Massimiliano Borgia: “Si recensiscono solo ristoranti, invece ci vorrebbe la cronaca”

“Giornalismo nel piatto? Una minestra mal cotta”

Il master chef Antonino Cannavacciuolo

Il master chef Antonino Cannavacciuolo

VERCELLI – Giornalismo nel piatto? “Spiace dirlo ma è una minestra mal cotta”. Parola del giornalista enogastronimico Massimiliano Borgia, piemontese di Torino che, accantonata la laurea in lettere, si è dedicato ai problemi dell’alimentazione.
“L’informazione su cibi e cucina – precisa – sarebbe molto richiesta. Basta accendere la tv per assistere alla preparazione di ricette. I programmi come ‘la prova del cuoco’ o ‘cotto e mangiato’ occupano intere mattinate e pomeriggi. Ma non compaiono mai giornalisti. Il messaggio alimentare è affidato ai Canavacciuolo e ai vari master chef”.

Massimiliano Borgia e Paoletta Picco

Massimiliano Borgia e Paoletta Picco

Introdotto e sollecitato da Paoletta Picco, pure giornalista pubblicista, esperta di turismo ed enogastronomia, Borgia, ospite nell’aula magna del Liceo Avogadro di Vercelli, ha tracciato un bilancio di questo tipo di specializzazione giornalistica. Che, a suo giudizio, al momento, è assolutamente insufficiente.
Del resto, pure lui ci è arrivato abbastanza per caso. Ha iniziato come collaboratore con le testate locali del Piemonte con la speranza di diventare professionista.
Il sogno è svanito. Che fare? Si è specializzato, prendendo una strada poco frequentata, quella del giornalismo alimentare e ha aperto un blog: “Spazi food Piemonte”. Il cibo non serve solo a nutrire, ma caratterizza un territorio e lo identifica. Purtroppo, oggi, la globalizzazione ha mescolato le carte per cui è possibile trovare qualunque piatto in qualunque parte del mondo.
Ma questo imporrebbe una migliore consapevolezza del cittadino consumatore (che dovrebbe essere in grado di leggere le etichette) e del giornalista (che dovrebbe essere un tramite affidabile di informazione).
In tre anni, le denunce alimentari si sono quintuplicate. Le multinazionali avrebbero il dovere di indicare chiaramente la composizione degli alimenti ma non sempre lo fanno.
Il giornalista potrebbe subentrare in questo ruolo di controllo ma, purtroppo, non si specializza convenientemente in questo settore e, dunque, non c’è.
Il giornalismo alimentare, adesso, si limita alle recensioni di ristoranti (meglio se con la stella Michelin), va alla scoperta di quelli nuovi e parla a gente esperta con il palato fine. Discorsi all’interno di una cerchia ristretta di gourmet. Invece, il giornalista dovrebbe occuparsi dell’informazione alimentare come il cronista tratta la cronaca. Se i Nas sequestrano un carico di cibo perché non è a norma chi lo scrive? E con quanta competenza? Oppure: se si sospetta che le carni rosse procurino il cancro (come si diceva qualche anno fa) chi se ne occupa? E come?
Nelle redazioni, non esiste un giornalista nutrizionale quindi va un generico cronista che è impreparato su queste tematiche e, dunque, propone un resoconto altamente superficiale. Qualche volta, deve affidarsi a Internet dove le fake news sono in agguato. Occorrerebbe un esperto di cibi, di norme igieniche e di percorsi alimentari. Alcuni prodotti sono da consigliare mentre la consumazione di altri procura rischi alla salute. I giornalisti, oggi, che ne sanno? La questione alimentare riguarderebbe anche settori come lo sport.
Un tempo bastava raccontare una partita di calcio, l’allenamento degli sciatori o la tattica di una squadra di pallacanestro. Oggi, non è inutile prendere in esame anche il segmento delle diete che gli atleti sono obbligati a seguire.
“La corretta informazione – conclusione di Borgia – è assicurata dalla preparazione del giornalista che deve mostrarsi assolutamente competente dell’argomento che tratta. Poi può scrivere”. (giornalistitalia.it)

R.D.B.

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