Mirella Serri ricostruisce la carriera di una scaltra affarista e vera collaboratrice politica

Claretta, la donna che non morì per amore

Mirella Serri

ROMA – Per l’anagrafe era Clarice, ma tutti la conoscevano, e conoscono, come Claretta. Negli anni finali del fascismo trionfante e in quelli di Salò fu la donna più detestata d’Italia; dopo la tragica morte, accanto al suo Ben, e lo scempio dei loro cadaveri, entrò invece nel mito, romantica eroina innocente, colpevole solo d’aver amato l’uomo sbagliato e di essergli rimasta accanto fino alla fine. Anche molti di quelli che la odiarono in vita, inclusi capi partigiani, inclusi alcuni che avevano firmato la sua sentenza di morte, la assolsero da ogni colpa. E a partire da quel 28 aprile 1945 la leggenda di Claretta Petacci si è ingigantita.
Fermo restando che la fucilazione senza un vero processo, e soprattutto l’oltraggio al cadavere, a guerra finita, restano da condannare senza retropensieri, davvero Claretta è stata l’eroina sfortunata di una sorta di attualizzata tragedia greca, trascolorata con le tinte fosche e violente dello Sturm und Drang, vittima intrinsecamente innocente di un amour fou?
I luoghi comuni non sempre sono basati su nuclei di verità. E le credenze popolari non per questo vanno acriticamente accettate. Anzi.
Mirella Serri è una italianista di vaglia, accademica (cattedra di Storia della letteratura italiana moderna e contemporanea), giornalista e critica militante, come peraltro il suo (e nei miei modesti limiti anche mio) Maestro Walter Pedullà.
Da tempo si occupa di demistificazione: con agguerriti strumenti critici, per esempio, ha affrontato ne “I redenti” (Corbaccio, 2005) la questione degli “intellettuali che vissero due volte”, quelli della “covata Bottai”, e non soltanto, che alla caduta del regime non solo si scoprirono antifascisti e quasi tutti comunisti ma proiettarono indietro nel tempo il loro presunto antifascismo, con una colossale (e non innocente) operazione di rimozione che in alcuni casi non fu dissimulazione onesta ma falsificazione.
Con il recentissimo “Claretta l’hitleriana” (Longanesi, 2021; pp. 300; euro 19,00) Mirella Serri compie un’altra demistificazione: nell’immaginario collettivo Claretta Petacci, la donna fucilata a Giulino di Mezzegra con Mussolini e che da cadavere ne seguì lo scempio a piazzale Loreto (appesa a testa in giù e senza biancheria intima), è una ragazza innocente, colpevole solo di aver amato l’uomo sbagliato e di averlo seguito fino alla morte. Tanto era odiata in vita (secondo la stessa testimonianza di Mussolini) quanto fu celebrata, amata ed ammirata in morte. Ma Claretta non era affatto così.
Utilizzando anche documenti riservati finora inaccessibili, Mirella Serri ricostruisce la carriera di una scaltra affarista ed arrampicatrice, già negli anni di gloria del Duce, che nei giorni tetri della Repubblica sociale si poneva come collaboratrice prima dei nazisti, una vera collaboratrice politica, non una semplice “amante”; una convinta antisemita che vendeva agli ebrei più facoltosi documenti falsi coi quali potevano sottrarsi alla deportazione ed allo sterminio.
Come nacque la leggenda? Claretta sicuramente aveva fascino. Un fascino che colpì persino il comandante partigiano che arrestò lei e Mussolini, Pier Luigi Bellini delle Stelle, “Pedro”: la affrontò a muso duro, accusandola di varie nefandezze politico-corruttive, ma cambiò subito opinione: “era pallida, esausta. Sul viso provato da mille sofferenze, umiliazioni, disinganni, si coglieva una tristezza immensa e un infinito smarrimento… Cambiai subito parere su di lei. Era una sventurata, non un’avventuriera”.
Benché già condannata a morte dal Cln Alta Italia (cosa che “Pedro” non sapeva), Claretta era ancora viva, e già cominciava il suo mito. L’emissario del Cln Terzi consegna a due partigiani appena arrivati a Dongo da Milano, Lampredi (personaggio intenzionalmente lasciato in ombra anche dalla pubblicistica resistenziale e comunista) ed Audisio, nome di battaglia “Valerio”, al quale fu dai comunisti nelle relazioni ufficiali attribuito il ruolo di esecutore, l’elenco dei fascisti da fucilare. Subito. Per evitare che gli Alleati li prendessero in consegna, per processarli loro. Nella lista c’è una sola donna: Claretta. “Pedro” protesta, ma i due caricano in una macchina appositamente requisita Mussolini e la Petacci, li portano a Giulino di Mezzegra e li abbattono a colpi di mitra.
Il quotidiano del Pci, “L’Unità”, il 1° maggio 1945, a firma di “Valerio” conferma che Claretta era stata condannata a morte, come Mussolini, e fucilata con lui. Già pochi mesi dopo l’esecuzione, però, la verità “ufficiale” cambia: è proprio “Valerio” che afferma, sempre su “L’Unità”, che Clara aveva voluto proteggere col suo corpo l’amato e che era stata investita quasi per errore da una mitragliata.

Claretta Petacci, foto del 28 aprile 1945 (Getty Images)

Il tentativo è di sollevare la Resistenza, ed il Pci in particolare, dall’accusa della fucilazione sommaria di una donna. Ma questa versione edulcorata della fucilazione contribuisce a creare la leggenda. Ancora nel 1983, una persona sicuramente informata dei fatti, Sandro Pertini, già da cinque anni presidente della Repubblica, che era stato uno dei capi del Cln Alta Italia che avevano deciso di giustiziare subito i capi fascisti (e che avevano trasmesso l’elenco dei nominativi agli esecutori), dirà che stato giusto e legale eliminare Mussolini, ma Claretta “non doveva essere uccisa; lo dissi subito allora e lo ripeto adesso. Questa donna aveva dimostrato fedeltà a Mussolini, tant’è vero che rifiutò di mettersi in salvo. Sua sorella Myriam e la madre fuggirono in aereo in Spagna”. Annullamento retroattivo?
La tragica morte in qualche modo poté redimere il passato? Non fino al punto di riscrivere e falsare la storia: di una persona intrigante, di una scaltra intrallazzatrice, a capo di un vero e proprio clan affaristico familiare, coinvolto persino, a guerra in corso, in una losca vicenda di contrabbando d’oro, di una fanatica antisemita, di una filo-nazista. Potrà essere disturbante e perturbante, ma la verità storica merita sempre di essere ricercata e portata alla luce. Anche quando cozza contro miti e leggende.
Il volume di Mirella Serri è scritto in un linguaggio accattivante che rende la lettura godibile. Sembra di leggere un romanzo, un grande romanzo storico e popolare. E che poi sappiamo anche come va a finire (ma lo sapevamo veramente, prima di leggerlo?) nulla toglie all’intrigante attrattiva del testo. (giornalistitalia.it)

Giuseppe Mazzarino

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