I deputati Pd Michele Anzaldi, Alessia Rotta e Marco Di Maio fanno ricorso al Tar

Giornalisti: annullare la formazione obbligatoria

Michele Anzaldi

Michele Anzaldi

Marco Di Maio

Marco Di Maio

Alessia Rotta

Alessia Rotta

ROMA – “Abbiamo presentato un ricorso al Tar contro il Regolamento che obbliga i giornalisti ai corsi di formazione obbligatoria, chiedendone l’annullamento. È stata disposta, infatti, un’applicazione burocratica della riforma Severino degli ordini professionali, che ha finito con il danneggiare i cronisti”. I deputati giornalisti del Partito Democratico, Michele Anzaldi (Lazio), Alessia Rotta (Veneto) e Marco Di Maio (Emilia Romagna), assistiti dagli avvocati Matteo Adduci e Pasquale Mosca, annunciano così, “a tutela della propria professionalità e dell’attività parlamentare da loro svolta”, la presentazione del ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio nei confronti del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e del Ministero della Giustizia (resistenti) e dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio (controinteressato) per l’annullamento previa sospensiva del Regolamento Formazione Professionale Continua degli iscritti all’Ordine dei giornalisti, pubblicato nel Bollettino Ufficiale del Ministero della Giustizia n. 4 del 28 febbraio 2015 e di tutti gli atti presupposti e conseguenti.
Insomma, a giudizio dei tre deputati giornalisti “una più attenta istruttoria avrebbe dovuto indurre il ministro vigilante ad evidenziare che il Regolamento Formazione Professionale Continua degli iscritti all’Ordine dei giornalisti è erroneamente modellato su quello delle altre professione senza tener conto della peculiarità della professione di giornalista.
Sarebbe stato opportuno valutare la circostanza che gli altri professionisti hanno un contatto diretto con il cliente o l’utente e svolgono la propria attività prevalentemente in regime di lavoro autonomo. L’attività del giornalista, invece, è nella stragrande maggioranza dei casi svolta mediante un rapporto di lavoro di natura subordinata, regolato dal Cnlg, inserito in una attività imprenditoriale. L’opera del singolo giornalista è mediata dall’organizzazione aziendale; esemplificativamente, l’opera del redattore è supervisionata dal caposervizio e/o dal caporedattore e/o dal vicedirettore e/o dal direttore responsabile. Vi è altresì la responsabilità dell’editore. L’interesse pubblico, in altri termini, è garantito dalla particolare organizzazione aziendale ove l’attività è svolta”.
I giornalisti operano, infatti, in un perimetro professionale ben diverso dalla altre categorie. “Non aver tenuto conto nella redazione del Regolamento di queste peculiarità – incalzano Anzaldi, Rotta e Di Maio – rappresenta un’evidente criticità dell’attività di formazione prevista. Infatti, non può non evidenziarsi che all’interno di ogni attività editoriale l’opera di formazione è continua da parte dei più esperti nei confronti dei più giovani, da parte di chi ha più responsabilità di vigilanza e controllo nei confronti dei collaboratori, da chi ha particolari specializzazioni nei confronti di chi si avvicina per la prima volta ad esse. In buona sostanza, in sede consultiva potevano essere proposte le modifiche per eliminare queste criticità ed evitare i profili di illegittimità di cui ai motivi di ricorso successivi”.
I deputati ricordano anche che l’articolo 45 del Contratto nazionale di lavoro giornalistico Fieg-Fnsi prevede che il giornalista usufruisca di un continuo aggiornamento professionale. La norma contrattuale, intitolata “Aggiornamento culturale professionale” stabilisce che “Le parti, allo scopo di soddisfare l’esigenza di un costante aggiornamento culturale-professionale dei redattori, attraverso una regolamentazione concordata a livello aziendale, convengono quanto segue: – le aziende, in relazione alle specifiche esigenze ed alle disponibilità, d’intesa con le direzioni e i comitati o fiduciari di redazione, avvieranno a tale scopo iniziative determinandone programma, durata, modalità di svolgimento e di partecipazione; – ciascuna azienda favorirà la partecipazione dei singoli giornalisti ai corsi di aggiornamento, seminari, iniziative culturali professionali attinenti le loro specifiche competenze previo parere del direttore sulla base di idonea documentazione; è rinviata alla sede aziendale la regolamentazione degli aspetti relativi ai periodi di permesso retribuito e di concorso alle spese; le Federazioni contraenti promuovono e organizzano annualmente e congiuntamente – in collaborazione con gli organismi professionali – corsi nazionali o di aggiornamento culturale-professionale, stabilendone di volta in volta programmi, durata, modalità di partecipazione dei giornalisti e concorso delle aziende agli eventuali oneri. Le Federazioni medesime valuteranno periodicamente i risultati delle esperienze realizzate a livello aziendale in materia di aggiornamento professionale”.
“Questo articolo del Cnlg – denunciano Anzaldi, Rotta e Di Maio – dimostra efficacemente la peculiarità ed unicità della professione giornalistica, nonchè le differenze con le altre professioni vigilate dal Ministero della giustizia. Evidenzia, altresì, la carenza di istruttoria, l’eccesso di potere e la contraddittorietà del Regolamento impugnato. Infatti, ai sensi del Cnlg sono tenuti alla formazione professionale soltanto i redattori e ruolo determinante nella individuazione dei percorsi formativi hanno le aziende, i direttori e i comitati o fiduciari di redazione. Questa impostazione è sicuramente più coerente con l’attività giornalistica, in quanto il professionista viene indirizzato verso attività idonee alla sua crescita nell’ambito aziendale. Viceversa, il Regolamento non tiene conto nè dei ruoli apicali attribuiti all’interno dell’azienda (direttore, vicedirettore, caporedattore, caposervizio) nè dell’anzianità dell’iscrizione all’albo. Il percorso formativo è obbligatorio per tutti e, in buona sostanza, affidato alla scelta del singolo, il quale paradossalmente potrà adempiere all’obbligo dei crediti partecipando ad eventi per nulla attinenti alle proprie competenze”.
Michele Anzaldi, Alessia Rotta e Marco Di Maio, infine, evidenziano che il Regolamento presenta evidenti criticità, laddove non ha stabilito le sanzioni e la gradazione delle stesse in caso di omesso o insufficiente adempimento dell’obbligo formativo. Carenza che “diventa macroscopica laddove tra le esenzioni – a differenza del Regolamento adottato dal Consiglio Nazionale Forense – non sono stati contemplati i giornalisti «sospesi dall’esercizio professionale, ai sensi dell’art. 20, comma 1 della legge professionale, per il periodo del loro mandato»; coloro che vantano «venticinque anni di iscrizione all’albo, o dopo il sessantesimo anno di età»; i componenti di organi con funzioni legislative e i componenti del Parlamento europeo; i docenti di ruolo e i ricercatori confermati delle università nelle materie ….».
Non aver previsto nel Regolamento queste esenzioni dalla formazione continua, determina una disparità di trattamento tra professionisti chiamati a svolgere funzioni costituzionali e, quindi, è in contrasto con gli artt. 3, 4 e 23 della Costituzione. In buona sostanza l’avvocato parlamentare europeo o nazionale, consigliere regionale etc, può dedicarsi pienamente all’attività legislativa, senza incorrere in sanzioni da parte del proprio ordine di appartenenza. Il giornalista non è esentato dalla formazione continua e, quindi, o sottrae tempo ed energie alla propria attività istituzionale o incorre in sanzioni da parte dell’ordine a cui è iscritto.
Il Consiglio Nazionale dei Giornalisti, pertanto, è incorso nella violazione di norme costituzionali, nella disparità di trattamento, nell’eccesso di potere, non avendo introdotto esenzioni palesemente eque, razionali e previste per altre categorie professionali. Una istruttoria più attenta, magari svolta mediante il coinvolgimento degli iscritti e dei consigli dell’ordine regionali avrebbe sicuramente ovviato queste carenze ed illegittimità”. (giornalistitalia.it) Il ricorso al Tar del Lazio

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