Processo penale in prescrizione, prosegue la causa civile al Tribunale di Catania

“Zona mista” libera o vietata ai giornalisti ?

Catania-CalcioROMA – Dopo 9 anni si é chiuso in Cassazione con un nulla di fatto per prescrizione – per il decorso inesorabile del tempo – il processo penale a carico dell’allora amministratore delegato del Catania Calcio, Pietro Lo Monaco, che era stato condannato in appello per violenza privata (art. 610 del codice penale) per avere, nella sua qualità, impedito al giornalista accreditato della Gazzetta dello Sport Alessio D’Urso di accedere alla Sala Stampa in occasione delle conferenze stampa dopo due partite ufficiali giocate al Cibali tra il 20 aprile e il 4 maggio 2008.
La vicenda giudiziaria proseguirà ora in appello davanti alla magistratura civile di Catania che dovrà accertare se l’accesso alla “zona mista”, cioè l’area, di solito adiacente alla sala stampa, in cui i calciatori, terminata la gara, incontrano i giornalisti e concedono brevi interviste, era – oppure no – una zona nella disponibilità esclusiva della società Catania Calcio che poteva essere interdetta all’accesso dei giornalisti accreditati.
Infatti, la Lega Calcio regolamentò espressamente l’accesso dei giornalisti alla “zona mista” al fine di disciplinare i rapporti tra le società calcistiche e gli organi di informazione soltanto a partire dalla stagione 2008/09. Viceversa una tale disciplina non era prevista dal regolamento della Lega Calcio 2007/08, vigente all’epoca dei fatti. (giornalistitalia.it)

Pierluigi Roesler Franz

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Corte di Cassazione 5ª Sezione Penale Sentenza n. 37942 del 2017
Presidente: Palla Stefano
Relatore: Riccardi Giuseppe
Data Udienza: 31/05/2017

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Lo Monaco nato il 01/11/1954 a Torre Annunziata
avverso la sentenza del 16/12/2015 della Corte di Appello di Catania
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giuseppe Riccardi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Felicetta Marinelli, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per prescrizione;
udito il difensore della parte civile, Avv. Paolo Grasso, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore dell’imputato, Avv. Carmen Toro, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso, e, in subordine, l’annullamento senza rinvio per prescrizione.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 16/12/2015 la Corte di Appello di Catania, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Catania il 18/10/2011, assolveva Lo Monaco Pietro dai reati di violenza privata contestati ai capi A e C, nonché al capo B, limitatamente al fatto del 14/04/2008, perché il fatto non sussiste, e per intervenuta prescrizione relativamente al fatto del 02/09/2007, confermando l’affermazione di responsabilità penale per i reati di cui all’art. 610 cod. pen., per avere, nella sua qualità di amministratore delegato del Catania Calcio, impedito al giornalista D’Urso Alessio di accedere agli incontri con la stampa successivi agli incontri di calcio del 20/04/2008 e del 04/05/2008.

Alessio D’Urso

Alessio D’Urso

In particolare, l’assoluzione concerneva le interdizioni all’accesso alla sala stampa del giornalista in occasione delle partite amichevoli (capo A) e delle conferenze-stampa (capo C e capo B, limitatamente al fatto del 14/04/2008), in quanto il diritto di accesso dei giornalisti agli stadi e alla sala stampa era garantito, dal regolamento della Lega Nazionale Professionisti, soltanto con riferimento alle “gare ufficiali”; l’affermazione di responsabilità, infatti, veniva confermata soltanto con riferimento agli episodi avvenuti il 20/04/2008 ed il 04/05/2008, in occasione di gare ufficiali.
2. Avverso tale provvedimento ricorre per cassazione il difensore di Lo Monaco Pietro, Avv. Piero Amara, deducendo i seguenti motivi di ricorso, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Violazione di legge: deduce che l’affermazione di responsabilità concerna l’impedimento ad accedere alla zona mista dello stadio, pure consentito ad altri giornalisti; lamenta che non esistesse, tuttavia, un diritto soggettivo all’accesso nel corso della stagione calcistica 2007/2008, essendo stata la previsione introdotta dal Regolamento sui rapporti tra società calcistiche e organi di informazione solo a partire dalla stagione 2008/2009;
D’Urso non aveva, dunque, alcun diritto soggettivo ad accedere alla zona mista, quale possessore della tessera Coni Stampa, e l’accesso di altri giornalisti è ascrivibile a personali iniziative degli addetti alla sala stampa o alla sicurezza.
2.2. Vizio di motivazione: deduce che non vi sia mai stato un rapporto diretto, un contatto o una conversazione tra Lo Monaco e D’Urso in occasione dei due episodi contestati, e dunque non può ritenersi integrata la condotta di costrizione mediante violenza o minaccia; anche se Lo Monaco avesse impartito la disposizione di non permettere l’accesso alla zona mista del D’Urso, ciò non consentirebbe di ritenere che abbia autorizzato l’utilizzo di modi arroganti o inurbani da parte degli addetti alla sicurezza.
2.3. Violazione di legge processuale in relazione all’omessa contestazione del divieto di accesso alla zona mista.
2.4. Intervenuta prescrizione del reato.
2.5. Con memoria pervenuta il 11/05/2017, il difensore ha ribadito la doglianza relativa al difetto di contestazione in relazione alla zona mista, nonché le altre censure già proposte con l’originario ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Pietro Lo Monaco

Pietro Lo Monaco

1. Preliminarmente va affermata la manifesta infondatezza del terzo motivo di ricorso, concernente l’asserita violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza.
Giova, al riguardo, premettere che, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’“iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051);
l’obbligo di correlazione tra accusa e sentenza è, dunque, violato non da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato: la nozione strutturale di “fatto” va coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Sez. 1, n. 35574 del 18/06/2013, Crescioli, Rv. 257015); sicchè non sussiste violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza quando non muta il fatto storico sussulto nell’ambito della contestazione (Sez. 3, n. 5463 del 05/12/2013, dep. 2014, Diouf, Rv. 258975).
Tanto premesso, la sentenza impugnata appare immune da censure, in quanto l’affermazione di responsabilità in relazione alla preclusione all’accesso alla “zona mista”, anziché alla “sala stampa”, non ha alterato il nucleo essenziale di offensività del fatto, né ha implicato una radicale trasformazione dello stesso; peraltro, essendo stato oggetto di ampio contraddittorio in sede dibattimentale, non ha in alcun modo compromesso il diritto di difesa.
Corte di Cassazione2. Il ricorso è, invece, fondato nel resto.
2.1. Invero, dalla sentenza impugnata non risulta quale fosse il regime di accesso alla “zona mista”, ovvero all’area, di solito adiacente alla sala stampa, in cui gli atleti, terminata la gara, incontrano i giornalisti e concedono brevi interviste; il ricorrente ha, infatti, prodotto i regolamenti della c.d. Lega Calcio, disciplinanti i rapporti tra società calcistiche e organi di informazione, relativi alle stagioni sportive 2007/08 e 2008/09; soltanto a partire dalla stagione 2008/09 risulta una regolamentazione espressa dell’accesso dei giornalisti alla “zona mista”, mentre una tale disciplina non era prevista dal regolamento 2007/08, vigente all’epoca dei fatti.
La sentenza impugnata ha, al riguardo, affermato l’assimilabilità funzionale della c.d. mix zone alla sala stampa, ritenendo trattarsi di area il cui accesso era consentito a tutti i giornalisti accreditati, e dunque insuscettibile di preclusione; la motivazione appare, tuttavia, assertiva, e dunque apparente, prescindendo dalla valutazione del regime di accesso alla “zona mista” – che è una pertinenza dello stadio ove si disputano gli incontri di calcio –, in assenza di una disciplina della Lega Calcio.
2.2. Inoltre, l’attribuibilità della condotta violenta all’imputato, quale amministratore del Catania Calcio, è stata logicamente fondata sulla base degli aperti contrasti tra quest’ultimo ed il giornalista della Gazzetta dello Sport D’Urso, e sulla mancanza di un personale interesse degli addetti alla sicurezza ad interdire l’accesso al giornalista; tuttavia, con riferimento alla doglianza dell’appellante, secondo cui le direttive impartite dal Lo Monaco per precludere l’accesso al D’Urso non avrebbero comunque consentito di affermare la responsabilità personale per le condotte violente o minacciose poste in essere dagli addetti alla sicurezza, la motivazione della Corte territoriale risulta assertiva, e dunque apparente, affermando che “una volta ricevuta siffatta disposizione, gli addetti si limitavano a dispiegare l’energia fisica necessaria per precludere l’accesso del D’Urso”.
L’affermazione, per quanto logicamente fondata (e rilevante ai fini civili), non risponde alla questione della attribuibilità della condotta, fisicamente posta in essere dagli addetti alla sicurezza, all’amministratore delegato del Catania Calcio; l’interdizione dell’accesso all’area poteva, infatti, essere garantita con differenti modalità e gradi di “intervento”, e non necessariamente doveva travalicare i confini di rilevanza penale della “violenza” o della “minaccia”, che integrano la condotta costrittiva tipizzata dall’art. 610 cod. pen.
In altri termini, venendo in rilievo il principio costituzionale della personalità della responsabilità penale, ed in assenza, peraltro, di una contestazione della fattispecie concorsuale, il giudice del rinvio dovrà chiarire se l’esercizio della costrizione, con modalità violente o minacciose, fosse attribuibile all’imputato.
3. La fondatezza del ricorso, peraltro, impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, agli effetti penali, per essere il reato di cui al capo B) estinto per prescrizione: trattandosi di fatti commessi il 20/04/2008 ed il 04/05/2008, e considerando la sospensione dei termini per la durata di 97 giorni, nondimeno il termine massimo di prescrizione risulta decorso il 25/01/2016.
All’annullamento della sentenza, peraltro, consegue la revoca delle statuizioni civili, ed il rinvio, ai soli effetti civili, al giudice civile competente per valore in grado di appello, per nuovo giudizio in ordine al regime di accesso alla “zona mista” – per chiarire se si trattasse di area nella disponibilità esclusiva della società calcistica, suscettibile di essere interdetta all’accesso dei giornalisti accreditati – ed alla attribuibilità della condotta costrittiva all’imputato.
La liquidazione delle spese di costituzione di parte civile è rimessa al definitivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti penali, per essere il reato di cui al capo B) estinto per prescrizione.
Annulla la medesima sentenza, agli effetti civili, e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così deciso in Roma il 31/05/2017

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