ROMA – Una dichiarazione di amore per Napoli fra l’autobiografia e la fantasia in un romanzo che, più che leggere, si fa sinesteticamente ascoltare – intessuto com’è di canzoni napoletane – e gustare, con un fulminante esordio in cui, dopo una garbata ma decisa stroncatura della leva obbligatoria, il pretesto dell’opera, c’è la scoperta della “vera” pizza napoletana, così diversa dai tanti impasti lievitati cotti al forno che in varia foggia si possono gustare, magari anche buoni ma altra cosa, nelle altre città.
Il giovane Vincenzo, soldato di leva con esperienze di giornalismo già avviate, arriva spaesato a Napoli nei giorni dello scudetto, maggio 1987, per prendere servizio, autentica botta di fortuna con la C maiuscola, nell’ufficio stampa della Regione Militare Meridionale, invece di marcire in improbabili esercitazioni in caserma.
Ha di Napoli un’immagine minacciosa, lo stereotipo di una città in degrado, pericolosa, ostile; e anche la musica “napoletana”, con sette anni da dj in radio, la ritiene, con qualche eccezione, roba di scarto, quasi una cosa da “zambro”, come gli dice anche in radio qualcuno dei colleghi; un termine dialettale per cafone.
E invece trova umanità, accoglienza, e chiacchierando con uno sconosciuto casualmente incontrato su una panchina, al sole, durante la lettura del giornale locale (il giornalista Vincenzo sa bene che per conoscere una città la lettura del quotidiano locale è un necessario passaporto), intavola con quello che diventa il suo primo amico partenopeo un discorso sulla canzone napoletana e sui retroscena, curiosi spesso, talvolta affascinanti, dei suoi testi. Perché Vincenzo l’autore – non il personaggio, in questo caso – sa bene che una canzone non è soltanto l’esecuzione, e nemmeno soltanto il compositore della musica; e che il medico mancato Salvatore Di Giacomo, per esempio, non è “soltanto” uno dei più importanti poeti del periodo a cavallo tra fine Ottocento e primo Novecento italiano, ma una pietra miliare nella storia della canzone napoletana e italiana.
Suoi i versi di quella che è forse la più bella canzone napoletana, Era de maggio (l’autore della musica, Pasquale Mario Costa, comunque non era foggiano, come dice l’interlocutore partenopeo al giovane Vincenzo, ma tarantino).
Musica, non solo colonna sonora ma asse portante di una narrazione su un città il cui antico nome, Partenope, è quello di una sirena cantatrice e incantatrice, e sui splende sempre, anche nei giorni di pioggia, ‘O sole mio, composta – forse nostalgicamente – nella fredda, lontana Odessa, dove era trattenuto dallo zar Nicola II innamorato della sua musica, da Eduardo Di Capua su versi di Giovanni Capurro.
E c’è anche l’irresistibile sceneggiata (come definirla altrimenti?) del compagno di camerata che rimbombare neomelodici a tutto spiano, e chi si offre di procurare al giovane Vincenzo un walkman con numerose cassette, tutte contraffatte ovviamente, con cui ascoltarle…
Perché Napule è… , giusto per citare Pino Daniele, altro cantante molto presente nel libro, anche questo. O gli incontri con Gigi D’Alessio, la cui carriera stava decollando in quei mesi, e col mito Roberto Murolo.
Nella preistoria tecnologica (il fax esisteva, ma al Comando non ce l’avevano…), i comunicati stampa li recapitava ben volentieri ai giornali Vincenzo stesso; che fatte conoscenze al Mattino cominciò a collaborare anche al principale quotidiano napoletano, arricchendo l’esperienza giornalistica.
E non mancano un Virgilio ed una Beatrice (assai poco angelicata) che gli fan da guida nella multiforme, prismatica vicenda della canzone napoletana, ed una gustosa storia d’amore che fa da sottotrama.
Il lettore del romanzo viene così a conoscere tutto, o quasi, della lunghissima tradizione canora napoletana, ma rimane anche e soprattutto intrigato dal racconto di un anno, quello del servizio militare, che si chiude con un trasferimento in extremis del giovane Vincenzo in Puglia, dove, due giorni dopo il congedo, sarà assunto dal quotidiano col quale aveva iniziato a collaborare: che era la mia e sua Gazzetta del Mezzogiorno.
Un po’ autobiografia, un po’ fiction, Vedi Napoli e poi canta, si chiude, da buon romanzo, con un trent’anni dopo dal dolceamaro sapore nostalgico delle cose che potevano essere, e non sono state mai…
In appendice, un repertorio con testi (e traduzioni dal napoletano) fondamentali, notissimi e meno noti, della canzone napoletana.
Vincenzo Sparviero, l’autore di questo singolare, coinvolgente volume (stampato da Amazon e disponibile su quella piattaforma; con prefazione di Al Bano; 364 pagine) è giornalista professionista dal 26 luglio 1990.
Nato ad Oria, in provincia di Brindisi, il 9 settembre del 1962, vive tra la sua città natale e Lecce. Laureato in Lettere, ha intrapreso giovanissimo l’attività giornalistica, collaborando fin dai tempi del liceo con alcune tra le più importanti testate televisive e di carta stampata pugliesi, dal 1983 ha iniziato a collaborare con la Gazzetta del Mezzogiorno, della quale è stato inviato speciale ed ha retto anche la redazione di Brindisi.
Nel 2023/24 ha diretto anche il telegiornale di TeleRama, una delle più importanti emittenti televisive di Puglia e Basilicata. Ha collaborato, come autore e consulente, con trasmissioni di approfondimento di Rai e Mediaset e scritto i testi di diverse canzoni, alcune delle quali portate al successo da Al Bano Carrisi. Studioso e appassionato di arte, musica, teatro e tradizioni popolari, ha scritto sei libri su tali argomenti. Tiene corsi di giornalismo nelle scuole; per l’Università del Salento è cultore della materia per il laboratorio di guida alla scrittura della tesi di laurea.
Ideatore di format per la tv e sui social, introduce ogni anno il “Corteo Storico di Federico II – Torneo dei Rioni”: la più importante rievocazione storica medievale di tutto il Sud. Ha ottenuto premi e riconoscimenti legati al giornalismo, e gli è stata affidata la conduzione del premio internazionale “Caravella” nell’ambito del Festival dei Giornalisti del Mediterraneo di Otranto.
Ha fatto parte per numerosi mandati del Comitato di Redazione della Gazzetta del Mezzogiorno e per più volte del consiglio direttivo dell’Associazione della Stampa di Puglia. È stato anche candidato nella lista Essere giornalisti (che faceva riferimento a Lorenzo Del Boca, Franco Siddi e in Puglia a Giuseppe Mazzarino) per due congressi nazionali della Fnsi, quando la Fnsi era ancora sindacato unico dei giornalisti perché non era ancora nata la Figec Cisal. (giornalistitalia.it)
Giuseppe Mazzarino