A Venezia il film sullo scandalo nato dall’inchiesta di giornalisti del Boston Globe

“72 Spotlight”: il Watergate sui preti pedofili

Da sinistra: Stanley Tucci, Thomas McCarthy e Mark Ruffalo

Da sinistra: Stanley Tucci, Thomas McCarthy e Mark Ruffalo

VENEZIA – Seicento articoli, 1000 casi di bambini vittime di abusi sessuali e psicologici, 70 preti pedofili, una storia che comincia decenni prima e che viene fuori solo nel 2002 con uno scandalo mondiale dovuto alla super inchiesta del Boston Globe. Il pool di giornalisti investigatori, che lavorano insieme in una newsroom intitolata Spotlight, tenaci, senza fretta, testardi, a schiena dritta, coraggiosi, vince il Pulitzer.
Più o meno un caso Watergate sulla omertosa chiesa americana in fatto di pedofilia. E esattamente come fu per l’inchiesta di Bob Woodward e Carl Bernstein del Washington Post, la bella lezione di giornalismo come si deve arriva al cinema. È passato oggi, tra i film più attesi, nel Fuori concorso di Venezia “72 Spotlight” di Tom MacCarthy, accolto con successo (poi andrà in prima americana a Toronto).
Un film, con un gran cast in cui spiccano Michael Keaton, Mark Ruffalo e Stanley Tucci, in uscita per Bim nel primo trimestre 2016, che ricorda anche nei ritmi e nel modo di girare “Tutti gli uomini del presidente” con Hoffman e Redford e va ad aggiornare di diritto la lista di film belli e credibili sul giornalismo d’inchiesta.
I colleghi del pool di Spotlight, cani sciolti del Boston Globe, lavorano senza orari e senza l’incubo del pezzo del giorno dopo, martellano le fonti, consultano i documenti in biblioteca, bussano alle porte di probabili testimoni in un giogo concentrico che vuole, da un singolo caso di denuncia di molestie, capire se c’è un sistema più grande, un coinvolgimento di istituzioni e gerarchie, un’omertà colpevole. E scoprono, tassello dopo tassello, nel corso di mesi, tutto questo e oltre, compresi documenti pubblici secretati contro le leggi, accordi sottobanco con l’arcidiocesi di Boston e soprattutto, cosa che ha creato scandalo mondiale, la copertura colpevole del cardinale di Boston, Bernard Law, che sapeva da sempre e comprava i silenzi semplicemente spostando i preti pedofili da una parrocchia all’altra o mettendoli temporaneamente in malattia.
Ritmo incalzante e una sceneggiatura che fa centro riuscendo a non perdersi dietro il filo delle tante singole storie. Michael Keaton è il caporedattore di Spotlight, Stanley Tucci l’avvocato armeno che difende le vittime ma non vuole finire in prima pagina, Rachel McAdams una giornalista appassionata e compassionevole che riesce ad entrare empaticamente in contatto con chi vorrebbe dimenticare il passato di molestie, mentre Mark Ruffalo è il cronista mastino che non si ferma davanti a nessun no.
Liev Schreiber interpreta il neodirettore del giornale: è ebreo, viene da Miami, di Boston ha solo la mappa per orientarsi e alla prima riunione spiega cosa vuole dai suoi: rendere il giornale indispensabile ai lettori con inchieste e approfondimenti. Era il 2002, Internet c’era e aveva già capito tutto.
Spotlight farà discutere anche in Italia, tira in ballo il Vaticano. Nell’ultima scena del film si ricorda come l’arcivescovo Bernard Law, travolto dallo scandalo di Boston, sia stato trasferito dal Vaticano a Roma, arciprete emerito della Basilica di Santa Maria Maggiore. (Ansa)

RADIO VATICANA: “UN FILM ONESTO DI CUI LA CHIESA NON HA PAURA”

VENEZIA – Proprio mentre a New York crollavano, in quel fatidico 2001, le Twin Towers centrate dagli aerei civili, portando con sé nel baratro centinaia di vittime innocenti, nella Boston cattolica le fondamenta di quella grande e antica diocesi cedevano non perché attaccate da qualche forma di terrorismo umano, ma dalla forza inesauribile e incontenibile della verità. Non secondario il fatto che fosse un manipolo di validi giornalisti del quotidiano “Boston Globe” a rendersi interpreti della loro più pura vocazione, quella cioè di trovare i fatti, verificare le fonti, raccontarli e rendersi, per il bene della comunità e di una città, paladini di un bisogno di giustizia.
Grazie all’unità Spotlight – da qui il titolo del film di McCarthy – il 6 gennaio del 2002 solennità dell’Epifania, una data scelta non a caso, uscì un numero storico del giornale che in prima pagina scoperchiava l’orrore già in parte noto e troppo a lungo da molti taciuto, quello della pedofilia diffusa tra i sacerdoti cattolici della diocesi americana, con centinaia di vittime sulla coscienza non solo di chi il crimine l’aveva operato, ma anche di chi lo aveva nascosto, ancor peggio negato.
Il film ricostruisce in modo avvincente e lineare soltanto ciò che accadde dentro e fuori le mura di quel giornale in quel periodo limitato di tempo. Il regista, dunque, non cade mai nell’interpretazione personale e nella trappola dello scandalo, mentre gli straordinari interpreti, tra cui Mark Ruffalo e Michael Keaton, si limitano ad essere soltanto ciò che i loro personaggi reali fecero e dissero.
Un atteggiamento onesto e necessario, quando un film tocca temi così sensibili e delicatissimi per tutta la comunità dei fedeli, quando un velo tragico finalmente si squarciava per poi ricomporsi e diventare quello capace di asciugare le lacrime, lenire il dolore e purificare.
Per la Chiesa degli Stati Uniti fu cruciale stabilire il confine tra verità e crociata ideologica, accettare nel suo seno il peccato, ammetterlo pubblicamente, pagarne tutte le conseguenze, che furono non soltanto economiche, ma di immagine e fiducia. Come ha specificato il regista, infatti, non furono soltanto incommensurabili ferite fisiche quelle che gli adolescenti subirono, ma anche non rimarginabili ferite spirituali. E Ruffalo ha confessato che il film non è stato fatto per distruggere un sistema, ma per mostrare la verità e permettere a tutti di riallinearsi alla sua scia.
Ebbe il coraggio, la Chiesa, alzandosi da quelle macerie, di mostrarsi nella sua nuda povertà, di anelare alla trasparenza, di denunciare i peccatori, di chiedere perdono, di allontanare chi il peccato lo aveva permesso, pur conoscendolo. Il film non riesce a contenere tutti i fatti accorsi durante quel paio di anni cruciali per la storia della Chiesa universale e del giornalismo americano, ma inserisce tutte le notizie che il pubblico dovrebbe trattenere, per formarsi un giudizio onesto. Minore ironia sul trasferimento del cardinale Law a Roma, colpito dalle accuse ben note, e l’informazione che uno dei più diabolici predatori, John Geoghan, sia stato strangolato in carcere nell’agosto del 2003, avrebbero dato il credito finale a un film del quale la Chiesa non dovrebbe aver paura, come oggi non ha.
Dopo quegli anni e quei fatti le decisioni dei Papi, dei Dicasteri vaticani e delle Conferenze episcopali, sono state tutte indirizzate all’estirpazione del male sempre e ovunque, e McCarty non ne dovrebbe dubitare. Ci sono poi gli atti della giustizia terrena che possiamo conoscere e commentare, mentre di quella divina – cui anche ci si affida – non ne conosciamo né il tempo né il modo.

Luca Pellegrini
Radio Vaticana

 

 

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