Al voto per una riforma in cui sono in gioco enormi interessi, economici e non solo

Europarlamento: gruppi spaccati sul copyright

La Plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo

STRASBURGO (Francia) – La riforma della direttiva Ue sul copyright, che il Parlamento Europeo voterà domani intorno alle 12.30 nella plenaria a Strasburgo, spacca tutti i gruppi dell’Emiciclo. Sono a favore, spiega una fonte che ha seguito il dossier, il Ppe, l’S&D, l’Alde e l’Ecr, mentre sono contrari i Verdi e l’Efdd, il gruppo dei Cinquestelle. Divise la sinistra della Gue/Ngl e la destra dell’Enf. Il voto potrebbe risultare combattuto, come sono stati i negoziati, lunghi e difficili, su una riforma in cui sono in gioco enormi interessi, economici e non solo.

Axel Voss

Quasi tutti i gruppi del Parlamento Europeo, continua la fonte, sono divisi: nel Ppe, che è complessivamente a favore della riforma (il relatore, Axel Voss, è tedesco), dovrebbero votare contro polacchi, svedesi e lussemburghesi. Tra i socialisti dell’S&D i tedeschi dell’Spd potrebbero votare contro; nei Verdi, contrari, qualche francese sarebbe invece favorevole al testo. La sinistra della Gue/Ngl è divisa al suo interno per linee nazionali e anche i liberali dell’Alde, che sono per il sì, avrebbero almeno una decina di contrari. I conservatori dell’Ecr dovrebbero essere per il sì, come ha annunciato il portavoce Jan Krelina, ma anche tra loro si sa che i polacchi del Pis potrebbero votare contro.
Persino la destra dell’Enf vede i francesi del Rassemblement National di Marine Le Pen favorevoli alla riforma e la Lega di Matteo Salvini che sarebbe contro. L’Efdd dovrebbe essere contrario in modo compatto (lo sono sicuramente i Cinquestelle), ma si vedrà poi dal voto.
È stata anche depositata una mozione che chiede di votare emendamenti al testo, già approvato nel trilogo, il negoziato interistituzionale, da Parlamento e Consiglio: se passassero emendamenti, sarebbe un pessimo segnale per il voto sulla direttiva, visto che l’accordo con il Consiglio è stato chiuso sul testo della direttiva che verrà posto in votazione domani.

Matteo Salvini

La proposta di riformare il diritto d’autore nasce dalla constatazione delle difficoltà che caratterizzano oggi la tutela del diritto d’autore nel mondo digitale. Il diritto d’autore e i diritti connessi sono diritti di proprietà intellettuale esclusivi, che proteggono, con qualche eccezione, il lavoro dell’autore o del creatore (un libro, un film, un software, eccetera) e gli interessi di coloro, come gli editori o le televisioni, che contribuiscono a rendere le opere disponibili al pubblico.
La direttiva Ue sul copyright in vigore, spiega Tambiama Madiega del servizio ricerca del Parlamento Europeo in un corposo briefing (“Copyright in the digital single market”) dedicato alla questione, risale al 2001: la normativa tuttavia “ha faticato ad adattarsi” all’ambiente digitale. Di qui la decisione di procedere ad una riforma: la Commissione, dopo una serie di consultazioni, ha deciso che il quadro legislativo Ue deve essere modernizzato e ha pertanto proposto un pacchetto di norme nel settembre 2016, tra le quali anche la direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale.
Il dibattito si concentra essenzialmente su tre questioni: la creazione di un nuovo diritto che consentirebbe agli editori di pubblicazioni giornalistiche di ottenere un compenso per l’utilizzo digitale dei loro articoli (il vecchio articolo 11, ora articolo 15); l’imposizione alle piattaforme on line come Youtube di misure atte a monitorare i contenuti, al fine di tutelare la remunerazione del diritto d’autore (il vecchio articolo 13, ora diventato articolo 17); la creazione di una nuova eccezione sul copyright per consentire l’utilizzo di tecniche di “text and data minino” nell’Ue.

Marine Le Pen

La normativa attuale, all’articolo 5 della direttiva in vigore sul copyright, permette l’uso di opere protette da diritto d’autore per alcuni scopi senza la previa autorizzazione dell’autore odi altri aventi diritto. Tuttavia, la lista delle eccezioni non è obbligatoria, bensì opzionale: ciò comporta che gli Stati membri possono decidere in autonomia quali eccezioni e limitazioni prevedere.
Oggi come oggi, poi, il text and data mining, come viene definita in gergo tecnico l’esplorazione e la lavorazione di grandi quantità di dati, che consente ai ricercatori di delineare delle tendenze e altre informazioni preziose per la ricerca, può violare le leggi sul copyright in alcuni Paesi e non in altri, cosa che costituisce un problema non da poco per i settori che utilizzano queste tecniche, come la sanità.
Un altro grosso problema sono le difficoltà e gli ostacoli che incontrano le emittenti, i fornitori di servizi e le istituzioni culturali, come biblioteche e mediateche, per assicurarsi i diritti e rendere i propri contenuti disponibili on line oltre confine, a causa principalmente di vincoli contrattuali che limitano fortemente la disponibilità di contenuti audiovisivi sulle piattaforme video on demand. Pertanto, molte produzioni audiovisive europee non sono disponibili su queste piattaforme.
Nello stesso modo, le istituzioni culturali (biblioteche, musei, eccetera) hanno difficoltà a digitalizzare i loro contenuti e a renderli disponibili oltre frontiera: il problema è particolarmente acuto per le opere fuori commercio, ancora protette da copyright ma non più disponibili al pubblico. Un altro problema, ben noto, riguarda la stampa, che sta passando dal cartaceo al digitale: nel settore i ricavi provenienti dal digitale non compensano il crollo dei proventi dalla carta stampata.
Secondo la Commissione, le cause sono molteplici: tra queste c’è l’incapacità degli editori di monetizzare i contenuti digitali, mentre i social network, gli aggregatori di notizie e i motori di ricerca sono diventati i principali canali di fruizione delle notizie on line.
Gli editori hanno anche grandi difficoltà nel concludere accordi di licenza con i fornitori di servizi on line per l’utilizzo dei loro contenuti. Gli editori devono poi affrontare l’incertezza giuridica relativa alla possibilità effettiva di essere remunerati per l’utilizzo dei loro contenuti.
Malgrado i tentativi di alcuni Stati di concedere agli editori i cosiddetti diritti ancillari, o diritti di vicinato, la mancanza di diritti specifici per gli editori ne indebolisce il potere contrattuale, quando vanno a trattare con i colossi dei servizi on line, come Google, che non a caso è fortemente contraria alla direttiva.
Questo stato di cose, osserva il Parlamento, mette in pericolo la sostenibilità dell’intera industria editoriale, che investe nella produzione e nella pubblicazione di contenuti, ma che non riceve più, in cambio, un flusso di ricavi adeguato. In generale, i titolari dei diritti si trovano in difficoltà quando si tratta di monetizzare e controllare la distribuzione on line dei loro contenuti, una situazione che in gergo è definita “value gap”, o ammanco di valore.
I titolari dei diritti, per esempio, non riescono a rilevare quando gli utenti caricano sulle piattaforme contenuti protetti da copyright e c’è una notevole incertezza giuridica, sottolineano gli esperti dell’Europarlamento, sulla conclusione di accordi di licenza, nonché sulla protezione on line dei contenuti tutelati dal diritto d’autore.
Qui entra in gioco un’altra direttiva, quella sul commercio elettronico del 2000, che esonera dalla responsabilità, anche in relazione alla violazione del copyright, i fornitori di servizi informatici che trasmettono contenuti illegali forniti da un terzo nell’Ue, quando sono qualificati come meri intermediari Internet tecnici, automatici e passivi.
Questa esenzione ha confini labili e la giurisprudenza è controversa, tanto che da più parti si sono levate richieste di modificare le leggi in vigore.
Il Parlamento Europeo e il Consiglio Europeo hanno invitato più volte la Commissione, che ha l’iniziativa legislativa nell’Ue, ad intervenire. Nella revisione della direttiva proposta dalla Commissione, che risale al 2016, gli Stati devono introdurre nelle rispettive legislazioni nazionali una nuova eccezione, obbligatoria, al diritto di riproduzione e al diritto di impedire l’estrazione da un database: questa nuova eccezione mira a consentire alle organizzazioni che lavorano con le tecniche del text and data mining (Tdm in gergo) di utilizzare contenuti protetti da copyright, ai quali hanno accesso in modo legale, a scopi di ricerca scientifica, senza bisogno di autorizzazione preventiva.
Viene poi introdotto un nuovo diritto per gli editori: oggi il copyright protegge i lavori letterari, scientifici o artistici; concede anche ai produttori di film e alle emittenti dei diritti di vicinato, o diritti ancillari, che remunerano il loro contributo economico e creativo per assemblare, editare e investire in contenuti.
Tuttavia, attualmente non esiste alcun diritto simile per gli editori di pubblicazioni giornalistiche: per rimediare, la Commissione propone di introdurre nelle leggi Ue un nuovo diritto connesso, o ancillare, che consentirebbe agli editori di tutelare con il copyright anche le pubblicazioni giornalistiche. Gli editori avrebbero così un diritto connesso esclusivo per l’utilizzo digitale delle loro pubblicazioni.
Questo diritto, secondo il compromesso raggiunto nel trilogo da Parlamento e Consiglio, durerà due anni (dai venti anni chiesti dalla Commissione) e riguarderebbe esclusivamente le pubblicazioni giornalistiche, come i quotidiani e i settimanali, escludendo le riviste scientifiche ed accademiche. Sulla base di questo nuovo diritto, gli editori sarebbero in grado di concludere accordi di licenza con gli aggregatori di notizie, per esempio.
Diritti ancillari simili sono previsti in due grandi Stati membri dell’Ue, la Germania e la Spagna. Nel primo caso, una legge del 2013 prevede che gli editori debbano ricevere una commissione a titolo di compenso quando i motori di ricerca o gli aggregatori di notizie utilizzano estratti di articoli, anche se la norma non si applica a “singole parole o brevi estratti”, che possono essere utilizzati senza permesso. Di fatto, Google ha rifiutato di negoziare sui diritti di licenza, ragion per cui alcuni editori tedeschi hanno deciso di rinunciare ai propri diritti ancillari, per poter essere ancora indicizzati dal motore di ricerca del colosso californiano.
In Spagna è in vigore una normativa più restrittiva: la legge sul copyright, modificata nell’ottobre del 2014, limita l’eccezione per la citazione dei testi e prevede la corresponsione di una commissione agli editori da parte degli aggregatori di notizie, per i link al loro contenuto. Gli editori non possono rinunciare a tale commissione, ragion per cui Google nel dicembre 2014 ha chiuso la versione spagnola di Google News e ha rimosso gli editori spagnoli dal servizio. Uno studio commissionato dagli editori spagnoli ad una società di consulenza è arrivato alla conclusione che l’impatto della legge sul settore editoriale è stato complessivamente negativo. È però da vedere, al di là delle dichiarazioni, se Google si comporterebbe nello stesso modo nei confronti dell’intera Ue, che è un mercato di oltre 500 milioni di persone; inoltre c’è chi osserva che, se Google News dovesse ritirarsi dal mercato europeo, verrebbe probabilmente sostituita da altri player, cosa che aumenterebbe la concorrenza nel settore.
Oppure, nel peggiore dei casi, i lettori andrebbero a cercare e leggere le notizie direttamente sui siti delle testate.
La direttiva chiarisce che la protezione garantita da questo diritto non arriva fino alla pubblicazione di collegamenti ipertestuali, o link, agli articoli ed esclude esplicitamente gli snippet, cioè i brevi estratti di testo che appaiono su Google News quando si lancia una ricerca, e che sunteggiano il contenuto dell’articolo. La direttiva, nel testo di compromesso, prevede anche che gli Stati membri debbano fare in modo che i giornalisti beneficino economicamente del diritto d’autore, ricevendo “una quota appropriata” dei ricavi che l’editore incassa.
Inoltre, le piattaforme, quando non hanno accordi di licenza con i titolari dei diritti, allora devono prima di tutto fare ogni sforzo per concludere accordi; poi devono impegnarsi ad assicurare che il materiale protetto da copyright non sia disponibile e devono agire rapidamente per rimuovere materiale protetto da copyright, dopo averne ricevuto la segnalazione, e per impedire che venga “caricato”.
È un punto molto controverso, perché la direttiva Ue sul commercio elettronico impedisce, in teoria, di imporre ai fornitori di servizi obblighi di monitoraggio generali, per tutelare la libertà del web. È vero però che le piattaforme usano già sistemi di filtraggio automatico simili: una delle obiezioni è che l’introduzione di un obbligo costituirebbe una barriera all’entrata nel mercato per nuovi player.
Il testo finale, comunque, garantisce la libertà di citazione, di caricatura e di parodia (ad esempio per i “meme”). E le enciclopedie on line no profit, come Wikipedia, sono esplicitamente esentate. La nuova direttiva prevede poi quattro eccezioni obbligatorie al copyright: per scopi di insegnamento ed educativi, per la conservazione del patrimonio culturale, per il text and data minino a scopi di ricerca e per il text and data mining al fine di contribuire allo sviluppo dell’analisi dei dati e dell’intelligenza artificiale.
Il testo è stato appoggiato dal Coreper, il Comitato dei Rappresentanti Permanenti degli Stati Ue, con il voto contrario di Italia, Polonia, Lussemburgo, Olanda e Finlandia e con l’astensione di Belgio e Slovenia. L’accordo politico è stato approvato dalla Commissione Affari Giuridici del Parlamento il 26 febbraio 2019. (adnkronos)

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