ad «animare una profonda riflessione e costruire una nuova etica sociale».
Il primo a intervenire è stato don Pino Strangio, rettore del Santuario di Polsi, che in modo appassionato ha voluto sfatare il “luogo comune” di Polsi come teatro dei summit di ’ndrangheta: «Non condivido il titolo di questo dibattito perché la Chiesa nel suo insieme ha contrastato e contrasta la mafia. Chi dice il contrario dice una bugia. E poi – ha aggiunto don Pino Strangio – vorrei vedere che cosa farebbe lo Stato nella Locride se non ci fosse la Chiesa. E rivendico il fatto di non essere un investigatore, perché io sto solo con Gesù Cristo».
Il giornalista del “Quotidiano del Sud” Michele Albanese, consigliere nazionale Fnsi, ha ripercorso la sua storia di cronista «costretto a vivere con la scorta per aver semplicemente fatto il mio dovere». «Le mie vicende di scorta – ha, ancora una volta, sottolineato Albanese – non sono legate all’inchino di Oppido, ma a ben altre vicende». Quindi, ha osservato: «La Chiesa ci ha insegnato a dire la verità e noi dobbiamo dire la verità, se non diciamo la verità non facciamo un buon servizio alla Calabria e a luoghi come Polsi. E dobbiamo smetterla – ha proseguito Albanese – di dire che le responsabilità sono sempre degli altri: bisogna dire chiaramente da che parte stare, io sto dalla parte della verità, della libertà e della giustizia».
Luciano Regolo ha ricordato l’odioso “bavaglio” subito alla direzione de “l’Ora della Calabria” aggiungendo: «Il nostro compito è quello di perseguire la verità e la trasparenza. Papa Francesco ha chiaramente detto che i sacerdoti devono scendere in campo e lottare. Assumere atteggiamenti tiepidi significa legittimare la mafia. Ho appena letto una riflessione del vescovo di Locri, monsignor Oliva, su Polsi e sono rimasto francamente molto perplesso. Va bene difendere un luogo mariano, ma la condanna alla mafia dev’essere il primo passo. La Chiesa su questo terreno può e deve produrre uno sforzo ancora più grande. Da questa platea di Vibo lancio la proposta di una fiaccolata o di una manifestazione a Polsi con i giornalisti e con tutta la Calabria onesta che non vuole più sottostare al dominio della ‘ndrangheta e dei poteri forti».
Il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Calabria, Giuseppe  Soluri, ha rilevato che «spesso la Chiesa ha assunto un atteggiamento “agnostico” nei confronti del fenomeno mafioso, ma adesso il vento è cambiato grazie alla testimonianza di Papa Francesco. È necessario un impegno collettivo. Il compito della stampa è quello di accendere i riflettori su chi si batte contro la mafia, ma anche di denunciare la pervasività della criminalità organizzata». Soluri ha poi citato i “Promessi Sposi” nei quali – ha detto – «troviamo la Chiesa di don Abbondio, debole e infingardo, e la Chiesa di Frà Cristoforo, coraggioso. Noi dobbiamo rifiutare la Chiesa di don Abbondio ed essere vicini alla Chiesa di Frà Cristofaro e Papa Francesco».
Infine, l’intervento del segretario del Sindacato dei giornalisti, Carlo Parisi, della Giunta esecutiva Fnsi: «Non si può ignorare un messaggio dirompente come quello di Papa Francesco che, nei giorni scorsi a Napoli, ha detto che “la mafia puzza”. Io – ha proseguito Parisi – non mi scandalizzo se un sacerdote parla con un mafioso per convertirlo: è la sua missione, lo insegna il Vangelo. Ma gli uomini di Chiesa, nei loro sermoni, devono essere estremamente chiari: devono dire le cose come stanno, condannare senza appello. La ‘ndrangheta esiste, è forte, cinica e spietata e, come tutte le mafie, oggi non è più coppola e lupara, ma, in giacca e cravatta, è dentro le istituzioni; si manifesta negli “accorduni” con la politica, nei disservizi, nelle mancanze della pubblica amministrazione”.
“Il messaggio che bisogna lanciare ai nostri giovani – ha sottolineato Carlo Parisi – è lo stesso che deve animare noi giornalisti: non fare sconti a nessuno. Agli studenti, in particolare, il compito di studiare seriamente rifiutando la cultura mafiosa che, quotidianamente, anima e si annida nei nostri atteggiamenti apparentemente più banali: le piccole prepotenze, i soprusi, le raccomandazioni, i favori spiccioli, le scorciatoie”.
“I figli dei boss – ha ammonito il segretario del Sindacato dei giornalisti – studiano nelle migliori università del mondo e se vogliamo scongiurare che proseguano la loro opera criminale, con più potenza dei loro padri, dobbiamo studiare e imparare meglio e più di loro. Solo così possiamo combatterli e sconfiggerli, riappropriandoci della nostra terra, del nostro lavoro e della nostra vita. Un’impresa, oggi più di ieri, dura, ma possibile grazie all’opportunità di leggere e studiare ad ogni latitudine anche senza disporre dei patrimoni dei boss. È necessario, però, avere tanta voglia di imparare e di crescere, nell’onesta e nella legalità, amando e rispettando la scuola senza viverla come un peso, ma con entusiasmo. L‘entusiasmo di chi vuole vivere, con il sorriso sulle labbra, una vita normale in un Paese normale».

I commenti sono chiusi.