L’assoluzione dei due giornalisti e la condanna di Vallejo Balda e Chaouqui

Vatileaks 2, ecco la sentenza integrale

VaticanoCITTA’ DEL VATICANO – Pubblicata oggi, dal Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, la sentenza del processo Vatileaks 2 emessa il 7 luglio scorso e depositata il 22 dicembre, ovvero oltre i 90 giorni fissati dal Codice.
Le 87 pagine della sentenza evidenziano il ruolo preponderante della Gendarmeria vaticana nella raccolta delle prove a carico degli imputati e nell’individuazione e formulazione dei capi d’accusa. In particolare nei confronti dei giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi, che sono stati assolti per difetto di giurisdizione “rilevata la sussistenza, radicata e garantita dal diritto divino, della libertà di manifestazione del pensiero e della libertà di stampa nell’ordinamento giuridico vaticano”, “considerato peraltro che lo svolgimento processuale, la cui istruzione si è perfezionata solamente nel corso del dibattimento, ha evidenziato che i fatti contestati agli imputati sono avvenuti al di fuori del proprio ambito ordinario di giurisdizione” e “tenuto conto che gli stessi imputati non rivestono, ai sensi del diritto penale, la qualificazione di pubblici ufficiali né sono ad essi equiparati”.
Condannato a 18 mesi di reclusione solo monsignor Vallejo Balda, messo comunque in libertà da Papa Francesco dopo 13 mesi di detenzione, nonostante i reati ascrittigli siano risultati punibili con meno di 2 anni.
Francesca Immacolata Chaouqui, dopo la prima notte trascorsa agli arresti a inizio novembre 2015, è rimasta invece, sempre in libertà ed ha poi avuto la pena (10 mesi) sospesa per 5 anni. (giornalistitalia.it)

Sentenza del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano nel procedimento penale a carico di Lucio Ángel Vallejo Balda, di Francesca Immacolata Chaouqui, di Nicola Maio, di Emiliano Fittipaldi, di Gianluigi Nuzzi

IN NOME DI SUA SANTITÀ PAPA FRANCESCO

IL TRIBUNALE

composto dai signori Magistrati
Prof. Giuseppe Dalla Torre, Presidente
Piero Antonio Bonnet, Giudice
Paolo Papanti-Pelletier, Giudice

riunito in Camera di Consiglio invocato il SS.mo Nome di Dio per essere illuminato sulle proprie decisioni ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento penale Prot. N. 71/15 Reg. Gen. Pen. a carico di

1) Lucio Ángel VALLEJO BALDA, nato a Villamediana de Iregua (Spagna) il 12 giugno 1961 e residente a Roma, Via di Porta Angelica, 31, appartamento A/3, difeso dall’Avv. Emanuela Bellardini, elettivamente domiciliata nella Città del Vaticano presso la Cancelleria del Tribunale;

2) Francesca Immacolata CHAOUQUI, nata a Cosenza l’8 dicembre 1981 e residente a Roma, in Via Tazio Nuvolari, 20, difesa dall’Avv. Laura Sgrò, elettivamente domiciliata nella Città del Vaticano presso la Cancelleria del Tribunale;

3) Nicola MAIO, nato a Benevento il 2 marzo 1978 e residente in Castelpoto, Via A. Diaz, difeso dall’Avv. Rita Claudia Baffioni, elettivamente domiciliata nella Città del Vaticano presso la Cancelleria del Tribunale;

4) Emiliano FITTIPALDI, nato a Napoli il 13 novembre 1974 e residente a Roma, in Via San Quintino, 7, scala B, int. 5, difeso dall’Avv. Lucia Teresa Musso, elettivamente domiciliata nella Città del Vaticano presso la Cancelleria del Tribunale;

5) Gianluigi NUZZI, nato a Milano il 3 giugno 1969, e ivi residente in via Aurelio Saffi n. 9, difeso dall’Avv. Roberto Palombi, elettivamente domiciliata nella Città del Vaticano presso la Cancelleria del Tribunale,

imputati:

A) Lucio Ángel VALLEJO BALDA, Francesca Immacolata CHAOUQUI e Nicola MAIO

del reato di cui all’art. 248 cod. pen. (quest’ultimo come sostituito ad opera dell’art. 25 della Legge n. IX dell’11 luglio 2013) «perché all’interno della Prefettura per gli affari economici e di Cosea si associavano tra loro formando un sodalizio criminale organizzato, dotato di una sua composizione e struttura autonoma, i cui promotori sono da individuarsi in Lucio Angel Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui, allo scopo di commettere più delitti di divulgazione di notizie e documenti concernenti gli interessi fondamentali della Santa Sede e dello Stato»;

B) Tutti gli imputati sopra citati (dal n. 1 al n. 5)

del reato di cui agli artt. 63 e 116-bis cod. pen. (quest’ultimo introdotto ad opera della Legge n. IX dell’11 luglio 2013) «perché, in concorso tra loro, Vallejo Balda nella qualità di Segretario generale della Prefettura per gli affari economici, Chaouqui quale membro della Cosea, Maio quale collaboratore di Vallejo Balda per le questioni riguardanti la Cosea, Fittipaldi e Nuzzi quali giornalisti, si sono illegittimamente procurati e successivamente hanno rivelato notizie e documenti concernenti gli interessi fondamentali della Santa Sede e dello Stato; in particolare, Vallejo Balda, Chaouqui e Maio si procuravano tali notizie e documenti nell’ambito dei loro rispettivi incarichi nella Prefettura per gli affari economici e nella Cosea; mentre Fittipaldi e Nuzzi sollecitavano ed esercitavano pressioni, soprattutto su Vallejo Balda, per ottenere documenti e notizie riservati, che poi in parte hanno utilizzato per la redazione di due libri usciti in Italia nel novembre 2015».

Reati commessi nella Città del Vaticano, dal marzo 2013 al 5 novembre 2015.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. In data 29 ottobre 2015 veniva depositata in Cancelleria, indirizzata al Promotore di Giustizia del Tribunale, una nota del Direttore del Corpo della Gendarmeria, Prot. N. 61/Ris/ca (documento 1 del fascicolo d’ufficio; d’ora in poi doc. f u), con la quale si comunicava che erano state avviate indagini di polizia giudiziaria volte ad accertare eventuali illeciti concernenti la divulgazione di documenti attinenti ad attività economiche ed amministrative poste in essere da Organismi della Santa Sede nell’esercizio delle loro funzioni.

Con successivo rapporto, depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2015, Prot. N. 61/1/Ris/ca (doc. 2 f u), lo stesso Direttore del Corpo della Gendarmeria dava conto al Promotore di Giustizia delle indagini effettuate nelle quali assumevano particolare importanza le dichiarazioni in sede inquirente – del quale si allegava il verbale – rese dal segretario della Prefettura per gli Affari Economici della Santa Sede (d’ora in poi Prefettura) Mons. Lucio Ángel V allejo Balda (che era stato anche segretario coordinatore della Cosea, Commissione voluta da Papa Francesco) il 9 ottobre 2015 davanti all’Autorità di polizia giudiziaria in merito ad un tentativo di furto al computer del Revisore Generale, dott. Libero Milone, perpetrato nei locali della Prefettura tra il pomeriggio di venerdì 25 settembre 2015 e le 8.45 del successivo lunedì 28 settembre; dalle affermazioni e dall’analisi delle comunicazioni informatiche dei dispositivi elettronici (computer e telefono cellulare) di Mons. L.Á Vallejo Balda emergeva – insieme a elementi e a circostanze che gli inquirenti ritenevano utili alle indagini – la trasmissione da parte dello stesso Prelato di documenti, attinenti in particolare ai lavori della Cosea, al giornalista dott. Gianluigi Nuzzi.

2. Con rapporto, Prot. N.61/2/Ris/ca, depositato in Cancelleria il 3 novembre 2015 (doc. 4 f u ), il Direttore del Corpo della Gendarmeria comunicava al Promotore di Giustizia che, in seguito agli esiti investigativi, l’Autorità di Polizia giudiziaria, allo scopo di un conveniente approfondimento delle indagini, in sede inquirente, aveva sottoposto ad esame la dott.ssa Francesca Immacolata Chaouqui, che era stata membro della Cosea (doc. 4 allegato 2 f u). In relazione a quanto emerso dalle sue dichiarazioni e in riferimento all’art. 116 bis c.p., l’Autorità di Polizia giudiziaria, aveva interrotto l’esame investigativo, e aveva proceduto all’arresto della dott.ssa F. I. Chaouqui (doc. 4 f u allegato 2), ascoltata ancora, in stato di arresto, il 1° novembre 2015 (doc. 4 f u allegato 3). Il 1° novembre 2015 la medesima Autorità di polizia giudiziaria aveva proceduto all’arresto di Mons. L. A. Vallejo Balda (doc. 4 f u allegato 1). Gli arresti erano stati convalidati dal Promotore di Giustizia. Inoltre Mons. L.Á. Vallejo Balda e la dott.ssa F. I. Chaouqui, entrambi in stato d’arresto, i giornalisti G. Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, l’uno e l’altro a piede libero e altri soggetti, allo stato delle indagini ancora ignoti, con lo stesso rapporto del Direttore del Corpo della Gendarmeria (doc. 4 f u) venivano denunciati, ai sensi degli art. 63, 64 e 116 bis c.p., al Promotore di Giustizia, che, con provvedimento del 2 novembre 2015 (doc. 4bis f u), disponeva «l’immediata scarcerazione della dott.ssa Francesca Immacolata Chaouqui, se non detenuta per altro».

3. Nella successiva fase investigativa hanno assunto peculiare importanza gli interrogatori resi davanti al Promotore di Giustizia nel mese di novembre del 2015 e più specialmente: da Mons. Alfredo Abbondi, capo ufficio della Prefettura, il giorno 3 (doc. 5 f u); dal dott. Nicola Maio, che era stato segretario esecutivo della Cosea, il giorno 4 (doc. 9 f u); da Mons. L.Á. Vallejo Balda, in stato di detenzione, il giorno 4 e il giorno 6 (rispettivamente, doc. 10 e 15 f u); dal dott. Stefano Fralleoni, ragioniere generale della Prefettura, il giorno 5 (doc. 11 f u); dal dott. Rosino Antonio Morelli, addetto all’analisi dei bilanci presso la Prefettura, il giorno 5 (doc. 12 f u); dalla dott. Paola Monaco, all’epoca dei fatti di causa assistente segretaria personale del Presidente della Prefettura e successivamente assistente del Segretario del Consiglio per l’Economia, il giorno 6 (doc. 13 f u); dalla per. Az. Paola Pellegrino, archivista della Prefettura, il giorno 6 (doc. 14 f u); dal per. Agr. Fabio Schiaffi, protocollista della Prefettura, il giorno 10 (doc. 17 f u); dal dott. Roberto Minotti, ai tempi dei fatti di causa amministratore del sistema informatico della Prefettura e susseguentemente dipendente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (d’ora in poi Apsa), il giorno 10 (doc. 18 f u).

4. Con note del Direttore del Corpo della Gendarmeria – Prot. N 61/1bis/Ris/ca, e Prot. N. 61/2bis/Ris/ca, depositate in Cancelleria il 12 novembre 2015 (rispettivamente doc. 19 e 20 f u) –, che avevano in allegato i verbalidi acquisizione degli strumenti informatici, correlativamente, della dott.ssa F. I. Chaouqui e di Mons. L. Á. Vallejo Balda, veniva richiesto di poter procedere alle analisi informatiche al Promotore di Giustizia, che, in calce, sottoscriveva il provvedimento di autorizzazione. Il 12 novembre 2015 lo stesso Promotore di Giustizia procedeva all’interrogatorio della dott.ssa F. I. Chaouqui (doc. 22 f u, con allegati i documenti contestati all’indagata).

5. Il Direttore del Corpo della Gendarmeria il 16 novembre 2015 depositava in Cancelleria tre note indirizzate al Promotore di Giustizia relative a verbali di dichiarazioni rese spontaneamente davanti all’Autorità di polizia giudiziaria: la prima, dell’11 novembre 2015, Prot. N. 61/8/Ris/ca (doc. 27 f u), dalla dott.ssa F. I. Chaouqui; la seconda, del 13 novembre 2015, Prot. N. 61/10/2015 sds/Ris (doc. 28 f u), dal giornalista dott. E. Fittipaldi e la terza, del 13 novembre 2015, Prot. N. 61/11/2015/sds/Ris (doc. 29 f u), dal dott. Mario Benotti.

6. Il 16 novembre 2015 il Promotore di Giustizia procedeva all’interrogatorio del giornalista dott. E. Fittipaldi (doc. 30 f u) e il 17 novembre del medesimo anno a quello del giornalista dott. G. Nuzzi (doc. 31 f u). Lo stesso 17 novembre 2015 il Promotore di Giustizia effettuava nuovi interrogatori del dott. S. Fralleoni (doc. 32 f u) e della dott.ssa F. I. Chauoqui (doc. 33 f u), espletando altresì un interrogatorio in confronto tra Mons. L. Á.Vallejo Balda, in stato di detenzione, e la dott.ssa F. I. Chaouqui (doc. 34 f u).

7. Con nota Prot. N. 61/12/Ris/ca, depositata in Cancelleria il 17 novembre 2015 (doc. 35 f u), il Direttore del Corpo della Gendarmeria trasmetteva al Promotore di Giustizia il verbale delle dichiarazioni rese spontaneamente da Mons. L. Á. V allejo Balda, in stato di detenzione, all’Autorità di polizia giudiziaria, con in allegato, i documenti ai quali l’inquisito aveva fatto riferimento nel corso della sua esposizione. Ancora, con nota, Prot. N. 61/9/1/2015 sds/Ris, depositata in Cancelleria il 20 novembre 2015 (doc. 39 f u), il Direttore del Corpo della Gendarmeria trasmetteva al Promotore di Giustizia la comunicazione pervenuta dal dott. Rolando Marranci, direttore dell’Istituto per le Opere di Religione (d’ora in poi IOR), con l’esito negativo delle ricerche effettuate su richiesta dello stesso Direttore del Corpo della Gendarmeria in merito all’esistenza di eventuali “conti di fondazione” legati a persona della quale si precisa l’identità. Inoltre con nota, Prot. N. 61/13/2015/sds/Ris, depositata in Cancelleria il 20 novembre 2015 (doc. 40 f u), il medesimo Direttore del Corpo della Gendarmeria trasmetteva al Promotore di Giustizia copia autografa del “memorandum” scritto da Mons. L. Á. V allejo Balda nei giorni successivi all’arresto.

8. Con una nota, Prot.61/14/2015/sds/Ris, depositata in Cancelleria il 20 novembre 2015 (doc. 41 f u), il Direttore del Corpo della Gendarmeria trasmetteva al Promotore di Giustizia i fascicoli contenenti il dettaglio dell’analisi forense eseguita sui cellulari che erano stati nella disponibilità dell’indagato Mons. L. Á. Vallejo Balda (“iPhone 5″ e ” iPhone 6 plus”) attinenti alle conversazioni via whatsapp tra: 1. Mons. L. Á. Vallejo Balda e F. I. Chaouqui (“iPhone 5″ chat cancellata); 2. Mons. L. Á. Vallejo Balda e F. I. Chaouqui (“iPhone plus”); 3. Mons. L. Á. Vallejo Balda e G. Nuzzi; 4. Mons. L.Á Vallejo Balda ed E. Fittipaldi; 5. Mons. L. Á. Vallejo Balda e il giornalista Paolo Mondani.

9. Nel suo atto di rinvio a giudizio, depositato in Cancelleria il 20 novembre 2015 (doc. 43 f u), il Promotore di Giustizia – ricostruiti i fatti in controversia in base alle indagini svolte nella “istruzione sommaria” – chiedeva al Presidente del Tribunale di emettere decreto di citazione in giudizio a carico di Lucio Ángel V allejo Balda, Francesca Immacolata Chaouqui e Nicola Maio per rispondere del reato di associazione criminale, ai sensi dell’art. 248 c.p., così come integralmente sostituito dall’art. 25 della Legge 11 luglio 2013, n. IX, e a carico di Lucio Ángel V allejo Balda, Francesca Immacolata Chaouqui, Nicola Maio, Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi per rispondere del reato di divulgazione di notizie e documenti alla stregua degli art. 63 e 116 bis c.p., delitto introdotto dall’art. 10 della Legge 11 luglio 2013, n. IX, reati commessi nello Stato della Città del Vaticano (d’ora in poi SCV) dal marzo 2013 al 5 novembre 2015; lo stesso Promotore di Giustizia chiedeva inoltre al Presidente del Tribunale che venisse citata a comparire, in quanto parte lesa, la Santa Sede in persona dell’Em.mo Cardinale Segretario di Stato, con la precisazione che tale comparizione era facoltativa; il medesimo Promotore di Giustizia depositava in Cancelleria gli atti del procedimento e domandava ancora al Presidente del Tribunale che venissero citati per il dibattimento i signori: dott. Domenico Giani, Direttore del Corpo della Gendarmeria; dott. Costanzo Alessandrini, Dirigente del Corpo della Gendarmeria; dott. Ing. Gianluca Gauzzi, vice Commissario del Corpo della Gendarmeria; Stefano De Santis, Gendarme; Francesco Minafra, Gendarme; dott. Stefano Fralleoni, Ragioniere generale presso la Prefettura; per. Az. Paola Pellegrino, Archivista presso la Prefettura; per. Agr. Fabio Schiaffi, Addetto al protocollo presso la Prefettura; dott. Roberto Minotti, dipendente dell’APSA; dott.ssa Paola Monaco, Dipendente del Consiglio per l’Economia.

Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi

Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi

Il Presidente del Tribunale, con suo decreto posto in calce del 20 novembre 2015, ordinava che L. Á. Vallejo Balda, F. I. Chaouqui, N. Maio, E. Fittipaldi e G. Nuzzi venissero citati a comparire nell’aula delle udienze del Tribunale il successivo 24 novembre 2015 alle ore 10.30 con l’avvertenza che, non comparendo, sarebbero stati giudicati in contumacia; stabiliva la composizione del Collegio giudicante e avvisava che durante i termini per comparire i difensori avevano facoltà di esaminare in Cancelleria gli atti e i documenti e di estrarre copia; fissava per il giorno 28 novembre 2015 alle ore 12.30 il termine per proporre le prove a difesa; ordinava la comparizione nel medesimo luogo, allo stesso giorno e alla stessa ora della parte lesa, la Santa Sede nella persona dell’Em.mo Cardinale Segretario di Stato, con la specificazione che la sua comparizione era facoltativa; si riservava di disporre con successivo provvedimento la citazione dei testimoni indicati dal Promotore di Giustizia; ordinava che, con le richieste del Promotore di Giustizia, il decreto venisse notificato agli imputati e alla parte lesa e comunicato al Promotore di Giustizia e ai difensori degli imputati.

  1. Nella udienza del 24 novembre 2015 (doc. 52 f u) il difensore dell’imputato L. Á. Vallejo Balda, avv. Emanuela Bellardini, in quanto appena nominata a seguito della rinuncia della precedente patrona, chiedeva i termini a difesa; su richiesta del suo difensore, avv. Lucia Teresa Musso, il Presidente del Tribunale dava quindi la parola all’imputato E. Fittipaldi, che faceva una breve dichiarazione al termine della quale depositava una scrittura nella quale era riportato quanto da lui stesso esposto. La medesima patrona depositava una memoria con la quale sollevava eccezione di nullità del decreto di citazione in giudizio per violazione degli artt. 355, 358 e 359 c.p.p.; ad una tale eccezione si opponeva il Promotore di Giustizia.Il Collegio, con propria ordinanza motivata, dichiarava soddisfatta dai termini fissati dal decreto presidenziale del 15 novembre 2015 la richiesta della difesa dell’imputato L. Á. Vallejo Balda e respingeva l’eccezione sollevata dalla difesa dell’imputato E. Fittipaldi.
  2. Con propria istanza depositata in Cancelleria il 28 novembre (doc. 58 f u), l’avv. Rita Claudia Baffioni, difensore dell’imputato N. Maio, chiedeva la citazione come teste di Mons. Alfredo Abbondi e l’acquisizione agli atti di causa di alcuni documenti allegati alla sua scrittura.Con propria memoria depositata in Cancelleria il 28 novembre 2015(doc. 59 f u), l’avv. Laura Sgrò, difensore dell’imputata F.I. Chaouqui, sollevava il difetto di giurisdizione del Tribunale nei confronti della sua assistita, sia in quanto l’imputata si trovava nello stato di rifugiato così come questo è disciplinato dall’art. 22 del Trattato del Laterano, sia perché i fatti contestati alla medesima imputata si erano interamente svolti in Italia; la stessa patrona affermava inoltre che nel corso del procedimento si era verificata la violazione dei diritti di difesa e dei principi del giusto processo, chiedendo i termini a difesa; asserita l’estraneità della propria assistita ai fatti in controversia, se ne richiedeva l’assoluzione con ampia formula liberatoria. Con altra istanza depositata lo stesso 28 novembre 2015 (doc. 60 f u), la medesima patrona dell’imputata F. I. Chaouqui precisava le proprie richieste probatorie, domandando la citazione come testi del Cardinale Santos Abril y Castelló nella sua qualità di Prelato della Basilica di S. Maria Maggiore, del Cardinale Pietro Parolin nella sua qualità di Segretario di Stato, di S.E.R. Mons. Konrad Krajewski nella qualità di elemosiniere di Sua Santità, di S.E.R. Mons. Paolo Lojudice nella sua qualità di vescovo ausiliare della diocesi di Roma, della dott. Lucia Ercoli nella sua qualità di ufficiale medico e di P. Vittorio Trani nella sua qualità di Cappellano del carcere di “Regina Coeli”; si chiedeva inoltre «al Tribunale di voler disporre perizia avente ad oggetto le integrali comunicazioni telefoniche anche via sms, e-mail e whatsapp, estrapolate dai cellulari sottoposti a sequestro al fine di verificarne l’autenticità e la completezza, consentendo altresì alla parte istante la nomina di un proprio consulente tecnico che» potesse «partecipare alle attività peritali».

Con propria istanza depositata in Cancelleria il 28 novembre 2015 (doc. 61 f u), l’avv. Roberto Palombi, difensore dell’imputato G. Nuzzi, chiedeva l’escussione testimoniale dei signori: Paolo Mieli, Paolo Mondani, Marco Antonio Bernardi e Paola Brazzale.

Con propria istanza depositata in Cancelleria il 28 novembre 2015 (doc. 62 f u), l’avv. L.T. Musso, difensore dell’imputato E. Fittipaldi, chiedeva l’acquisizione agli atti di causa di alcuni documenti allegati alla propria scrittura.

Con propria istanza depositata in Cancelleria il 28 novembre 2015 (doc. 63 f u), l’avv. E. Bellardini, difensore dell’imputato L. Á. Vallejo Balda – oltre a precisare talune domande da porre agli altri quattro imputati al momento dei loro interrogatori – domandava l’escussione testimoniale del sig. Mario Benotti, come pure l’acquisizione agli atti delle conversazioni via e-mail relative al mese di maggio 2015 tra gli imputati L. Á. Vallejo Balda e F. I. Chaouqui in possesso delle Autorità inquirenti, in quanto presenti nel computer in uso allo stesso imputato; il medesimo difensore chiedeva inoltre al Tribunale di voler disporre sull’imputato L. Á. V allejo Balda una perizia psicologica, in considerazione di talune dichiarazioni presenti in atti ed esplicitamente richiamate dalle quali si evinceva uno stato di estrema fragilità psico-emotiva dell’imputato.

12. L’avv. L. Sgrò, difensore dell’imputata F. I. Chaouqui, in data 5 dicembre 2015 (doc. 64 f u), ad integrazione di quella del 28 novembre del medesimo anno (doc. 59 f u, cfr. supra, n. 13), depositava in Cancelleria una nuova e più ampia memoria difensiva, come pure, a completamento di quella del 28 novembre 2015 (cfr. doc. 60 f u, cfr. supra, n. 13), depositava in Cancelleria, sempre con la medesima data del 5 dicembre 2015, un’altra scrittura (doc. 65 f u) con la quale, in aggiunta alle escussioni testimoniali ed alla perizia informatica già richiesti, domandava l’acquisizione agli atti di causa di alcuni documenti, allegati alla stessa istanza.

  1. Con suo provvedimento del 2 dicembre 2015, depositato in Cancelleria il successivo 5 dicembre (doc. 66 f u), il Promotore di Giustizia ordinava, in via d’urgenza a fini di giustizia, di richiedere a Google.inc i dati di registrazione dei profili riguardanti la posta elettronica: lavabalda@gmail.com. Nello specifico si dovevano domandare: 1. Tutti i dati di registrazione (scheda di registrazione, altri servizi attivi, indirizzo IP, e-mail secondaria);2. Log files (dal 1° marzo 2015 al 31 agosto 2015). Inoltre, con il medesimo provvedimento, il Promotore di Giustizia disponeva di richiedere a Google.inc la consegna immediata alla polizia giudiziaria – Corpo della Gendarmeria, delle cose, degli atti ovvero dei documenti attinenti alla fitta corrispondenza dell’imputato L. Á. Vallejo Balda con varie personetralequaliancheilgiornalistaG.Nuzzi,ordinandonelaconsegnaincopiacartacea o informatica; con quello stesso provvedimento il Promotore di Giustizia stabiliva altresì che il Corpo della Gendarmeria acquisisse, ovunque detenuta o reperita, la documentazione afferente i “logs” del suddetto account. Il dott. S. Fralleoni, con sue scritture al Presidente del Tribunale e al Promotore di Giustizia pervenute in Cancelleria in data 3 dicembre 2015 (doc. 67 e 69 f u), esplicitava talune sue considerazioni su passi specifici contenuti nei libri “Via Crucis” di G. Nuzzi e “Avarizia” di
    E. Fittipaldi.
  2. Nell’udienza del 7 dicembre 2015 (doc. 71 f u), l’avv. L. Sgrò, difensore dell’imputata F. I. Chaouqui, chiariva le motivazioni alla base delle eccezioni sollevate in merito alla carenza di giurisdizione del Tribunale in relazione alla sua assistita; il Promotore di Giustizia illustrava le motivazioni che, a suo giudizio, si opponevano all’accoglimento di tali eccezioni. Gli avvocati di tutti gli imputati esplicitavano quindi le proprie richieste istruttorie in relazione alle quali il Promotore di Giustizia esprimeva le proprie osservazioni.Il Collegio, con ordinanza motivata, respingeva le eccezioni concernenti il proprio difetto di giurisdizione in rapporto all’imputata F. I. Chaouqui, come pure la richiesta della difesa dell’imputato L.Á. Vallejo Balda in merito ad una perizia psicologica nei confronti di quest’ultimo. Il Tribunale, con quella medesima ordinanza, accoglieva invece le altre richieste. Più specialmente affermava l’ammissibilità delle domande postulate: 1) dalla difesa dell’imputato L. Á. Vallejo Balda attinente alla acquisizione agli atti di causa delle conversazioni via e-mail relative al mese di luglio 2015 tra gli imputati L. Á. Vallejo Balda e F. I. Chaouqui, esistenti nel computer dello stesso imputato; 2) dalla difesa dell’imputata F. I. Chaouqui riguardante la disposizione di una perizia informatica avente ad oggetto l’accertamento delle comunicazioni integrali, via sms, e-mail e whatsapp, estraibili dai telefoni cellulari sottoposti a sequestro, stabilendo che le operazioni peritali – alle quali poteva partecipare un secondo perito designato dai medesimi imputati – si svolgessero nel luogo nel quale si trovavano gli strumenti informatici sequestrati e statuendo altresì il divieto di portare fuori dello Stato qualsiasi elemento attinente allo stesso materiale informatico; 3) dalla difesa dell’imputato N. Maio, concernente l’acquisizione agli atti di causa delle conversazioni del 5 e del 9 dicembre 2014 tra gli imputati N. Maio e F. I. Chaouqui, disponendo all’uopo la consegna al Promotore di Giustizia entro il 14 dicembre 2015 degli strumenti informatici nei quali erano contenute e sottoponendo la loro estrazione alle stesse condizioni alle quali erano state subordinate le operazioni peritali; 4) dalle difese di diversi imputati – purché proposte in scritture depositate in termini – relative sia alla acquisizione di documentazione negli atti di causa sia alla escussione dei testimoni accolta per tutti quelli richiesti in termini.
  1. Con nota, Prot. N. 61/21/2015/sds/Ris, depositata in Cancelleria l’11 dicembre 2015 (doc. 72 f u), il Direttore del Corpo della Gendarmeria trasmetteva al Promotore di Giustizia il verbale di sequestro di documentazione varia custodita all’interno dell’ufficio dell’imputato
    L. Á. Vallejo Balda, con la precisazione che quella medesima documentazione era custodita negli uffici del Comando della Gendarmeria a disposizione dell’Autorità giudiziaria.
  2. In data 12 dicembre 2015 l’avv. E. Bellardini, difensore dell’imputato L. Á. Vallejo Balda, depositava in Cancelleria istanza (doc. 73 f u), con la quale chiedeva la libertà provvisoria per il proprio assistito al Presidente del Tribunale, il quale, con proprio decreto in data 12 dicembre 2015 posto in calce, disponeva la trasmissione dell’atto stesso al Promotore di Giustizia per il parere che, espresso in senso condizionatamente favorevole, veniva depositato in Cancelleria in data 19 dicembre 2015 (doc. 80 f u).
  3. Il Presidente del Tribunale, con suo decreto del 22 dicembre 2015 depositato in Cancelleria lo stesso giorno (doc. 82 f u), concedeva all’imputato L. Á. Vallejo Balda, con l’obbligo di dimorare presso la Comunità dei Penitenzieri nel palazzo del Tribunale, la libertà provvisoria, subordinandola fino all’esito dell’interrogatorio dibattimentale alla vigilanza esterna e continuativa da parte della Gendarmeria, al divieto di comunicazioni telefonica e informatica, al controllo della corrispondenza, circoscrivendo le visite all’avvocato difensore, ai consanguinei fino al secondo grado della linea collaterale, al confessore, al personale diplomatico dell’Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, al personale medico e paramedico, previa autorizzazione, consentendo la possibilità di deambulazione nello Stato, sotto il controllo della Gendarmeria e con il divieto di contatti con terze persone e concedendo altresì la possibilità di celebrare quotidianamente la Santa Messa e di partecipare alle preghiere in comune o ad altri atti di culto della Comunità dei Penitenzieri. Il Direttore del Corpo della Gendarmeria, con nota Prot. N. 61/24/2015/sds/Ris, depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2015 (doc. 85 f u), trasmetteva al Presidente del Tribunale il processo verbale di remissione in libertà provvisoria dell’imputato L. Á. Vallejo Balda con obbligo di dimora presso la Comunità dei Padri Penitenzieri nel palazzo del Tribunale.

18. In data 12 dicembre 2015 – in relazione a quanto disposto con l’ordinanza del 7 dicembre del medesimo anno (cfr. supra, n. 14) – si aveva, depositati in Cancelleria: verbale di consegna nella medesima Cancelleria, da parte dell’avv. R. C. Baffioni e del suo assistito N. Maio, del cellulare di proprietà di quest’ultimo dal quale estrarre le conversazioni richieste ed accolte dal Tribunale (doc. 76 f u); istanza della medesima patrona con la quale si domandava la trasmissione al Corpo della Gendarmeria del cellulare depositato (cfr. doc. 74 f u) allo scopo – con la partecipazione del medesimo avvocato e del suo difeso – di estrarre le conversazioni ammesse dal Collegio con l’ordinanza del 7 dicembre 2015 (cfr. supra, n. 14), con in calce il provvedimento autorizzativo del Promotore di Giustizia; verbale di ricevimento dello stesso cellulare da parte dell’ing. G. Gauzzi, vice Commissario del Centro di sicurezza del Corpo della Gendarmeria (doc. 75 f u).

19.Con nota del Direttore del Corpo della Gendarmeria, Prot. N. 61/23/2015/sds/Ris, depositata in Cancelleria in data 14 dicembre 2015 (doc. 77 f u), veniva trasmesso al Promotore di Giustizia processo verbale di acquisizione delle conversazioni, via sms, del 5 e del 9 dicembre 2014 tra gli imputati N. Maio e F. I. Chaouqui; con la medesima nota si informava che le operazioni di estrapolazione delle conversazioni erano state eseguite presso l’ufficio del medesimo Corpo della Gendarmeria con la costante presenza dell’avv.

R.C. Baffioni e del suo assistito.

20. In data 14 dicembre 2015 veniva depositata in Cancelleria una nota del Direttore del Corpo della Gendarmeria, Prot. N. 61/22/2015/sds/Ris, indirizzata al Presidente del Tribunale (doc. 78 f u), con la quale, in rapporto alle perizie tecniche ammesse con l’ordinanza del 7 dicembre 2015 (cfr. supra, n. 14), si chiedeva di disporre la limitazione ai soli documenti oggetto di indagine, essendo in corso attività investigative allo scopo di determinare eventuali responsabilità penali di altri soggetti, allo stato, ancora da identificare; in calce era posto documento del Presidente del Tribunale che disponeva la trasmissione dell’atto medesimo , per quanto di competenza, al Promotore di Giustizia, il quale, con sua nota depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2015 (doc. 79 f u), esprimeva il suo accordo con la richiesta del Direttore del Corpo della Gendarmeria, precisandone i termini.

21. In merito a quanto deciso con l’ordinanza del 7 dicembre 2015 (cfr. supra, n. 16), il Collegio, con ordinanza del 19 dicembre del medesimo anno, depositata in Cancelleria lo stesso giorno (doc. 81 f u), nominava come perito d’ufficio il prof. Paolo Atzeni, disponendo che, in quanto pertinenti con i fatti di causa, venissero tratte le trascrizioni: 1, delle conversazioni intervenute –via e-mail – tra gli imputati F.I. Chaouqui e L.Á Vallejo Balda relative al mese di maggio (indicato per errore materiale nell’ordinanza del 7 dicembre 2015 come mese di “luglio 2015”) esistenti nel computer sotto sequestro di quest’ultimo imputato; 2, delle comunicazioni intercorse – via sms, e-mail e whatsapp – tra gli imputati L.Á Vallejo Balda e F.I. Chaouqui dal marzo 2013 al 5 novembre 2015 presenti negli strumenti informatici sotto sequestro; 3, le conversazioni – via sms – del 5 e del 9 dicembre 2014 occorse tra gli imputati F.I. Chaouqui e N. Maio esistenti nel cellulare di quest’ultimo (cfr. supra, n. 19), qualora consegnato in termini all’ufficio del Promotore di Giustizia.

Con la stessa ordinanza di disponeva inoltre che, con la perizia, si verificasse la corrispondenza delle trascrizioni informatiche in atti e si stabiliva che le operazioni peritali

– considerata la peculiare condizione fattuale dello Stato – avvenissero nei locali del Corpo della Gendarmeria, ad opera dei soli periti e con il divieto di portare fuori dello Stato stesso qualsiasi elemento attinente al materiale informatico; con la medesima ordinanza veniva altresì nominato custode delle apparecchiature periziande il Direttore del Corpo della Gendarmeria, fissando inoltre il termine dell’11 gennaio 2016 alle ore 11.30 per l’inizio delle operazioni peritali che dovevano concludersi entro il 12 febbraio successivo alle ore 12.30, informando gli imputati del diritto di procedere alla designazione del secondo perito entro il termine perentorio del 30 dicembre 2015, con l’avvertimento che – in caso di mancato accordo – avrebbe provveduto alla nomina del secondo perito – tra quelli indicati dagli imputati – lo stesso Giudice che riservava all’esito della perizia ogni provvedimento concernente la liquidazione degli onorari.

Tramite la stessa ordinanza, infine, si imponeva l’acquisizione del fascicolo di servizio dell’imputato L. Á. Vallejo Balda, mandando alla Cancelleria di provvedere.

22. Con istanza al Presidente del Tribunale, pervenuta – via e.mail – alla Cancelleria del Tribunale il 22 dicembre 2015 (doc. 83 f u), l’imputato G. Nuzzi chiedeva che gli fosse consentito di entrare in possesso di copia integrale degli atti del fascicolo processuale, attraverso autorizzazione rilasciata al proprio difensore di fiducia; il Presidente del Tribunale, con proprio decreto del 22 dicembre del medesimo anno posto in calce, disponeva la trasmissione dell’istanza per il parere al Promotore di Giustizia. In data 8 gennaio 2016 il Promotore di Giustizia, depositandolo in Cancelleria lo stesso giorno (doc. 92 f u), esprimeva il proprio parere motivato con il quale riteneva che non vi fosse luogo a provvedere sull’istanza in questione.

In data 11 gennaio 2016, su disposizione del Presidente del Tribunale, il Cancelliere (doc. 96 f u) – in riferimento alla richiesta avanzata il 22 dicembre sulla quale era intervenuto il parere del Promotore di Giustizia – comunicava, con biglietto di Cancelleria, all’imputato G. Nuzzi che tutta la documentazione che lo riguardava attinente al processo era nella disponibilità dell’avvocato difensore per l’esercizio del diritto di difesa alla stregua della normativa vigente ed era consultabile secondo la prassi giudiziaria consolidata.

Lo stesso imputato G. Nuzzi, con istanza al Presidente del Tribunale pervenuta – via e-mail – in Cancelleria il 15 gennaio 2016 (doc. 98 f u), chiedeva che quanto comunicato l’11 gennaio2016,«ilcuitenorerisultavaoscuro,inragionedellamancataconoscenzadinorme e prassi», venisse «integrato con il necessario riferimento quanto meno alle prime e con la illustrazione della seconda e, meglio valutata la questione», ne venisse modificato il tenore, «con conseguente espressa autorizzazione… di poter disporre di copia propria degli atti processuali che lo riguardano». In relazione ad una tale istanza, in data 16 gennaio 2016, il Cancelliere, con proprio biglietto (doc. 100 f u), nel riprendere sostanzialmente quanto era già stato rappresentato nello scritto dell’11 gennaio 2016, precisava che la norma di riferimento, nel caso, era l’art. 358, comma 1, n. 4 c.p.p.

23.Con nota del Direttore del Corpo della Gendarmeria, Prot. N. 61/23/2015/sds/Ris, depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2015 (doc. 84 f u), si richiedeva al Promotore di Giustizia – che deliberava quanto richiesto con provvedimento del 28 dicembre 2015 posto in calce che ne specificava i termini – di disporre che la Direzione delle Telecomunicazioni del Governatorato dello Stato comunicasse al comando del Corpo della Gendarmeria gli eventuali contatti intercorsi nel periodo 10-19 dicembre 2015 tra una utenza mobile specificatamente individuata nel rapporto stesso e qualsiasi utenza vaticana fissa e mobile.

  1. In relazione all’ordinanza del Tribunale del 19 dicembre 2015 (cfr. supra, n. 21), l’avv. L. Sgrò, patrona dell’imputata F.I. Chaouqui, con istanza depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2015 (doc. 88 f u), designava come secondo perito, l’ing. Stefano De Nardis, investito delle funzioni dal Presidente del Tribunale con decreto dell’11 gennaio 2016, depositato in Cancelleria lo stesso giorno (doc. 97 f u). Davanti allo stesso Presidente del Tribunale prestava giuramento: l’11 gennaio 2016 (doc. 95 f u) il prof. P. Atzeni, nominato perito d’ufficio con l’ordinanza del 19 dicembre 2015 (cfr. supra, n. 21) e il 16 gennaio dello stesso anno (doc. 101 f u) l’ing. S. De Nardis, investito delle funzioni di secondo perito con decreto del Presidente del Tribunale dell’11 gennaio 2016. Con nota depositata in Cancelleria il 20 febbraio 2016 (doc. 107 f u) il perito d’ufficio chiedeva fino al successivo 3 marzo una proroga per la conclusione delle operazioni peritali, concessa con decreto del Presidente del Tribunale in data 20 febbraio 2016, depositato in Cancelleria il medesimo giorno (doc. 108 f u). In data 2 marzo 2016 il perito d’ufficio e il secondo perito depositavano in Cancelleria la relazione peritale comprensiva di due allegati, il primo, “Verbale riassuntivo delle operazioni peritali”, e il secondo, “Ufed Cloud Analizer Report” (doc. 110 f u).
  2. In risposta alla lettera del Cancelliere del 28 dicembre 2015 (doc. 87 f u) che dava esecuzione sul punto all’ordinanza del Tribunale del 7 dicembre 2015 (cfr. supra, n. 16; cfr. anche ordinanza del Tribunale del 19 dicembre 2015, cfr. supra, n. 21), il 7 gennaio 2016 perveniva in Cancelleria lettera del Segretario della sezione amministrativa della Segreteria per l’Economia della Santa Sede indirizzata al Tribunale (doc. 90 f u), alla quale erano allegate le certificazioni relative al fascicolo inerente allo stato di servizio dell’imputato L.Á.Vallejo Balda.
  3. Il Direttore del Corpo della Gendarmeria con rapporti inviati al Presidente del Tribunale – Prot. N. 61725/Ris/2015 – sm e Prot. N. 61/26/2015/sds/Ris, depositati in Cancelleria, rispettivamente il 28 (doc. 86 f u) e il 29 (doc. 89 f u) dicembre 2015 – comunicava che l’imputato L.Á. Vallejo Balda aveva posto in essere comportamenti in violazione (doc. 86 f u) delle clausole alle quali era stata condizionata la libertà provvisoria (cfr. supra, n. 18) o comunque a tale riguardo censurabili (doc. 89 f u). Il Promotore di Giustizia – in relazione a quanto rappresentato dal Direttore del Corpo della Gendarmeria in merito ai contegni dell’imputato L.Á. Vallejo Balda in riferimento ai vincoli ai quali era stato sottoposto il suo stato di libertà provvisoria – con provvedimento motivato del 9 gennaio 2016 depositato in Cancelleria il medesimo giorno (doc. 93 f u) – disponeva «a fini investigativi e limitatamente alla acquisizione di fatti e circostanze per cui è processo, che si» procedesse «da parte della Gendarmeria, con le modalità ritenute più opportune, ad intercettare l’utenza telefonica «partitamente identificata dallo stesso Direttore del Corpo della Gendarmeria il 29 dicembre 2015» (doc. 89 f u), «nonché ad accedere, sempre ai fini di prova al/ai computer presenti nella biblioteca» della Comunità dei Padri Penitenzieri, «per acquisire i siti internet e l’utilizzo della posta personale dell’imputato».

Il medesimo Direttore del Corpo della Gendarmeria, con nota al Presidente del Tribunale, Prot. N. 61/28/2015/sds/Ris, depositata in Cancelleria il 5 marzo 2016 (doc. 111 f u), considerati gli esiti ai quali la Polizia giudiziaria era pervenuta in merito alla violazione di clausole condizionanti la sua libertà provvisoria (cfr. supra, n. 18) da parte dell’imputato L.Á. Vallejo Balda, chiedeva l’autorizzazione al compimento sia di una perquisizione personale dell’imputato e locale degli ambienti che questi aveva a disposizione sia alla effettuazione di analisi forense degli apparati elettronici eventualmente reperiti durante le operazioni ispettive. Il Presidente del Tribunale, sentito il Promotore di Giustizia, con suo decreto del 5 marzo 2016 depositato in Cancelleria lo stesso giorno (doc. 113 f u), disponeva che gli Ufficiali di Polizia giudiziaria procedessero alla perquisizione così personale dell’imputato L.Á. Vallejo Balda, come locale dell’alloggio che questi aveva in uso e delle dipendenze funzionali.

Con nota del Direttore del Corpo della Gendarmeria, Prot. N. 61/29/2015/sds/Ris, depositata in Cancelleria il 7 marzo 2016 (doc. 115 f u), si comunicava che le perquisizioni autorizzate compiute il 5 marzo 2016 avevano portato al rinvenimento di un telefono cellulare (Apple mod. i-phone 4 di colore nero con annessa scheda Tim) in possesso dell’imputato L.Á Vallejo e avevano anche indotto gli inquirenti a porre sotto sequestro il

«computer denominato sicomputer marca Activa… presente all’interno della biblioteca della Comunità dei Padri Penitenzieri che, come dichiarato da mons. Balda, veniva utilizzato dallo stesso di rado per collegarsi via Skype e parlare con alcuni amici soprattutto in Spagna»; nella medesima nota si riferiva altresì che, considerata la flagrante violazione delle disposizioni prescritte nella concessione della libertà provvisoria, l’imputato L.Á. Vallejo Balda era stato trasferito nella cella della caserma del Corpo della Gendarmeria in attesa delle determinazioni della Autorità giudiziaria procedente; alla stessa nota, con la quale si chiedeva di procedere all’analisi forense dei dispositivi elettronici sequestrati, era inoltre allegato sia il processo verbale di perquisizione personale e domiciliare e di interrogatorio dello stesso imputato inquisito sia il materiale fotografico documentante le medesime operazioni ispettive.

Il Presidente del Tribunale, con suo decreto sempre del 5 marzo 2016 depositato in Cancelleria lo stesso giorno (doc. 114 f u), convalidava per l’imputato L.Á. Vallejo Balda la misura cautelare della carcerazione nella cella situata negli alloggiamenti del Corpo della Gendarmeria, autorizzava l’analisi forense sui materiali sequestrati e disponeva la trasmissione di copia degli atti al Promotore di Giustizia allo scopo della eventuale individuazione di altri reati del medesimo imputato. Il Direttore del Corpo della Gendarmeria con nota, Prot. N. 61/30/2015/sds/Ris, depositata in Cancelleria il 5 marzo 2016 (doc. 115 B f u), in relazione al decreto di convalida della carcerazione cautelare nei confronti dell’imputato L.Á. Vallejo Balda chiedeva l’autorizzazione al Promotore di Giustizia – che con provvedimento dello stesso 5 marzo 2016 posto in calce la concedeva – di disporre l’intercettazione ambientale delle visite allo stesso imputato delle persone segnalate dal Tribunale, con la eccezione di quelle con il proprio difensore, con il confessore e con il personale diplomatico.

27.L’avv. E. Bellardini, difensore dell’imputato L.Á. Vallejo Balda, con istanza motivata depositata in Cancelleria il 9 gennaio 2016 (doc. 91 f u) chiedeva al Presidente del Tribunale – che con decreto dell’11 gennaio 2016 posto in calce concedeva quanto richiesto
– di autorizzare Don Jesus Sainz Balda – consanguineo in secondo grado in linea collaterale dell’imputato L.Á. Vallejo Balda – a provvedere al soddisfacimento degli oneri pecuniari in capo all’imputato (bollette, fatture, note di spesa) accedendo e prelevando le somme necessarie dal conto deposito presso lo IOR intestato al medesimo imputato, previa esibizione degli strumenti di addebito con l’obbligo di presentare mensilmente una relazione di rendicontazione delle operazioni effettuate con allegate le ricevute di pagamento. La stessa patrona, con istanza motivata depositata in Cancelleria il 15 gennaio 2016 (doc. 99 f u), domandava al Presidente del Tribunale – che con decreto del 16 gennaio successivo, posto in calce, lo accordava, previa approvazione di volta in volta – di permettere a Don Jesus Sainz Balda di incontrare settimanalmente il proprio assistito, in stato di detenzione, ai fini di una conveniente organizzazione della liquidazione degli esborsi gravanti sull’imputato L.Á. Vallejo Balda, autorizzati con il decreto presidenziale dell’11 gennaio 2016 (doc. 91 f u).

  1. Il Direttore del Corpo della Gendarmeria, con nota, Prot. N. 61/27/2015/Ris, indirizzata al Promotore di Giustizia depositata in Cancelleria l’11 gennaio 2016 (doc. 94 f u), ai fini delle indagini in corso, in particolare nei riguardi degli imputati L.Á. Vallejo Balda e F.I. Chaouqui – quest’ultima in relazione al periodo nel quale era stata membro della COSEA e fino all’inizio del processo – rappresentava la necessità di disporre dei dati informatici (sms, messaggistica, e-mail) contenuti nei telefoni cellulari e nel computer che erano nella disponibilità dell’imputata F.I. Chaouqui. Pertanto lo stesso Direttore domandava al Promotore di Giustizia «di volere interessare i paritetici Uffici della Repubblica italiana al fine di richiedere la necessaria assistenza giudiziaria, trasmettendo» al Comando del Corpo della Gendarmeria «gli apparati elettronici nella disponibilità della dott.ssa Chaouqui, ovunque essi si trovino».
  2. L’avvocato L. Sgrò, difensore dell’imputata F.I. Chaouqui, con istanza motivata depositata in Cancelleria il 5 febbraio 2016 (doc. 102 f u), chiedeva al Presidente del Tribunale che i periti venissero autorizzati ad estrapolare dai dispositivi elettronici posti sotto sequestro, in relazione al periodo intercorrente tra il marzo 2013 e il novembre 2015, «la ricerca e la trascrizione delle comunicazioni tra Vallejo Balda e terzi non imputati» nel procedimento in corso, «nelle quali si faccia riferimento (in modo diretto o indiretto) alla persona di Francesca Immacolata Chaouqui». Il Presidente del Tribunale, con decreto del 5 febbraio 2016, posto in calce, disponeva la notifica dell’atto al Promotore di Giustizia ed agli altri imputati, dando tempo fino al successivo 13 febbraio per eventuali scritture. L’avv. R. C. Baffioni, difensore dell’imputato N. Maio, con istanza motivata depositata in Cancelleria il 12 febbraio 2016 (doc. 103 f u) e il Promotore di Giustizia, con nota motivata del 13 febbraio 2016 depositata in Cancelleria lo stesso giorno (doc. 104 f u), concludevano per il rigetto dell’istanza avanzata, tramite il suo difensore, dall’imputata F.I. Chaouqui. Il Collegio, con ordinanza motivata depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2016 (doc. 105 f u), respingeva, “allo stato”, l’istanza presentata dall’imputata F.I. Chaouqui, attraverso la sua patrona.
  3. Il Presidente del Tribunale, con suo decreto depositato in Cancelleria il 5 marzo 2016 (doc. 112 f u) fissava l’udienza dibattimentale per il giorno 12 marzo 2016 alle ore 9.30, stabilendone la prosecuzione per i successivi giorni 14 marzo alle ore 15.30 e 15 marzo alle ore 10.30.L’avv. E. Bellardini, difensore dell’imputato L.Á. Vallejo Balda, con suo atto depositato in Cancelleria l’11 marzo 2016 (doc. 116 f u), consegnava nella stessa Cancelleria documentazione medica attinente al proprio assistito.

31.Nella udienza dibattimentale del 12 marzo 2016 (doc. 121 f u), mentre gli avv. E. Bellardini, L.T. Musso e R. Palombi, patroni rispettivamente degli imputati L.Á. Vallejo Balda, E. Fittipaldi e G. Nuzzi non si opponevano all’acquisizione della perizia (cfr. doc. 108 f u; cfr. supra, n. 24) come pure il Promotore di Giustizia, l’avv. L. Sgrò, difensore dell’imputata F.I. Chaouqui, pur non opponendosi a tale acquisizione, chiedeva che venissero ascoltati i periti per conoscere come si erano svolte le operazioni peritali da questi poste in essere; l’avv. R.C. Baffioni, difensore dell’imputato N. Maio, sollevava la questione della mancata trascrizione di ciò che era stato richiesto per conto del suo assistito, secondo quanto era stato disposto nella ordinanza del 7 dicembre 2015 (cfr. supra, n. 16). Il Collegio, con propria ordinanza, ammetteva «le risultanze peritali» e disponeva l’audizione dei due periti.

32. All’inizio dell’udienza dibattimentale del 14 marzo 2016 (doc. 122 f u), l’avvocato R. Palombi, difensore dell’imputato G. Nuzzi, richiamato il fatto che il suo assistito il giorno seguente 15 marzo doveva comparire davanti all’Autorità giudiziaria italiana, invocava, per l’assenza di questi dal giudizio, il legittimo impedimento e le esigenze del diritto di difesa. L’avv. L. Sgrò, patrona dell’imputata F.I. Chaouqui, consegnata copia di una lettera della sua difesa al Santo Padre con la domanda di sollevarla dal segreto pontificio, ne chiedeva la lettura in aula, depositando inoltre, ai fini della loro acquisizione agli atti di causa, con taluni certificati sanitari attinenti l’imputata patrocinata dal medesimo avvocato, la denuncia querela presentata dalla medesima imputata F.I. Chaouqui alla Gendarmeria il 14 marzo 2016. L’avv. E. Bellardini, patrona dell’imputato L.Á. V allejo Balda, osservava che, concernendo il processo in atto la divulgazione di notizie avvenuta all’epoca dei fatti in controversia, diventava irrilevante, ai fini dell’inquinamento delle prove, la permanenza in carcere del suo assistito. Il Promotore di Giustizia non si opponeva all’acquisizione della documentazione presentata dall’avv. L. Sgrò.

Il Collegio, con ordinanza motivata, stabiliva la prosecuzione del giudizio in contumacia dell’imputato G. Nuzzi, disponeva l’acquisizione agli atti di causa sia della lettera dell’imputata F.I. Chaouqui al Romano Pontefice – della quale peraltro non ammetteva la lettura in aula – sia della documentazione consegnata dalla medesima imputata tramite il suo avvocato, rilevava che, pur riguardando fatti avvenuti tra il marzo 2013 e il 5 novembre 2015, l’inquinamento probatorio poteva avvenire in qualsiasi momento successivo.

Nella medesima udienza si procedeva quindi all’interrogatorio dell’imputato L.Á. Vallejo Balda.

All’inizio dell’udienza dibattimentale del 15 marzo 2016 (sempre doc. 122 f u), l’avvocato difensore dell’imputata F.I. Chaouqui, avvertendo che la sua assistita sarebbe stata ricoverata in ospedale, si riservava di fornire all’uopo la documentazione. L’avv. R.C. Baffioni, patrona dell’imputato N. Maio, chiedeva la rettifica del verbale dell’udienza del 12 marzo 2016 nel quale si doveva precisare come il suo assistito avesse provveduto al deposito del proprio telefono cellulare, dal quale erano poi state tratte le conversazioni delle quali era stata richiesta l’estrapolazione e che in effetti erano in atti (doc. 77 e 77A del f u).

Nella medesima udienza veniva quindi proseguito e concluso l’interrogatorio dell’imputato L.Á. Vallejo Balda, durante il quale l’avv. L. Sgrò, difensore dell’imputata F.I. Chaouqui, consegnava due chiavette usb contenenti, secondo quanto esplicitava, conversazioni tra la stessa imputata e una terza persona estranea al giudizio, ma concernente fatti dei quali si era avuto occasione di parlare nel processo in corso.

Si procedeva quindi all’interrogatorio dell’imputato E. Fittipaldi che, nella stessa udienza, veniva concluso.

33. Con istanza al Presidente del Tribunale depositata in Cancelleria il 16 marzo 2016 (doc. 125 f u), la patrona dell’imputata F.I. Chaouqui, avv. L. Sgrò, allegando al riguardo certificazioni sanitarie, domandava la sospensione del dibattimento fino al successivo 30 marzo, al fine di consentire alla sua assistita l’assoluto riposo prescrittole dai medici. Il Presidente del Tribunale, con suo decreto motivato depositato in Cancelleria il successivo 17 marzo (doc. 127 f u), rinviava le udienze già calendarizzate, stabilendo il prosieguo del dibattimento per il successivo 6 aprile 2016 alle ore 10.30

Il Direttore del Corpo della Gendarmeria, con suo rapporto, Prot. N. 61/31/2015/sds/Ris, al Presidente del Tribunale depositato in Cancelleria il 17 marzo 2016 (doc. 126 f u), nell’allegare il processo verbale della denuncia querela dell’imputata F.I. Chaouqui già in atti (cfr. supra, n. 32), informava che la stessa aveva consegnato una chiavetta usb contenente, secondo le sue affermazioni, materiale relativo al processo in corso; tale materiale informatico, allo stato, era oggetto di analisi forense. Il medesimo Direttore del Corpo della Gendarmeria, con nota, Prot. N. 61/32/2015/sds/Ris, al Presidente del Tribunale depositata in Cancelleria il 21 marzo 2016 (doc. 128 f u), chiedeva il dissequestro del computer in uso alla Comunità del Padri Penitenzieri (cfr. supra, n. 27); quanto domandato veniva accordato dallo stesso Presidente del Tribunale con decreto del successivo 22 marzo, posto in calce.

L’avv. L. Sgrò, difensore dell’imputata F.I. Chaouqui, con istanza depositata in Cancelleria il 21 marzo 2016 indirizzata al Presidente del Tribunale (doc. 129 f u), domandava che non si procedesse all’interrogatorio della sua assistita fino a quando il Santo Padre non si fosse pronunciato in merito alla richiesta di scioglimento dal segreto pontificio (cfr. supra, n. 32).

Pervenivano in Cancelleria il 22 e il 31 marzo, il 12 e il 22 aprile, il 9 e il 23 maggio e il 20 giugno 2016 (rispettivamente doc. 130, 132, 137, 146, 163, 177, 192 f u) note sulle condizioni psicofisiche dell’imputato L.Á. Vallejo Balda, trasmesse dal medico specialista al Direttore di Sanità ed Igiene del Governatorato (cfr. anche doc. 191 f u, pervenuto in Cancelleria il 16 giugno 2016 che informava dell’avvenuto mutamento del regime di vigilanza sanitaria adottato per il medesimo imputato L.Á. Vallejo Balda).

34. All’inizio dell’udienza dibattimentale del 6 aprile 2016 (doc. 134 f u) veniva discussa la ricevibilità negli atti di causa delle chiavette usb consegnate nel corso della precedente udienza (cfr. supra, n. 32), alla quale si opponevano sia il Promotore di Giustizia che l’avv. E. Bellardini, patrona dell’imputato L.Á. V allejo Balda. Il Collegio, con ordinanza motivata, decideva l’inammissibilità delle chiavette usb in discussione.

Si procedeva quindi all’interrogatorio, che si concludeva nella medesima udienza, dell’imputata F.I. Chaouqui.

L’avv. E. Bellardini, patrona dell’imputato L.Á. Vallejo Balda, con istanza depositata in Cancelleria il 6 aprile 2016 (doc. 135 f u), chiedeva di poter prendere visione e di estrarre copia di talune e-mails presenti nel computer del proprio assistito ed espressamente indicate; il Collegio, con decreto motivato depositato in Cancelleria il successivo 21 aprile (doc. 142 f u), respingeva la richiesta.

35.Nellaudienzadibattimentaledell’11aprile2016(doc.136fu)siprocedeva all’interrogatorio, che aveva termine nella stessa udienza, dell’imputato N. Maio.

Nel corso dell’udienza dibattimentale del successivo 13 aprile (doc. 138 f u) si procedeva all’interrogatorio, la cui conclusione si aveva nella stessa udienza, dell’imputato G. Nuzzi.

Nella medesima udienza il Promotore di Giustizia dichiarava di rinunciare all’escussione dei testi dott. Domenico Giani, dott. Costanzo Alessandrini e signor Francesco Minafra; l’avv. L. Sgrò, patrona dell’imputata F.I. Chaouqui, si opponeva alla rinuncia della testimonianza del dott. D. Giani, e come l’avv. E. Bellardini, difensore dell’imputato L.Á. Vallejo Balda, chiedeva inoltre che venissero ascoltati altri testimoni, alla cui audizione si opponeva il Promotore di Giustizia. Il Collegio con ordinanza motivata accoglieva le rinunce alle escussioni testimoniali formulate dal Promotore di Giustizia e non ammetteva i testi richiesti dagli avv. E. Bellardini ed L. Sgrò.

Il Presidente del Tribunale, con decreti depositati in Cancelleria il 16, il 18 e il 21 aprile 2016 (rispettivamente doc. 139, 140, 141 e 143 f u) ordinava la citazione dei testimoni, distribuendoli corrispettivamente nelle udienze dibattimentali del 26 e del 28 aprile, del 7 e del 14 maggio 2016. Pervenivano in Cancelleria il 22 aprile 2016 le lettere di S.E.R. Mons. Konrad Krajewski, elemosiniere di Sua Santità (doc. 144 f u) e di S.E.R. il Signor Cardinale Santos Abril y Castelló, arciprete della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, il successivo 7 maggio dello stesso anno la lettera di S.E.R. il Signor Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, con le quali gli stessi Alti Prelati, avvalendosi del disposto di cui all’art. 148 ultimo comma c.p.c., affermavano di non potersi presentare a rendere testimonianza.

36. Nel corso dell’udienza dibattimentale del 26 aprile 2016 (doc. 147 f u) veniva effettuata l’escussione che aveva la sua conclusione nella medesima udienza del teste dott. S. Fralleoni, al tempo dei fatti di causa ragioniere generale della Prefettura.

L’avv. R.C. Baffioni, patrona dell’imputato N. Maio, nella medesima udienza domandava che venissero acquisiti «i verbali della COSEA attestanti le varie presenze o quantomeno, attraverso il tesserino del dott. Maio, si» potesse «capire da quando» avesse «cominciato a far parte della COSEA».

Nel corso dell’udienza dibattimentale del 28 aprile 2016 (doc. 149 f u) – all’inizio della quale il Collegio con ordinanza motivata respingeva la richiesta avanzata durante la precedente udienza del 26 aprile dal difensore dell’imputato N. Maio – venivano escussi in successione e terminate le deposizioni dei testi, dott. P. Monaco, all’epoca dei fatti in controversia segretaria del presidente della Prefettura, e per. Az. P. Pellegrino, archivista presso la Prefettura.
Il Presidente del Tribunale, con decreto depositato in Cancelleria il 2 maggio 2016 (doc. 152 f u), ordinava la comparizione dei testi per l’udienza del susseguente 9 maggio. L’avv. L. Sgrò, patrona dell’imputata F.I. Chaouqui, con istanza al Presidente del Tribunale depositata in Cancelleria il 3 maggio 2016 (doc. 153 f u), domandava il differimento dell’udienza del 9 maggio, con riferimento alla quale lo stesso Presidente del Tribunale, con decreto del 4 maggio posto in calce, rinviava la decisione all’udienza del 7 maggio successivo. L’avv. R.C. Baffioni, difensore dell’imputato N. Maio, con proprie istanze indirizzate al Presidente del Tribunale depositate in Cancelleria il 4 e il 6 maggio 2016 (corrispondentemente doc. 154 e 155 f u), formulava richieste in relazione alle quali il medesimo Presidente del Tribunale disponeva con decreti del susseguente 7 maggio, posti in calce.

Nell’udienza dibattimentale del 7 maggio (doc. 157 f u), sentito il Collegio, il Promotore di Giustizia e i patroni degli imputati, venivano calendarizzate le udienze successive; si procedeva quindi in successione alle escussioni, completate nella medesima udienza, dei testimoni dott. P. Mieli, giornalista, sig. M. A. Bernardi e sig.ra P. Brazzale, librai.

37. Il Presidente del Tribunale, con decreti del 7 maggio 2016 (doc. 159, 160 e 161 f u) ordinava la citazione dei testi che dovevano comparire alle udienze del 14, del 16 e del 17 maggio successivi.

L’avv. R.C. Baffioni, patrona dell’imputato N. Maio, con istanza diretta al Presidente del Tribunale depositata in Cancelleria il 9 maggio 2016 (doc. 162 f u), chiedeva sia di acquisire agli atti di causa la e-mail dell’8 ottobre 2013 con la quale il proprio assistito veniva presentato ai membri della COSEA dal precedente segretario esecutivo dimissionario, sia di verificare gli accessi nello Stato del suo difeso nel periodo intercorrente tra il 1° e il 31 maggio 2013; il Presidente del Tribunale, con decreto del successivo 14 maggio posto in calce, autorizzava quanto richiesto.

Il Direttore del Corpo della Gendarmeria, con rapporto, Prot. N. 61/34/2015/Ris, indirizzato al Presidente del Tribunale e depositato in Cancelleria il 21 maggio 2016 (doc. 176 f u), acquisito agli atti di causa con decreto del medesimo Presidente del Tribunale sempre in data 21 maggio 2016 posto in calce, informava che dalle ricerche esperite non era stato possibile accertare, nel periodo intercorso tra il primo e il 31 maggio 2013, eventuali ingressi dell’imputato N. Maio, il quale all’epoca non era in possesso di alcun titolo di accesso e non risultava avesse chiesto di entrare nello Stato.
L’avv. E. Bellardini, difensore dell’imputato L.Á. Vallejo Balda, con istanza diretta al Presidente del Tribunale depositata in Cancelleria il 12 maggio 2016 (doc. 166 f u), chiedeva per il proprio assistito il beneficio del gratuito patrocinio. Il Presidente del Tribunale, con decreto in data 17 maggio del medesimo anno posto in calce, disponeva, per il parere, la trasmissione dell’atto al Promotore di Giustizia che, sempre nello stesso giorno 17 maggio con valutazione in calce, si esprimeva favorevolmente. Il Presidente del Tribunale, con ordinanza del 21 maggio, posta in calce, disponeva per l’imputato L.Á. Vallejo Balda la concessione del beneficio del gratuito patrocinio.

38. Nell’udienza dibattimentale del 14 maggio 2016 (doc. 168 f u) con ordinanza motivata il Collegio disponeva la non escussione come testi dei signori Cardinali Pietro Parolin e Santos Abril y Castelló e di S.E.R. Mons. Konrad Krajewski.

Nella stessa udienza venivano poi escussi, in successione – e i loro interrogatori si concludevano nella medesima udienza – S.E.R. Mons. A.P. Lojudice, vescovo ausiliare della diocesi di Roma, il dott. R. Menotti ai tempi dei fatti di causa impiegato alla Prefettura nella quale si occupava del sistema informatico e dei servizi ed ora dipendente dell’APSA, e Mons. A. Abbondi, capo ufficio della Prefettura.

L’avv. E. Bellardini, patrona dell’imputato L.Á. Vallejo Balda, con istanza presentata in Cancelleria il 16 maggio 2016 (doc. 169 f u), depositava alcuni documenti.

Nell’udienza dibattimentale del 16 maggio 2016 (doc. 171 f u), il Promotore di Giustizia e l’avv. E. Bellardini, difensore dell’imputato L.Á. Vallejo Balda, dichiaravano di rinunciare, il primo al teste P. Mondani e la seconda, al teste M. Benotti. Venivano quindi ascoltati, in successione – e i loro interrogatori si concludevano nella medesima udienza – i testimoni signor P. Schiaffi, addetto al protocollo presso la Prefettura, dott. L. Ercoli, ufficiale sanitario presso la direzione di Sanità ed Igiene dello Stato e Mons. V. Trani, cappellano del carcere di “Regina Coeli”. Iniziava poi il proprio interrogatorio il teste ing. G. Gauzzi, vice Commissario del Centro di Sicurezza del corpo della Gendarmeria.

Nell’udienza dibattimentale del giorno successivo 17 maggio (sempre doc. 171 f u) il Presidente dava lettura di una ordinanza motivata del Collegio con la quale, considerati gli esiti della deposizione del teste G. Gauzzi, si disponeva l’acquisizione agli atti di causa della documentazione esibita dal medesimo teste, si dava termine al Promotore di Giustizia e agli avvocati difensori degli imputati di presentare alla successiva udienza del giorno 24 maggio le proprie richieste con riferimento esclusivo alla documentazione appena esibita ed acquisita agli atti di causa e si riservava, con la prosecuzione dell’escussione del teste G. Gauzzi, di ascoltare anche la testimonianza del gendarme S. De Santis e dei periti.

L’avv. E. Bellardini, patrona dell’imputato L. Á. Vallejo Balda, con istanza diretta al Presidente del Tribunale depositata in Cancelleria il 19 maggio 2016 (doc. 172 f u), trasmetteva, articolata in nove allegati, la documentazione già esibita durante l’udienza del precedente 16 maggio.

39.Nell’udienza dibattimentale del 24 maggio 2016 (doc. 178 f u), l’avv. difensore dell’imputata F. I. Chaouqui, L. Sgrò, in merito all’interrogatorio reso dal vice Commissario del Corpo della Gendarmeria G. Gauzzi, depositava brevi osservazioni scritte, chiedeva che la propria assistita venisse nuovamente ascoltata e domandava una nuova perizia sulle e- mails allegate agli atti; l’avv. L.T. Musso, patrona dell’imputato E. Fittipaldi, consegnava alcuni documenti e chiedeva che il proprio assistito venisse nuovamente ascoltato; il Promotore di Giustizia si dichiarava favorevole all’acquisizione della documentazione esibita dai difensori degli imputati ma si opponeva alla richiesta di nuovi interrogatori. Il Collegio, con propria ordinanza motivata, disponeva l’acquisizione della documentazione prodotta dall’avv. L. Sgrò, patrona dell’imputata F. I. Chaouqui, e dall’avv. L.T. Musso, difensore dell’imputato E. Fittipaldi, accoglieva la richiesta di ascoltare gli imputati F. I. Chaouqui ed E. Fittipaldi e si riservava di valutare la richiesta di un supplemento di perizia agli esiti della escussione dei periti medesimi.

Si proseguiva con la testimonianza, conclusa nella medesima udienza, del vice Commissario del Corpo della Gendarmeria G. Gauzzi. Veniva quindi ascoltata l’imputata F.
I. Chaouqui. Si procedeva successivamente con l’interrogatorio, completato nella stessa udienza, del gendarme S. De Santis. Il patrono dell’imputato G. Nuzzi, avv. R. Palombi, domandava che il proprio assistito venisse nuovamente sentito per alcuni chiarimenti. L’udienza aveva termine con l’audizione dell’imputato E. Fittipaldi.

Il Promotore di Giustizia, con atto depositato in Cancelleria il 3 giugno 2016 (doc. 183 f u), tenuto conto di quanto segnalato dalla Direzione di Sanità ed Igiene dello Stato nell’ambito delle sue visite periodiche all’imputato L.Á. Vallejo Balda, esprimeva parere favorevole, nei termini e con le cautele ritenute necessarie, alla concessione al medesimo imputato della libertàdiurnaall’internodelloStatoconpossibilitàdisvolgimentodiattivitàlavorativa,con il divieto di uscire dallo Stato e con l’obbligo del rientro e della permanenza notturna in carcere durante la fascia oraria compresa tra le ore diciannove e le ore sette. Il Collegio, con ordinanza motivata depositata in Cancelleria il 6 giugno 2016 (doc. 184 f u), concedeva all’imputato L.Á. Vallejo Balda di svolgere attività all’interno dello Stato, con il divieto di uscire dallo stesso e con l’obbligo del rientro e della permanenza notturna in carcere nella fascia oraria compresa tra le diciannove e le sette, dando mandato alla Gendarmeria di adottare i provvedimenti necessari all’attuazione di quanto disposto nel provvedimento.

La patrona dell’imputato L.Á. V allejo Balda E. Bellardini, con istanza indirizzata al Presidente del Tribunale depositata in Cancelleria l’11 giugno 2016 (doc. 185 f u), chiedeva per il proprio assistito l’utilizzazione del telefono e degli strumenti di comunicazione informatica; il Presidente del Tribunale, con decreto del successivo 14 giugno posto in calce, esplicitava che l’imputato era soggetto unicamente ai limiti previsti dall’ordinanza collegiale del 6 giugno. Successivamente il Presidente del Tribunale, con decreto del 15 giugno 2016 depositato in Cancelleria il medesimo giorno (doc. 190 f u), nel ribadire per l’imputato L.Á. Vallejo Balda i vincoli stabiliti dall’ordinanza collegiale del precedente 6 giugno (doc. 184 f u), disponeva altresì il divieto di accesso alla basilica di S. Pietro e ai Musei Vaticani e interdiceva anche la guida di autoveicoli.

  1. Nella udienza dibattimentale del 14 giugno 2016 (doc. 187 f u), si procedeva anzitutto all’audizione dell’imputato G. Nuzzi che consegnava anche taluni documenti; venivano quindi ascoltati, in successione, sia il perito d’ufficio sia il secondo perito, che concludevano le proprie escussioni nella medesima udienza, nel corso della quale l’avv. L. Sgrò, patrona dell’imputata F.I. Chaouqui, rinunciava al supplemento di perizia che aveva chiesto nell’udienza del precedente 24 maggio (cfr. supra, n. 39).
  2. Il Presidente del Tribunale, con decreto depositato in Cancelleria il 14 giugno 2016 (doc. 188 f u), fissava l’udienza dibattimentale per il successivo 4 luglio alle ore 15.30. L’avv. L. Sgrò, patrona dell’imputata F.I. Chaouqui, con istanza al Presidente del Tribunale depositata in Cancelleria il 30 giugno 2016 (doc. 193 f u), chiedeva, allo scopo di consentire alla propria assistita di partecipare alle udienze dibattimentali, di permettere l’ingresso nello Stato e la permanenza in locali attigui all’aula delle udienze al proprio figlio nato il 14 giugno 2016 e alla sua “baby sitter”; il Presidente del Tribunale, con decreto dello stesso 30 giugno posto in calce, autorizzava quanto richiesto.
  3. Nell’udienza dibattimentale del 4 luglio (doc. 194 f u) il Promotore di Giustizia svolgeva la propria requisitoria al termine della quale chiedeva per l’imputato L.Á. Vallejo Balda la pena complessiva per i due reati contestatigli di anni tre e mesi uno di reclusione, per l’imputata F.I. Chaouqui, sempre per entrambi i reati ascrittile, la pena complessiva di anni tre e mesi nove di reclusione, per l’imputato N. Maio, per i due reati imputatigli, la pena complessiva di anni uno e mesi nove di reclusione, per l’imputato E. Fittipaldi, per il reato ascrittogli, l’assoluzione per insufficienza di prove e per l’imputato G. Nuzzi per il reato contestatogli, la pena di anni uno di reclusione con la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Nell’udienza dibattimentale del 5 luglio 2016 (doc. 195 f u) l’avv. E. Bellardini, patrona dell’imputato L.Á. Vallejo Balda, in conclusione della sua arringa domandava per il proprio assistito l’assoluzione con formula piena da tutti i reati ascrittigli, chiedendo, in subordine, l’assoluzione dal reato di associazione criminosa di cui all’art. 248 c.p. perché il reato non sussiste e per il concorso nel reato di divulgazione di notizie e documenti di cui all’art. 116 bis c.p. per insufficienza di prove e, in ulteriore subordine, l’assoluzione dal reato previsto e punito dall’art. 248 c.p., perché il reato non sussiste e, per il delitto di cui all’art. 116 bis c.p., il minimo della pena con il riconoscimento delle attenuanti generiche e la concessione di ogni altro beneficio di legge.

Successivamente la patrona dell’imputata F.I. Chaouqui, avv. L. Sgrò, sviluppava la sua arringa con la quale, a conclusione, chiedeva per la sua difesa l’assoluzione dai reati contestatile con ampia formula liberatoria.

Nell’udienza dibattimentale del 6 luglio 2016 (doc. 196 f u), l’avv. R.C. Baffioni, patrona dell’imputato N. Maio, esponeva la sua arringa al termine della quale domandava per il suo assistito l’assoluzione, per quanto attiene il reato di cui all’art. 248 c.p. perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso e, per quanto concerne il reato di cui agli art. 63 e 116 bis, giacché non li ha commessi e non vi ha concorso; la medesima patrona chiedeva, in subordine, l’assoluzione per insufficienza di prove per entrambi i reati contestati e, in estremo subordine, l’irrogazione del minimo della pena con l’applicazione delle attenuanti generiche «con i benefici di legge, sospensione e non menzione».

Successivamente l’avv. R. Palombi, patrono dell’imputato G. Nuzzi, elaborava la sua arringa alla fine della quale chiedeva per il suo assistito la dichiarazione della sussistenza del difetto di giurisdizione del Tribunale o l’assoluzione con la più ampia formula assolutoria.

L’avv. L.T. Musso, patrona dell’imputato E. Fittipaldi, esplicava quindi la propria arringa a conclusione della quale chiedeva per il suo assistito l’assoluzione con formula piena o, in subordine, per insufficienza di prove.

Si avevano quindi brevi repliche da parte del Promotore di Giustizia e dei patroni degli imputati L. Á. Vallejo Balda, F.I. Chaouqui, N. Maio e G. Nuzzi, mentre il difensore dell’imputato E. Fittipaldi dichiarava di non avere nulla da replicare.

Nell’udienza dibattimentale del 7 luglio 2016 (doc. 197 f u), avendo il Presidente del Tribunale chiesto a tutti gli imputati se avevano qualche cosa da aggiungere, l’imputata F.I. Chaouqui effettuava una breve dichiarazione.

Al termine dell’udienza il Presidente del Tribunale dava lettura del dispositivo della sentenza.

IN FATTO E IN DIRITTO

43. Il Promotore di Giustizia, nel suo atto di accusa depositato in Cancelleria il 20 novembre del 2015 (doc. 43 f u), chiedeva al Presidente del Tribunale la «citazione a giudizio per rispondere:

  1. A)  Lucio Ángel Vallejo Balda, Francesca Immacolata Chaouqui e Nicola Maio del reato di cui agli artt. 248 cod. pen. (quest’ultimo come sostituito ad opera dell’art. 25 della Legge n. IX dell’ 11 luglio 2013) “perché all’interno della Prefettura per gli affari economici e di COSEA si associavano tra loro formando un sodalizio criminale organizzato, dotato di una sua composizione [e] struttura autonoma, i cui promotori sono da individuarsi in Lucio Ángel Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui, allo scopo di commettere più delitti di divulgazione di notizie e documenti concernenti gli interessi fondamentali della Santa Sede e dello Stato”;»
  2. B)  Lucio Ángel Vallejo Balda, Francesca Immacolata Chaouqui, Nicola Maio, Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi «del reato di cui agli artt. 63 e 116-bis cod. pen. (quest’ultimo introdotto ad opera della Legge IX dell’ 11 luglio 2013) “perché, in concorso tra loro, Vallejo Balda nella qualità di Segretario generale della Prefettura per gli affari economici, Chaouqui quale membro della COSEA, Maio quale collaboratore di Vallejo Balda per le questioni riguardanti la COSEA, Fittipaldi e Nuzzi quali giornalisti, si sono illegittimamente procurati e successivamente hanno rivelato notizie e documenti concernenti gli interessi fondamentali della Santa Sede e dello Stato; in particolare Vallejo Balda, Chaouqui, Maio si procuravano tali notizie e documenti nell’ambito dei loro rispettivi incarichi nella Prefettura degli affari economici e nella COSEA; mentre Fittipaldi e Nuzzi sollecitavano ed esercitavano pressioni, soprattutto su Vallejo Balda, per ottenere documenti e notizie riservati, che poi in parte hanno utilizzato per la redazione di due libri usciti in Italia nel novembre 2015”. Reati commessi nella Città del Vaticano, dal marzo 2013 al 5 novembre 2015».

44. Anzitutto occorre prendere in esame il problema della sussistenza della giurisdizione del Tribunale nei confronti delle persone rinviate a giudizio e, in primo luogo, degli imputati E. Fittipaldi e G. Nuzzi. In proposito occorre fare talune annotazioni, osservando in primo luogo che il processo è stato attuato tramite una “istruzione sommaria” ai sensi degli artt. 277-294 c.p.p., così che gli esiti probatori sono stati perfezionati in fase dibattimentale.

Certamente per chiunque – sia esso cittadino dello SCV o, come nel caso degli imputati dei quali si sta discutendo, non lo sia – il codice penale identifica il locus commissi delicti ai fini della punibilità secondo la legge dello Stato, individuando, di conseguenza sotto questo profilo, l’ambito di giurisdizione dell’autorità giudiziaria dello SCV. Più specialmente in questi casi la applicabilità territoriale della legge dello Stato viene disciplinata dagli artt. 3 e 4 c.p., così come modificati, rispettivamente, dagli artt. 1 e 2 della L. 11 luglio 2013 n. IX (in, A.A.S. Supplemento, 84 – 2013 – pp. 110-111). In tale prospettiva, l’art. 3 c.p., a causa della inscindibile unità di un medesimo iter criminoso, sancisce, nel suo secondo comma, che «il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando l’azione o l’omissione che lo costituisce è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione o dell’omissione»; per gli stessi scopi sono identificati dall’art. 4 c.p. alcune tipologie di reato perpetrato «in territorio estero» e, tra queste, vengono annoverati al n. 1 «i delitti contro la sicurezza dello Stato» nei quali è ricompreso anche il reato di cui all’art. 116 bis c.p. così come introdotto dall’art. 10 della L. 11 luglio 2013 n. IX (in, A.A.S. Supplemento, 84 – 2013 – p. 114).

Nel caso in controversia l’unico delitto contestato agli imputati E. Fittipaldi e G. Nuzzi, e cioè quello previsto e punito dall’art. 116 bis c.p., è stato ascritto ad essi in quanto plurisoggettivamente attuato, ossia commesso da più persone in concomitanza tra loro. Il Collegio ritiene che le risultanze fattuali di causa normativamente ponderate dimostrino l’insussistenza del concorso degli imputati dei quali si sta valutando la posizione processuale per mancanza della costituente soggettiva. Pertanto i fatti loro addebitati – accaparramento di notizie e documenti e successiva divulgazione specie tramite la pubblicazione di due libri (cfr. supra, n. 43) –, non collegandosi agli accadimenti eventualmente compiuti nello Stato (cfr. art. 3 c.p.) e non costituendo, per se stessi, delitto (cfr. art. 4 c.p.), non radicano la giurisdizione dell’Autorità giudiziaria dello SCV.

In effetti – secondo quanto è stato evidenziato dalla dottrina e dalla giurisprudenza consolidatasi sul codice Zanardelli, e positivamente non mutato per lo SCV nelle prescrizioni attinenti al concorso di più persone nel medesimo delitto – «tra le regole che nel Codice… sono comuni alle varie specie di concorso» – e dunque in relazione sia all’art.

63 che all’art. 64 c.p. – «in primo luogo è necessario in ciascun partecipante la consapevolezza del reato che si commette, del fine criminoso specifico: è necessario che ciascun partecipante sappia di concorrere nella esecuzione d’un reato e lo voglia… Da ciò segue non essere sufficiente, ad integrare l’elemento soggettivo del reato di fronte al partecipe, l’affermazione del dolo dell’autore, bensì devesi pure dimostrare il dolo specifico in lui» (E. Florian, Trattato di Diritto Penale, vol. I – Parte prima: Dei reati e delle pene in generale, Milano, 19102, pp. 541-543; cfr. pure: E. Pessina, Manuale di Diritto Penale Italiano, Parte prima, Napoli, 1893, pp. 98-99; cfr. anche infra, n. 56).

Del resto si è pure sottolineato: «Più e più volte la giurisprudenza ebbe non solo a proclamare l’elemento intenzionale nelle varie forme di concorso, ma anche a ritenere che il dolo è individuale» (E. Florian, Trattato… vol. I – Parte prima – op. cit. – pp. 549-550 e ivi i numerosi richiami alla Corte di Cassazione italiana che ha pure escluso il concorso nei delitti colposi, ibidem, pp. 549-550).

In tale prospettiva sono palesi – focalizzati dagli artt. 45-47 c.p. – i referenti psicologici del dolo, che ne individuano la struttura cognitivo-volitiva che deve far propri i contenuti della fattispecie criminosa (“nihil volitum, nisi praecognitum”). In altri termini la conoscenza degli elementi fattuali nella loro qualificazione delittuosa è un presupposto necessario della intenzionalità attuativa, così che una condotta criminosa diventa tanto più probatoriamente certa quanto più elevata è la consapevolezza di realizzare un comportamento costituente reato. Del resto, per chiarire la normativa penale zanardelliana, si è scritto: «Non commette un dato reato, perché non ebbe coscienza criminosa, l’agente, mancandogli nell’atto della sua operazione la coscienza di delinquere… Nel fatto di non aver saputo antecedentemente al suo operare che, compiendo un dato atto, si sarebbe incorso nel reato consiste l’involontario. L’impreveduto non poté esser voluto… Quando l’impreveduto era difficilmente prevedibile, malgrado l’attenzione e la diligenza, non vi è luogo a responsabilità penale» (E. Pessina, Manuale… Parte prima, op. cit., pp. 82-83). Si fa così grandemente importante la comprensione in chiave psicologica dell’attività contestata come delittuosa agli imputati.

Nel caso di specie la mancanza di una intenzionalità consapevolmente e volontariamente diretta alla perpetrazione plurisoggettiva del reato si evidenzia dai fatti così come questi emergono dagli atti di causa. Innanzitutto una tale carenza del concorso soggettivo si manifesta tramite le parole dell’imputato E. Fittipaldi le quali chiariscono che la condotta ascrittagli come criminosa sia stata da lui scientemente posta in essere in quanto corretto esercizio della sua attività professionale di giornalista e, per ciò, da lui ritenuta del tutto legittima; più specialmente infatti il medesimo imputato afferma: «Il mestiere di giornalista mi porta a concludere per la pubblicazione di documenti anche riservati, i documenti che le istituzioni non vogliono far conoscere. L’ho fatto e lo rifarei» (doc. 122 f u, p. 21; quando le citazioni testuali dagli atti di causa per gli imputati e per i testimoni sono indicate – con o senza il termine “interrogatorio” non seguito quest’ultimo da ulteriori precisazioni – il riferimento si intende fatto a quanto reso durante il dibattimento).

Una spiegazione del suo operato non molto diversa viene sostenuta anche dall’imputato G. Nuzzi, che in proposito puntualizza: «Non potevo non fare il mio lavoro. Ho scelto di fare questo mestiere e l’obbligo del giornalista è quello di pubblicare le notizie di cui viene a conoscenza» (doc. 138 f u, p. 10). Lo stesso imputato in relazione ai fatti in controversia precisa ancora: «Avrei valutato la rilevanza pubblica, faccio il giornalista. Del resto… avendo scritto di privilegi [e] cattiva amministrazione ritengo con forza che [queste cose]…non rientrano negli interessi fondamentali di questo Stato» (ibidem, pp. 10-11).

Del resto il senso del comportamento delineato dagli imputati E. Fittipaldi e G. Nuzzi, la cui giustificabilità operativa è agganciata alla coerenza con una corretta attività giornalistica, riceve una conferma dalla deposizione resa nell’udienza del 7 maggio 2016 dal teste, il giornalista P. Mieli che asserisce: «Esiste una doppia ragione per la quale il giornalista è tenuto a pubblicare documenti di cui sia venuto a conoscenza, a meno che non mettano in pericolo la sicurezza e la pace. Una prima ragione consiste in una norma deontologica che ci siamo dati sul modello del giornalismo nordamericano. La seconda ragione nasce dal fatto che il possesso di documenti che non fossero pubblicati, potrebbe prestarsi a divenire arma di ricatto nei confronti di qualcuno da parte dei giornalisti o di coloro che ne sono venuti a conoscenza, prima di decidere se pubblicarli o meno; i documenti non pubblicati possono prestarsi ad eventuali ricatti o strumenti di pressione illeciti, per cui la comunità dei direttori di giornali si è orientata nel senso della loro pubblicazione» (doc. 157 f u, p. 4).

Lo stesso testimone, in quella medesima circostanza ha avuto occasione di aggiungere: «Molti documenti risultano essere riservati per legge, ma in base a una convenzione non scritta sul comportamento deontologico dei giornalisti ciò non impedisce la pubblicazione» (doc. 157 f u, p. 5).

In proposito con riferimento all’Italia dove gli imputati E. Fittipaldi e G. Nuzzi hanno attuato la loro attività giornalistica si è autorevolmente affermato: «La magistratura ordinaria ha progressivamente enunciato, nella scia di indicazioni dottrinali, una serie di regole – addirittura “codificate” in due famose sentenze della Corte di Cassazione costantemente seguite e addirittura in parte recepite prima dalla legge n. 675 del 1996 (e successive modificazioni) e poi dal codice di deontologia dei giornalisti – dalle quali… risulta che per essere tutelato come “diritto”, l’esercizio della libertà di cronaca deve rispettare le seguenti condizioni: a) verità “oggettiva” o quanto meno “putativa” dei fatti esposti (comprovata, in questo secondo caso, da una seria e diligente verifica delle fonti notiziali); b) utilità sociale dell’informazione (ovvero interesse pubblico della notizia); c) forma “civile” della esposizione dei fatti e della loro valutazione (a quest’ultimo riguardo il giornalista – secondo la Cassazione – non dovrebbe mai ricorrere alle insinuazioni, al sottinteso sapiente, agli accostamenti suggestionanti, al tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato, specie nei titoli – o comunque all’artificiosa e sistematica drammatizzazione con cui si riferiscono notizie “neutre”)» (A. Pace, in, A. Pace – M. Manetti, Art. 21. La libertà di manifestazione del proprio pensiero, Bologna – Roma, 2006, pp. 319-320, ma cfr.r. ibidem, pp. 316-358).

In un simile contesto giuridico e fattuale, con riferimento agli imputati E. Fittipaldi e G. Nuzzi, deve, quindi, affermarsi la non sussistenza dell’imputazione ad essi contestata, di concorso nell’esecuzione del reato di cui all’art. 116 bis c.p., come pure – e per le medesime ragioni – non può riconoscersi nei loro confronti – si deve aggiungere – la esistenza di una realizzazione monosoggettiva da parte loro dello stesso reato, il cui compimento, per i medesimi imputati, deve altresì escludersi in chiave colposa ai sensi del terzo comma dell’art. 116 bis c.p.

L’infondatezza di quest’ultimo profilo per gli imputati E. Fittipaldi e G. Nuzzi è dimostrata dalla fattualità in contestazione, intrinsecamente per essi insuscettibile di una antigiuridicità prevedibile e prevenibile, secondo quanto è emerso dagli atti di causa appena ricordati, valutati in conformità al senso giuridicamente avvalorato dal Codice in relazione alla perpetrazione colposa del delitto, così come questa si è consolidata nella dottrina e nella giurisprudenza (cfr. E, Pessina, Manuale… Parte prima – op, cit. – pp. 83-84; E. Florian, Trattato… vol. I, Parte prima – op. cit. – pp. 344-348) anche di questo Tribunale, che al riguardo ha avuto occasione di affermare: «La condotta… diventa soggettivamente colposa, in quanto l’imprudenza, la negligenza, l’imperizia, l’inosservanza di normative sociali o giuridiche che ha determinato la mancanza di un’accorta ponderazione delle conseguenze dannose di una certa attività che erano personalmente, nel concreto, prevenibili e raffigurabili o, secondo una espressione tradizionale, prevedibili. In effetti, come aveva già affermato Francesco Carrara: «Il non aver previsto la conseguenza offensiva sconfina la colpa dal dolo. Il non averla potuto prevedere sconfina il caso dalla colpa» (Programma del corso di diritto criminale. Del delitto, della pena [1859-1870] Bologna, 1993, § 84, p. 104)» (sentenza del 29 novembre 2008, procedimento penale Prot. N. 117/03 Reg. Gen. Pen., in, Il Diritto penale della Città del Vaticano. Evoluzioni giurisprudenziali, a cura di G. Dalla Torre e G. Boni, Torino, 2014, p. 311).

Si deve inoltre aggiungere che il reato di cui all’art. 116 bis è stato introdotto nell’ordinamento giuridico vaticano dall’art. 10 della L. 11 luglio 2013 n. IX (in, A.A.S. Supplemento, 84 – 2013 – p. 114). In tale prospettiva occorre annotare che – oltre e al di là dei principi generali codicialmente sanciti in ordine all’applicabilità della legge penale dello Stato – il “Motu proprio” di Papa Francesco dell’11 luglio 2013 “Ai nostri tempi” ha statuito: «I competenti organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano esercitano la giurisdizione penale anche in ordine… ai reati indicati… nella Legge dello Stato della Città del Vaticano n. IX, del 11 luglio 2013, recante Modifiche al Codice penale e al Codice di procedura penale» (in, A.A.S., 105 – 2013 – pp. 651-652). Tuttavia il Romano Pontefice in quel medesimo provvedimento (cfr. A.A.S., 105 – 2013 – p. 652) ha anche precisato che una tale giurisdizione degli Organi giudiziari dello SCV attiene esclusivamente quanti da quel medesimo atto normativo sono equiparati ai “pubblici ufficiali” (cfr. art. 207 c.p., così come modificato dall’art. 21 della L. 11 luglio 2013 n. IX, in, A.A.S. Supplemento, 84 – 2013 – p. 119) ed altresì gli stessi reati siano «commessi… in occasione dell’esercizio delle loro funzioni (in, A.A.S. 105 – 2013 – p. 652).

È fuori di dubbio che gli imputati dei quali si sta vagliando la posizione processuale non rientrino nella equiparazione categoriale stabilita ed individuata dal Romano Pontefice nel provvedimento legislativo appena richiamato.

Quindi, per le motivazioni che si sono esposte, il Collegio dichiara il proprio difetto di giurisdizione nei riguardi degli imputati Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi in relazione alla perpetrazione del reato loro contestato in questo processo.

Diversamente deve concludersi per quanto concerne la sussistenza della giurisdizione del Tribunale in relazione agli imputati L.Á. Vallejo Balda, F.I. Chaouqui e N. Maio, secondo quanto era stato già deciso dal Collegio con l’ordinanza pronunciata nel corso dell’udienza del 7 dicembre 2015 (cfr. doc. 71 f u, pp. 4-5).

Infatti la giurisdizione del Tribunale trova il proprio fondamento anzitutto nei principi generali codicialmente sanciti in rapporto alla applicabilità della legge penale vaticana dagli articoli 3-4 c.p., così come modificati dagli artt. 1-2 della L. 11 luglio 2013 n. IX (in, A.A.S. Supplemento, 84 – 2013 – pp. 110-111). Inoltre si deve considerare che per i delitti ad essi ascritti – previsti e puniti dagli art. 116 bis e 248 c. p., così come, il primo introdotto e il secondo integralmente sostituito, corrispondentemente, dagli art. 10 e 25 della L. 11 luglio 2013 n. IX (in, A.A.S. Supplemento, 84 – 2013 – rispettivamente, p. 114 e p. 121) – il “Motu proprio” di Papa Francesco dell’11 luglio 2013 “Ai nostri tempi” (in, A.A.S., 105 – 2013 – pp. 651-653) sancisce la giurisdizione penale degli Organi giudiziari dello SCV nei casi nei quali tali reati siano stati commessi nell’esercizio delle loro funzioni ad opera di persone da quel medesimo atto normativo equiparate ai “pubblici ufficiali”. Tra queste persone è incontestabile che si debbano annoverare gli imputati, e più specialmente: L. Á. Vallejo Balda, quale segretario della Prefettura e segretario coordinatore della COSEA, Commissione referente voluta da Papa Francesco per lo studio e l’indirizzo relativo all’organizzazione strutturale economico-finaziaria della Santa Sede; F. I. Chaouqui, come membro della COSEA; N. Maio in quanto segretario esecutivo della stessa COSEA.

Di conseguenza il Collegio dichiara la propria giurisdizione nei confronti degli imputati Lucio Ángel Vallejo Balda, Francesca Immacolata Chaouqui e Nicola Maio.

45. È poi necessario anteporre talune premesse in relazione alle circostanze sia fattuali che giuridiche in controversia.

Sul primo punto occorre anzitutto fare una puntualizzazione per quanto attiene il tempo nel quale si sono realizzati i fatti attribuibili in questo processo agli imputati. Principio fondamentale a questo riguardo è il divieto di retroattività sancito, per quanto interessa in particolare il nostro discorso, dal primo e dal terzo comma dell’art. 2 c.p.: «Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato… Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori siano diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato».

Poiché quelli ascritti agli imputati sono reati introdotti (art. 116 bis c.p.) o previsti e puniti in quanto il dettato normativo è stato “integralmente sostituito” (art. 248 c.p.), corrispettivamente, dagli artt. 10 e 25 della L. 11 luglio 2013 n. IX (in, A.A.S. Supplemento, 84 – 2013 – corrispondentemente, p. 114 e p. 121), i fatti contestabili agli imputati sono quelli posti in essere dal 1° settembre 2013, giorno di entrata in vigore della medesima legge (cfr. art. 48, in, A.A.S. Supplemento, 84 – 2013 – p. 131).

Inoltre, sempre sul punto attinente al profilo fattuale, per quanto concerne la valutazione della documentazione cartacea presente in atti e proveniente da apparati informatici, si deve altresì tener conto che il Collegio, con ordinanza motivata pronunciata nel corso dell’udienza del 7 dicembre 2015 (doc. 71 f u, pp. 5-6) ha ammesso una perizia informatica (cfr. supra, n. 16, 21 e 24. Con successiva ordinanza del 19 dicembre 2015 depositata in Cancelleria il medesimo giorno (doc. 81 f u), lo stesso Collegio ha disposto: 1) che venisse «tratta dal computer sotto sequestro dell’imputato Lucio Ángel Vallejo Balda la trascrizione delle conversazioni e-mail tra lo stesso e l’imputata Francesca Immacolata Chaouqui, pertinenti ai fatti di causa, relative al mese di maggio 2015»; 2) che fosse effettuata la integrale «trascrizione delle comunicazioni sms, e-mail e whatsapp tra gli imputati Francesca Immacolata Chaouqui e Lucio Ángel Vallejo Balda… pertinenti ai fatti di causa, dal marzo 2013 al 5 novembre 2015»; 3) che venisse compiuta «l’acquisizione delle conversazioni sms intercorse tra l’imputato Nicola Maio e l’imputata Francesca Immacolata Chaouqui, datate 5 e 9 dicembre 2014, da trarre dagli strumenti dai quali tali conversazioni risultano, se consegnate nei termini all’Ufficio del Promotore di Giustizia»; 4) che le operazioni peritali verificassero «anche la corrispondenza delle trascrizioni informatiche in atti» (doc. 81 f u).

La relazione peritale (cfr. doc. 110 f u) – che reca la data 2 marzo 2016 e la firma di entrambi i periti tra i quali non si è registrata alcuna divergenza – fornisce una puntuale risposta ai quesiti proposti, con la eccezione di quello di cui al n. 3, in quanto le relative «operazioni non sono state svolte dai periti, poiché il cellulare nel quale avrebbero dovuto essere contenute non era» disponibile presso la Gendarmeria, i cui funzionari erano custodi del materiale posto sotto sequestro. In particolare, a conclusione della stessa relazione peritale, si afferma: «Le operazioni svolte sono state la ripetizione di operazioni svolte in precedenza dalla Gendarmeria stessa, con gli stessi strumenti e con la stessa sequenza logica, e hanno portato a un risultato di totale coincidenza con quanto già in atti», salvo ciò che era stato richiesto al n. 1, poiché «non vi erano agli atti trascrizioni», che sono state quindi effettuate in sede di perizia.

46. Si rende ora necessario fare qualche breve cenno ad alcune circostanze di diritto che costituiscono elementi fondamentali per un più corretto inquadramento ed una più appropriata interpretazione della normativa penale che viene in considerazione in questo giudizio.

Bisogna prima di tutto osservare – secondo quanto si afferma con chiarezza nel preambolo del Trattato del Laterano che ha dato vita ad una tale soggettività politica – che lo SCV nasce al fine di rendere visibile la libertà e l’indipendenza della Santa Sede, intesa come ufficio del Romano Pontefice (cfr. art. 26 di quel medesimo Trattato) il quale, alla stregua del can. 331 del codice di diritto canonico, «vi muneris sui suprema, plena, immediata et universali in Ecclesia gaudet ordinaria potestate, quam semper libere exercere valet». In tale prospettiva, per garantire al Sommo Pontefice in modo convenientemente adeguato l’attuazione radicalmente autonoma della giurisdizione su tutta la Chiesa, gli viene riconosciuta «la piena autorità e l’esclusiva ed assoluta sovranità» sullo SCV.

Di conseguenza una tale istituzione si contrassegna, in modo emblematico, come Stato confessionale cattolico, inserendosi, con le sue singolarità, nell’ambito variamente conformato degli ordinamenti giuridici che hanno inteso caratterizzarsi, ideologicamente, quali entità di tendenza. In un tale contesto il rapporto tra ambito temporale delle cose mortali e ambito spirituale delle cose immortali si costituisce dualisticamente in chiave materialmente giustapposta, pur se funzionalmente integrata, al servizio dell’uomo, secondo quel cardine originale del cristianesimo, che – scritturisticamente radicato (cfr. Mt. 22, 15- 22; Mc. 12, 13-17, Lc. 20, 20-26) e al di là di offuscamenti anche gravi – si è consolidato nel tempo nei rapporti tra la Chiesa e lo Stato.

La peculiarissima natura confessionale di questo Stato impone necessariamente, quindi, la salvaguardia delle «norme oggettive della moralità» enuncianti «l’ordine razionale del bene e del male, attestato dalla coscienza» (Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano, 20062, n. 1751, p. 491), così che l’ordine giuridico vaticano, distinto dall’ordine morale, ma non separato da questo – nei limiti ritenuti “hic et nunc” necessari dal Legislatore (e dunque in una prospettiva sostanzialmente politica) – abbisogna della coattività penale.

Il codice Zanardelli esprime una singolare compatibilità con lo spirito della penalità vaticana soprattutto in quanto – come era stato annotato da uno dei suoi più autorevoli interpreti (cfr. E. Pessina, Manuale… Parte prima, op. cit., p. 39) – la integrazione dell’ordine sociale violato si ha correzionalmente attraverso il reale recupero del reo a se stesso e per ciò alla comunità, e quindi con la salvaguardia dell’uomo, nella distruzione della delinquenzialità che lo contrassegnava.

La coattività incarnata nella pena come risposta dello SCV al reato non è dunque, come reazione al male insito nell’attuazione dell’attività criminosa, un male ma, al contrario, pur nella sofferenza è, in armonia con l’insegnamento paolino «non rendete a nessuno male per male» (Rm., 12, 17), un bene, in quanto manifesta, costruttivamente, la sollecitudine dello Stato verso il reo, operando, concretamente, la sua emendazione e realizzando, così, anche se stesso al servizio dell’uomo.

In una simile ottica, attinente al fondamento e quindi al senso che nello SCV assume il diritto penale, si evidenzia il rapporto funzionale che necessariamente lo vincola alla legge di Dio. In effetti la norma divina, immediatamente per se stessa vigente nell’ordinamento dello Stato, incarna per questo non soltanto un limite insuperabile, ma anche una paradigma obbligato per il Legislatore umano.

Questi, nel predisporre la regola giuridica, deve sempre riferirsi alla prescrizione divina, che è la misura alla quale deve attenersi. Più specialmente il Legislatore può commisurare la propria norma a quella divina, oltre che cercando di enunciarla, traendola come conclusione, in via deduttiva. Il legislatore umano può tuttavia rifarsi anche solo determinativamente, in via di specificazione, al parametro programmatico divino, puntualizzandone in concreto i contenuti, come un architetto che dà questa o quella forma particolare e definita a un’idea generale ed astratta come quella di “casa”.

47. Nel quadro della penalità vaticana quello operato dall’art. 7, 1 della L. 1° ottobre 2008 n. LXXI (in, A.A.S. Supplemento, 79 – 2008 – p. 67), ossia dalla vigente legge sulle fonti, ancorché pietrificato per espressa volontà sovrana alla condizione codicialmente sussistente l’8 giugno 1929, costituisce un rinvio tecnicamente qualificabile come ricettizio o materiale, giacché, mentre si afferma con chiarezza la competenza dello Stato al riguardo statuendosi che il richiamo è operativo «fino a che non si provveda a nuova definizione del sistema penale», con un tale rinvio ci si riporta, con una norma per così dire “in bianco”, alla codificazione penale italiana con lo scopo di farla propria, inserendola nel contesto ordinamentale vaticano, al quale deve adattarsi. In effetti – come è del tutto evidente dall’art. 3, 1 della vigente Legge sulle fonti (in, A.A.S. Supplemento, 79 – 2008 – p. 66) – lo scopo che il Legislatore statuale vaticano si propone con il richiamo alla normativa italiana nonè,persé,quellodiavereperloSCVunadisposizioneancheermeneuticamenteidentica a quella italiana, ma di conseguire una maggiore completezza della propria positività giuridica.

Certamente la normativa codiciale zanardelliana, malgrado i suoi pregi e la sua consonanza con la natura del diritto dello SCV, risulta vetusta. Tuttavia la vaticanizzazione operata dal rinvio è tale da determinare, ermeneuticamente, un adattamento continuo al mutare dei tempi, in qualche modo elasticizzandone i contenuti, tramite una costante applicazione di quei criteri di ragionevolezza che, orientati dalla interpretazione illuminante del diritto ecclesiale (cfr. art. 1, 1 della Legge sulle fonti, in, A.A.S. Supplemento, 79 – 20018 – p. 65) è anche congruente con il principio di legalità sancito dall’art. 1 c.p., in quanto intelligenza di un medesimo dettato positivo, approfondito con assiduità e per ciò rinnovato senza alterazioni nei suoi significati.

In tale quadro occorre fare un’osservazione in chiave ermeneutica in rapporto agli enunciati positivi delle norme richiamate in riferimento a ciò che rimane estraneo a quanto consolidato fino ad una certa data nei rinvii di gran lunga più numerosi stabiliti in forma chiusa (pietrificata). Le elaborazioni dottrinali, ma soprattutto giurisprudenziali – e talvolta anche normative – possono costituire non raramente preziosi criteri integrativi non in se stessi – poiché si formano esternamente in un contesto ordinamentale sostanzialmente diverso da quello dello SCV – bensì in quanto parametri di ragionevolezza (cfr. sentenza del Tribunale dello SCV del 29 novembre 2008, procedimento penale n. 117/03 Reg. Gen. Pen., in, Il diritto penale della Città, op. cit., pp. 309-310).

Occorre infine osservare che i Sommi Pontefici – Benedetto XVI con il “Motu proprio” del 30 dicembre 2010 “La Sede Apostolica” (in, A.A.S., 103 – 2011 – pp. 7-8) e Francesco con il “Motu proprio” dell’11 luglio 2013 “Ai nostri tempi” (in, A.A.S., 105 – 2013 – pp. 651- 653) – hanno canonizzato, ossia hanno introdotto nel diritto della Chiesa (cfr. can. 22 del codice di diritto canonico) alcune leggi penali statuite per lo SCV tramite una norma sulla produzione giuridica, nell’evidente presupposto che le fattispecie previste in simili normative avessero, nella loro identità pur statualmente individuata, una valenza penale anche spirituale.

Si deve notare che con le estensioni nell’ambito del diritto della Chiesa delle normative statuali penali appena ricordate – a cagione del rinvio attuato dal Legislatore canonico nella sua sfera di competenza esclusiva e, quindi, senza incidere sulle disposizioni codiciali vaticane concernenti la validità delle leggi penali nello spazio – si sono determinati peculiari effetti giuridici. Più specialmente con tali provvedimenti pontifici talune importanti normative penali dello Stato, ed in particolare per il giudizio in discussione la L. 11 luglio 2013, n. IX (in, A.A.S. Supplemento, 84 – 2013 – pp. 109-131), hanno avuto efficacia giuridica – anche se in riferimento solo a taluni Organismi e a determinate persone – in ambiti territoriali diversi da quello dello SCV per i quali altrimenti non la avrebbero avuta alla stregua delle prescrizioni del codice penale.

Inoltre Benedetto XVI, con il “Motu proprio” del 30 dicembre 2010 “La sede Apostolica” (cfr. lett. d) in, A.A.S., 103 – 2011 – p. 8) e Papa Francesco con il “Motu proprio” dell’11 luglio 2013 “Ai nostri tempi” (cfr. 1, in, A.A.S., 105 – 2013 – pp. 651-653), per i reati e per coloro per i quali è stata disposta la efficacia canonica della normativa dello SCV, hanno stabilito che la giurisdizione venisse esercitata, per delega, dall’Autorità giudiziaria vaticana.

48.L’associazione criminosa prevista e punita dall’art. 248 c.p. così come integralmente sostituito dall’art. 25 della L. 11 luglio 2013 n. IX (in, A.A.S. Supplemento, 84 – 2013 – p. 121), conforma un reato articolato in una pluralità di fattispecie per la cui sussistenza, ai sensi del primo comma di quella medesima prescrizione, è sempre e comunque necessaria, pregiudizialmente, la effettiva istituzione della socialità criminale. In effetti, ancora prima di richiamare i singoli comportamenti delittuosi – promozione, costituzione, organizzazione e direzione (primo e terzo comma), partecipazione (secondo e terzo comma), o ancora organizzazione, facilitazione, incoraggiamento, favoreggiamento o consiglio per la perpetrazione di un delitto che coinvolga l’associazione medesima (quarto comma) – la condizione normativa in esame ne vincola, preliminarmente, la punibilità alla reale instaurazione della “societas delinquendi”, ossia al «quando più persone si associano», così che si deve ritenere che la rilevanza penale delle attività prese normativamente in considerazione si abbia unicamente con la erezione concreta della associazione criminosa che, pertanto, enuclea il fondamento comune e pregiudiziale a tutte le condotte delittuose.

Occorre quindi anzitutto verificare, nel caso in controversia, la effettiva sussistenza di una socialità posta in essere «allo scopo di commettere più delitti ovvero allo scopo di conseguire vantaggi ingiusti avvalendosi della forza criminosa del vincolo associativo» (primo comma art. 248 c.p.).

Di una tale aggregazione criminale bisogna anzitutto accertare la costituente materiale consistente in una operatività condotta da più persone, ma distinta e separata dalle attività, ai sensi degli artt. 63-66 c.p. (sui quali avremo modo di soffermarci più avanti, cfr. infra, n. 56), plurisoggettivamente compartecipate costituenti il concorso di più persone in un medesimo delitto in quanto diretto programmaticamente in tutte le sue fasi, non esclusa quella preparatoria, al compimento di un reato specificatamente individuato e determinato.

In realtà con la società criminosa si pone in essere, con una propria durata temporale, una entità nella quale i ruoli dei membri – che come talvolta accade per i promotori possono anche non essere partecipativi – sono forzatamente generici, in quanto non indirizzati al compimento di un progetto orientato ad una figura criminosa normativamente definita e fattualmente individuata in concreto, tanto che la punibilità dei soci si ha per effetto della esistenza dell’associazione, prescindendo dalla attuazione dei delitti collegati – «per ciò solo» – come sancisce il primo comma dell’art. 248 c.p.

In relazione alla costituente soggettiva di una tale socialità delittuosa occorre determinare l’oggetto dell’intenzionalità dolosa dei membri dell’associazione a delinquere, vale a dire la conoscenza concernente l’illegittimità delle attività realizzatrici dell’organizzazione pianificata dal sodalizio criminale. Il primo comma dell’art. 248 c.p. individua, tra gli elementi normativi, lo «scopo di commettere più delitti» ovvero lo «scopo di conseguire vantaggi ingiusti avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo». In tale prospettiva si deve ritenere che una simile disposizione codiciale abbia condizionato la punibilità del reo alla consapevolezza della illiceità del proprio compito e di quella degli altri associati compartecipi di un progetto del quale si coglie la particolare antigiuridicità (dolo specifico).

49. In questa prospettiva giuridica e secondo quanto viene contestato nell’atto di rinvio a giudizio (doc. 43 f u; cfr. supra, n. 43), occorre accertare se tra gli imputati L. Á. Vallejo Balda, F. I. Chaouqui e N. Maio fosse stata instaurata un’associazione criminosa ai sensi dell’art. 248 c.p. con riferimento all’accumulo e alla propalazione di documentazione riservata della Santa Sede, con lo «scopo di commettere più delitti» o «di conseguire vantaggi ingiusti avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo».

Gli imputati dei quali si sta vagliando la posizione svolgevano le attività, delle quali si sta prendendo in considerazione la valenza criminosa, in Organismi operanti nell’ambito curiale romano: la Prefettura e la COSEA. In tale quadro si rende anzitutto necessario delineare in sequela un tale duplice scenario operativo specialmente in relazione alla funzione documentativa che si realizzava e al ruolo o alla presenza che vi disimpegnavano gli imputati. Il servizio ecclesiale della Prefettura viene normativamente focalizzato in questi termini da Giovanni Paolo II nell’art. 176 della “Constitutio Apostolica de Romana Curia” del 28 giugno 1988 “Pastor Bonus”: «Praefecturae munus competit moderandi et gubernandi bonorum administrationes quae a Sancta Sede pendent vel quibus ipsa praeest, quaecumque est autonomia qua forte gaudeant» (in, A.A.S., 80 – 1988 – p. 907, cfr. altresì, ibidem, art. 178 e 179). In questo Dicastero all’epoca dei fatti in controversia l’imputato L.Á Vallejo Balda vi svolgeva le funzioni di segretario e quindi, come tale, costituiva il più importante collaboratore del Presidente, secondo quanto dispone l’art. 177 della Costituzione Apostolica appena richiamata: «Eidem [Praefecturae] praeest Cardinalis cui adest coetus Cardinalium, quorum unus Praesidis munere fungitur, iuvantibus Praelato Secretario et Ratiocinatore Generali» (in, A.A.S., 80 – 1988 – p. 907). Il medesimo imputato per ciò, intratteneva peculiari rapporti con coloro che, insieme a lui (ragioniere generale) o, dopo di lui, avevano responsabilità nel Dicastero (cfr. interrogatorio del teste S. Fralleoni, all’epoca ragioniere generale, doc. 147 f u, pp. 5-6) del quale, invece, non facevano parte gli imputati F. I. Chaouqui (cfr. interrogatorio della medesima, doc. 134 f u, p. 4) e N. Maio (cfr. interrogatorio dello stesso, doc. 136 f u, p. 3).

Considerando la peculiare competenza di una tale Struttura curiale concernente il controllo contabile di tutti gli organismi che facevano capo alla Santa Sede, è evidente che le funzioni attinenti alla movimentazione ed alla conservazione dei documenti avessero una peculiare importanza, così che un particolare rilievo rivestiva l’archivio che, peraltro, ogni dicastero doveva avere, a norma dell’art. 10 della ricordata Costituzione Apostolica sulla Curia romana: «Unumquodque Dicasterium proprium habet archivium, in quo documenta recepta atque exemplaria eorum, quae missa sunt, in “protocolum” relata, ordinate, tuto et secundum hodierni temporis rationis custodiantur» (in, A.A.S., 80 – 1988 – p. 862).

In effetti in Prefettura si avevano due archivi, uno ordinario ed uno riservato con un proprio protocollo collocato – all’epoca dei fatti in controversia – nella stanza del segretario (cfr. interrogatori dell’imputato L.Á. Vallejo Balda, doc. 122 f u, p. 5, dei testimoni S. Fralleoni, doc. 147 f u, pp. 7-8, P. Pellegrino, doc. 149 f u, pp. 10-11, A. Abbondi, doc. 168 f u, pp. 9- 10 e F. Schiaffi, doc. 171 f u, pp. 5-6), entrambi sotto la responsabilità «del segretario del Dicastero in quanto Superiore»; peraltro, mentre «per quanto riguarda l’archivio riservato che era sotto la responsabilità diretta del Segretario, l’accesso poteva avvenire solo dal Segretario o su richiesta dello stesso», per l’archivio ordinario – per il quale degli atti in esso custoditi si registravano informaticamente gli estremi e non il contenuto – «per la richiesta e il prelievo dei documenti… non c’erano speciali procedure né una registrazione dei documenti prelevati» (interrogatorio del teste A. Abbondi, doc. 168 f u, p. 10).

Tuttavia, il testimone S. Fralleoni (doc. 147 f u, p. 8) osserva che per prassi – a proposito della quale ci furono scontri tra l’archivista da una parte e il segretario e il capo ufficio dall’altra (cfr. deposizioni dei testi P. Pellegrino, doc. 149 f u, p. 11 e F. Schiaffi, doc. 171 f u, p. 5) – «pur non esistendo un registro vi era un’annotazione dei prelievi». Specificatamente in riferimento alla movimentazione dei documenti la testimone P . Pellegrino afferma: «Ricordo… dai primi mesi del 2015 fino al luglio 2015 un’attività frenetica di prelevamento di documenti da parte di Mons. Abbondi e Mons. Vallejo Balda. Questi documenti riguardavano in particolare le pratiche dei Postulatori delle Cause dei Santi… Di fronte a questa prassi assolutamente anomala di fotocopiatura di una numerosa quantità di documenti, che tendeva a creare un archivio parallelo, mi sono molto preoccupata, per me e per il mio collaboratore, avendo la responsabilità dell’archivio» (doc. 149 f u, pp. 11-12; cfr. interrogatori dei testi S. Fralleoni, doc. 147 f u, p. 8 e F. Schiaffi, doc. 171 f u, p. 6).

In proposito il testimone A. Abbondi – il quale dichiara che non gli risultava che fossero «state fatte fotocopie di documenti dell’archivio riservato» (doc. 168 f u, p. 12) – afferma di essere stato incaricato dal segretario del Dicastero di effettuare la fotocopiatura della documentazione relativa alle cause dei santi, in riferimento alla quale, essendosi reso conto della ingente mole del materiale da riprodurre, chiese all’imputato L.Á. Vallejo Balda di poter fare effettuare il lavoro dall’usciere, in quanto non si trattava di documentazione riservata. A quest’ultimo riguardo il medesimo teste puntualizza: «Preciso… di aver ritenuto che non si trattasse di materiale riservato sia perché era depositato in armadio non chiuso sia perché, avendo chiesto a Mons. Vallejo Balda di farlo fotocopiare dall’usciere e aver ottenuto di farlo fare da questo addetto, da ciò avevo desunto la non segretezza del lavoro in questione. Il lavoro di fotocopiatura si prolungò per una quindicina di giorni da parte dell’usciere» (doc. 168 f u, p. 12).

Per quanto attiene alla disponibilità della documentazione esistente presso la Prefettura, il teste S. Fralleoni, che in quello stesso Dicastero svolgeva le funzioni di ragioniere generale, dichiara: «Certamente come Segretario [l’imputato L.Á. Vallejo Balda] aveva diritto a consultare tutti i documenti dell’archivio…[e] poteva reperire qualsiasi tipo di documentazione» (doc. 147 f u, p. 12; cfr. altresì interrogatori degli imputati L.Á. Vallejo Balda, doc. 122 f u, p. 5 e F.I. Chaouqui, doc. 134 f u, p. 14).

Si deve anche rilevare come i rapporti tra i membri della Prefettura fossero contrassegnati, nelle relazioni del capo ufficio nei riguardi sia dei superiori sia degli altri dipendenti, da attriti che lo avevano portato per ben quattro volte a chiedere un trasferimento sempre negato (cfr. deposizioni del teste A. Abbondi, doc. 168 f u, p. 11 e p. 20), e fossero inoltre, caratterizzati almeno a partire da un certo periodo, da tensioni in particolare nei confronti del segretario del Dicastero, secondo quanto osserva il testimone S. Fralleoni: «Tutto l’ufficio, ma parlo per me, ha notato in Mons. Vallejo Balda un cambiamento nei modi con la [costituzione della] COSEA. Prima c’era un rapporto di stima… Poi tutti i dipendenti erano diventati incapaci e fannulloni; c’era sempre da parte di Mons. Vallejo Balda il modo di rilevare qualcosa che non andava. Diceva inoltre che tutto il personale della Santa Sede era di basso livello. Nelle normali pratiche di ufficio Mons. Vallejo Balda trovava sempre delle anomalie e voleva che le cose fossero fatte in modo diverso. Ha dato modo di far vivere un clima sgradevole con manifestazioni violente e fisiche, tipo strattonamenti. E ciò ha comportato la reazione del personale con un’informazione all’autorità competente» (doc. 147 f u, p. 7; cfr. inoltre interrogatori dei testi P. Monaco, doc. 147 f u, p. 4, P. Pellegrino, doc. 149 f u, p. 10, pp. 17-18, R. Minotti, doc. 168 f u, p. 8 e F. Schiaffi, doc. 171 f u, pp. 4- 5).

La presenza nei locali della Prefetture dell’imputato L.Á. Vallejo Balda che nel Dicastero – essendone il segretario – aveva il proprio ufficio, era costante ed assidua, mentre era variamente ricorrente quella degli altri due imputati dei quali si sta valutando la responsabilità penale, che alla stessa Struttura curiale erano estranei.

In particolare l’imputata F.I. Chaouqui, in riferimento al periodo anteriore alla costituzione della COSEA nel luglio 2013, afferma: «Le mie occasionali presenze [in Prefettura] non erano certamente ingombranti. Sono stata alcune volte da Mons. Vallejo Balda [che per parte sua esplicita come avvenuta, prima della nomina alla COSEA «una sola visita di cortesia» (doc. 122 f. u, p. 5)] e altre da mons. Abbondi, in tutto quattro o cinque volte» (doc. 134 f u, p. 4). Il testimone S. Fralleoni in proposito dichiara: «Prima dell’inizio dei lavori di COSEA… la Chaouqui veniva raramente… e si relazionava con Mons. Vallejo Balda… senza ragioni che giustificassero la sua presenza in Prefettura… Dal momento che la COSEA inizia, la presenza della Chaouqui in Prefettura diviene frequente» (doc. 147 f u, p.5;cfr.altresìinterrogatorideitestiP.Monaco,doc.149fu,p.5eP.Pellegrino,doc.149 fu, p. 13; cfr. inoltre deposizione del teste F. Schiaffi, doc. 171 f u, pp. 6-7).

L’imputato N. Maio in relazione al proprio lavoro istituzionale dichiara: «Nominato Segretario esecutivo di COSEA in data 4 ottobre 2013… il mio lavoro si svolse prevalentemente fino all’8 luglio 2014 a Santa Marta. Mi recavo in Prefettura per acquisire le firme e conferire con gli altri due segretari esecutivi aggiunti, nel frattempo nominati. Dopo l’8 luglio 2014 sono stato presente in maniera permanente in Prefettura fino al 15 dicembre 2014» (doc. 136 f u, pp. 2-3). Il testimone A. Abbondi conferma sostanzialmente le asserzioni dell’imputato: «Maio veniva saltuariamente in Prefettura quando doveva parlare con Mons. Vallejo Balda per questioni dirette alla COSEA, sennò rimaneva a S. Marta… La presenza stabile di Maio si ebbe alla fine di COSEA, quando si trattò di chiudere tutte le attività, e quindi la presenza in Prefettura era giustificata» (doc. 168 f u, p. 17; cfr. anche deposizione del teste S. Fralleoni, doc. 147 f u, p. 9).

50. Gli imputati L. Á. Vallejo Balda, F. I. Chaouqui e N. Maio svolgevano la loro attività anche in un altro contesto operativo curiale, quello della COSEA, Commissione voluta da Papa Francesco che, secondo quanto esplicita l’imputata F. I. Chaouqui, «era strutturata in due momenti: il primo in cui… avrebbe dovuto studiare e fare la fotografia della situazione economica degli Enti della Santa Sede [e il teste S. Fralleoni afferma di ritenere «che anche la Prefettura, per volontà del Santo Padre, facesse parte del lavoro di COSEA» (doc. 147 f u, p. 15; cfr. pure interrogatorio dell’imputato N. Maio, doc. 136 f u, p. 4; cfr. infra, n. 51)]. Un secondo momento in cui si sarebbero fatte le proposte per migliorare il sistema» (doc. 134 f u, p. 4).

La COSEA la quale, per attuare le proprie funzioni, si riuniva «una volta al mese… mentre… le sottocommissioni [si incontravano] più frequentemente» (interrogatorio dell’imputata F. I. Chaouqui, doc. 134 f u, p. 12), svolgeva non poche delle sue mansioni nella sede della Prefettura nella quale anche l’imputato N. Maio aveva un piccolo ufficio (cfr. interrogatori dei testi: S. Fralleoni, doc. 147 f u, pp. 11-12, P. Monaco, doc. 149 f u, p. 7; R. Minotti, doc. 168 f u, p. 6 e F. Schiaffi, doc. 171 f u, p. 4). Un tale Organismo, come chiarisce l’imputato L.Á. Vallejo Balda, istituito dal 20 luglio 2013 – anche se il medesimo imputato ebbe ad occuparsene da circa un mese prima – si sciolse il 20-22 maggio 2014, pur se il rendiconto contabile venne portato a termine nel maggio 2015 e l’archivio cartaceo consegnato nel luglio 2015 (cfr. doc. 122 f u, p. 16; cfr. anche ibidem, p.6).

In tale Commissione l’imputato L. Á. V allejo Balda aveva le funzioni di segretario coordinatore e fin dall’inizio aveva cercato di distinguere le funzioni che svolgeva nelle due Strutture curiali, ossia la Prefettura e la COSEA (cfr. interrogatorio dello stesso imputato, doc. 122 f u, p. 5). L’imputata F. I. Chaouqui, membro della COSEA, spiega così le funzioni che vi disimpegnava: «In COSEA vi erano diverse competenze: la mia era quella di analizzare i sistemi di comunicazione e progettare un sistema organico e coordinato che oggi esiste ancora» (doc. 134 f u, p. 4).

L’imputato N. Maio dichiara: «Nominato Segretario esecutivo della COSEA il 4 ottobre 2013…, avendo le competenze anche linguistiche che si richiedevano… durante il funzionamento della Commissione rispondevo a tutti i componenti e particolarmente al Presidente Zhara e al Segretario Mons. Vallejo Balda [cfr. pure interrogatorio dell’imputato L.Á Vallejo Balda, doc. 122 f u, p. 16]. Dopo il suo scioglimento a Mons. Vallejo Balda» (doc. 136 f u, p. 2).

Il testimone A. Abbondi, in riferimento alle modalità attuative dei suoi compiti (cfr. anche interrogatorio dell’imputato N. Maio, doc. 136 f u p. 3) e del suo rapporto con l’imputato L. Á. Vallejo Balda, asserisce: «Maio è una persona discreta che aveva con mons. Vallejo Balda un rapporto di diligente esecuzione», così che quest’ultimo ne «apprezzava molto le capacità operative e la discrezione»; suo «Segretario esecutivo… nella COSEA… redigeva lettere in inglese» (doc. 168 f u p. 17). Il teste S. Fralleoni, sostanzialmente in modo non diverso, afferma che il rapporto dell’imputato N. Maio con il Segretario coordinatore della COSEA «era legato ad aspetti di segreteria, traduzioni di lettere poiché il Maio è capace sia nello scrivere bene sia nelle lingue. Mons. V allejo Balda» che «si avvaleva di Maio nella traduzione e conversione di mail», mandava «Maio a fare diversi lavori e commissioni»; «si può dire che Maio fosse l’uomo di fiducia di Mons. Vallejo Balda» (doc. 147, p. 9; cfr. anche, ibidem, p. 12).

L’imputato N. Maio dichiara di aver dato le dimissioni dalle sue funzioni il 15 dicembre 2014 (cfr. doc. 136 f u, pp. 2-3; cfr. altresì deposizioni dell’imputato L. Á. Vallejo Balda, doc. 122 f u, p. 6, cfr. anche ibidem, p. 17 e della teste P. Pellegrino, doc. 149 f u, p. 13), «perché il mio ruolo non era più fondamentale, mi sentivo risucchiato in una dinamica finalizzata in attività diverse da quelle istituzionali, che non condividevo e non approvavo… Mi sentivo estraneo alle attività extraufficio e “paravaticane”» (doc. 136 f u, p. 5). In proposito il medesimo imputato aggiunge ancora: «Alla fine del mio lavoro percepii un cambiamento di comportamento da parte di Mons. V allejo Balda nei miei confronti, che certamente ha avuto influenza nelle mie dimissioni» (doc. 136 f u, pp. 7-8).

A causa dei compiti che doveva attuare, la COSEA aveva necessità di un sistema di comunicazione e di archiviazione documentale. In effetti tra i membri della COSEA, secondo quanto asserisce l’imputato L. Á. Vallejo Balda, si aveva, per i documenti più riservati, un sistema di trasmissione che tentava di salvaguardarne la segretezza: «Si mandava l’e-mail all’interessato e un messaggio sul cellulare con una chiave di accesso all’e-mail. Le password in questione erano di un gruppo di lavoro… La password era per uno o più documenti» (doc. 122 f u p. 9; cfr. interrogatorio del teste G. Gauzzi, doc. 171 f u,

p. 14 e doc. 178 f u p. 5, pp. 16-17 e p. 18). Come rileva ancora il medesimo imputato: «Il Lanino Corrado, marito della Chaouqui, aveva creato il sistema informatico della COSEA e le password e aveva la possibilità di accesso. Io mi fidavo completamente di lui» (doc. 122 f u, p. 9).

Al riguardo il vice Commissario del Corpo della Gendarmeria, ing. G. Gauzzi, nella sua testimonianza chiarisce: «Mons. Vallejo Balda ha avuto la necessità di creare un’infrastruttura tecnologica per gestire tutta la documentazione che si sarebbe prodotta nell’anno successivo di lavoro. Mons. Vallejo Balda… decise di affidare l’incarico al dott. Corrado Lanino, marito della Chaouqui… A questo punto il Dott. Lanino riceve questo incarico e viene affrontata una spesa di euro centodiecimila/00 (110.000/00) e viene creato questo server che avrebbe dovuto essere utilizzato come contenitore di tutta la documentazione prodotta dalla Commissione… Il server è stato collocato presso la caserma della Guardia Svizzera [cfr. anche interrogatori dell’imputata F. I. Chaouqui, doc. 134 f u, p. 6, cfr. anche ibidem, p. 7 e del gendarme S. De Santis, doc. 178 f u, p. 11]… La sua ubicazione (server) è stata un mistero anche perché durante il periodo della COSEA… nessun Superiore né dello SCV né della Santa Sede, ne conosceva l’ubicazione. Oltre a questo tipo di sistema il Dott. Corrado Lanino aveva insieme alla Chaouqui e Mons. Vallejo Balda acquistato degli iPhone con delle schede telefoniche di operatore di una compagnia telefonica di Malta, in quanto ritenevano di essere spiati e controllati. Proprio per questo motivo, viene configurato un “telefono bianco” che viene depositato in una stanza presso la Domus S. Marta, nel quale il Dott. Lanino ha configurato il “nome utente” e la “password” di accesso al sistema cloud della Apple. Lo stesso (il Dott. Lanino) è stato incaricato da Mons. Vallejo Balda di configurare anche gli iPhone che poi sarebbero stati utilizzati dai componenti della COSEA, al fine di poter inviare le password per l’apertura dei documenti prodotti dai membri della COSEA su tutte le materie trattate, quasi tutte riservate» (doc. 171 f u, pp. 12-13).

Il medesimo teste asserisce che il dott. C. Lanino, in quanto amministratore del server, era legittimato (cfr. doc. 178 f u, pp. 7-8) ad avere tutte le chiavi di accesso al medesimo (cfr. doc. 178 f u, pp. 13-14; cfr. pure interrogatorio dell’imputato l’imputato L. Á. Vallejo Balda, doc. 122 f u, p. 9) ed afferma che i documenti più importanti della COSEA sono stati inviati solo ai membri della medesima Commissione.

D’altra parte era altresì obbligata per COSEA la disponibilità di un archivio per la adeguata conservazione dei documenti – dei quali l’imputato L. Á. V allejo Balda nel suo interrogatorio (cfr. doc. 122 f u, p. 16) dichiara di avere avuto la completa disponibilità in quanto segretario coordinatore della COSEA – attinenti «questioni e interessi istituzionali e fondamentali della Santa Sede e dello Stato» (interrogatorio dell’imputata F. I. Chaouqui, doc. 134 f u, p. 7).

In proposito l’imputato L. Á. Vallejo Balda esplicita: «Il primo problema della COSEA era lo spazio e per questo motivo abbiamo chiesto al Santo Padre una stanza a Santa Marta, la stanza 127, come archivio. La scelta di Santa Marta è stata fatta per la sicurezza trovandosi all’interno dello SCV» (doc. 122 f u, p. 6; cfr. pure interrogatorio degli imputati F. I. Chaouqui, doc. 134 f u, p. 6 e N. Maio, doc. 136 f u, p. 5). In effetti, per quanto concerne la sicurezza – anche se il segretario coordinatore della COSEA non se ne preoccupava molto (cfr. interrogatorio del teste A. Abbondi, doc. 168 f u, p. 18) – è stata asserita la presenza di microspie negli uffici della Prefettura (cfr. interrogatori dei testi A. Abbondi, doc. 168 f u, pp. 14-15, P. Pellegrino, doc. 149 f u, p. 15 e S. De Santis, doc. 178 f u, p. 11).

La COSEA era anche travagliata da contrasti così esterni come interni, secondo quanto esplicita l’imputato L. Á. Vallejo Balda: «All’interno della COSEA in relazione con altri Enti c’erano delle tensioni. C’erano problemi sia sulla gestione della struttura della COSEA», sia sulle «competenze di qualcuno» (doc. 122 f u. p. 6; cfr. anche interrogatorio dell’imputata F. I. Chaouqui, doc. 134 f u, p. 5).

51. Nell’ambito di questa operatività della Prefettura, e in modo specialissimo della COSEA – evidenziati anche dagli esiti dell’analisi forense (cfr. interrogatorio del teste G. Gauzzi, doc. 171 f u p. 12) – si erano venuti costituendo dei rapporti particolarmente intensi tra gli imputati L. Á. Vallejo Balda, F. I. Chaouqui ed N. Maio, che hanno suscitato peculiari perplessità nella Prefettura, dove essi si incontravano nell’ufficio del segretario di quel Dicastero. Infatti alcuni testimoni enucleano che gli imputati, dei quali si sta esaminando la responsabilità penale, avevano dato vita ad un gruppo (cfr. interrogatori dei testi P. Monaco, doc.149fu,p.6,p.7,P.Pellegrino,doc.149fup.13,R.Minotti,doc.168fup. 16 e F. Schiaffi, doc. 171, p. 4), al cui interno era rilevabile una tendenza a suscitare occasioni di condivisione (cfr. interrogatorio del teste S. Fralleoni, doc. 149 f u p. 6, p. 11) per riunioni che non consolidavano un esito che venisse «portato all’attenzione della Prefettura sotto forma di attività da sviluppare», tanto che nel Dicastero «tutti i dipendenti laici» avevano notato «una sorta di anomalia» e di «irritualità» (interrogatorio del teste S. Fralleoni, doc. 149 f u p. 6).

La testimone P. Monaco spiega che nei confronti di un tale sodalizio personale – non privo interiormente di tensioni (doc. 149 f u p. 7) nel quale «in senso sostanziale non gerarchico, il soggetto che dominava… era la Dott.ssa Chaouqui, che aveva una forte [o, come dice l’imputato N. Maio, «una crescente» (doc. 136 f u p. 5)] influenza su Mons. Vallejo Balda, mentre «il dott. Maio aveva un mero ruolo di supporto esecutivo» (doc. 149 f u p. 9, cfr. anche ibidem, p. 6) – «io e gli altri dipendenti [della Prefettura] non nutrivamo malanimo, ma percepivamo disagio per un modo di agire irregolare in senso di non conforme alle regole di correttezza degli uffici di Curia» (doc. 149 f u pp. 7-8).

La medesima testimone aggiunge: «Preciso che il gruppo era molto coeso e chiuso» (doc. 149 f u p. 6), ed ancora: «Il clima creatosi con questo gruppo estraneo alla Prefettura, non si era mai avuto in precedenza nonostante la presenza periodica di revisori esterni internazionali che peraltro avevano lavorato in Prefettura. Preciso che certamente la COSEA era un qualcosa di innovativo e tuttavia l’anomalia che percepivamo non era dovuta alla novità di questo organismo» (doc. 149 f u p. 9). L’archivista della Prefettura, la testimone P. Pellegrino, sostanzialmente in modo non diverso, osserva: «Il comportamento era fuori di qualsiasi logica lavorativa della Prefettura e faccio notare che questo avvenne anche nei mesi successivi alla fine della COSEA» (doc. 149 f u p. 13).

Una tale atipicità si agganciava anche alla prassi procedurale del sodalizio, i cui incontri, secondo quanto afferma il testimone S. Fralleoni, «si svolgevano con modalità di estrema riservatezza» (doc. 147 f u, p. 7; cfr. pure interrogatorio del teste F. Schiaffi, doc. 171 f u p.
4) nell’ufficio del segretario della Prefettura a porte chiuse (cfr. interrogatorio del teste S. Fralleoni, doc. 147 f u p. 7, p. 14, p. 15). A quest’ultimo proposito la teste P. Monaco annota: «Di per sé, il fatto che il gruppo si riunisse a porte chiuse poteva essere giustificato [nello stesso senso si esprime anche il teste S. Fralleoni (doc. 147 f u p. 15), mentre diversamente sul punto si pronuncia la teste P. Pellegrino (doc. 149 f u p. 13)] da esigenze di riservatezza, e tuttavia il clima generale di anomalia in cui si svolgeva il tutto, suscitava l’impressione complottistica» (doc. 149 f u p. 9).

In relazione all’esistenza di un tale sodalizio ristretto e ritenuto anomalo almeno in taluni ambiti della Prefettura, l’imputato L. Á. Vallejo Balda asserisce: «Nego assolutamente di aver fatto parte di qualsiasi Commissione segreta» (doc. 122 f u p. 6). Per quanto attiene alla aggregazione del gruppo di area COSEA nella quale aveva parte il segretario coordinatore e quello esecutivo della Commissione – ossia gli imputati L. Á. Vallejo Balda e N. Maio –, il medesimo imputato L. Á. Vallejo Balda, in relazione al terzo affiliato dichiara: «La Chaouqui era l’unico membro della COSEA che stava a Roma, è stata di aiuto e posso affermare che ha sempre svolto il suo lavoro in modo professionale» (doc. 122 f u p. 6).

Tuttavia i rapporti tra gli imputati L. Á. Vallejo Balda e F. I. Chaouqui si sono guastati dopo lo scioglimento della COSEA (cfr. anche interrogatorio dell’imputata F. I. Chaouqui, doc. 134 f u pp. 8-9) come annota il testimone A. Abbondi: «Da quanto saputo da Mons. Vallejo Balda, il raffreddamento con la Chaouqui nasceva dal fatto che Mons. Vallejo Balda stesso aveva percepito la non sussistente rispondenza della stessa Chaouqui nell’ambito della Santa Sede. Mons. Vallejo Balda prese una netta distanza» (doc. 168 f u p. 19). Anzi in proposito l’imputato L. Á. Vallejo Balda asserisce: «Quando la COSEA ha terminato il proprio lavoro con la consegna dell’archivio [ossia nel mese di luglio 2015, cfr. supra, n. 50] ho avuto minacce da parte della Chaouqui e del marito in quanto voleva lavorare all’interno del Vaticano. Ero preoccupato per il fatto che la Chaouqui aveva perso il suo lavoro per lavorare in COSEA» (doc. 122 f u pp. 6-7, cfr. anche ibidem, p. 11 e p. 14).

Anche l’imputata F. I. Chaouqui assume nel suo interrogatorio una posizione non diversa da quella dell’imputato L. Á. Vallejo Balda in rapporto al gruppo formato con gli altri due imputati dei quali si sta discutendo la responsabilità penale: «La mia presenza, in particolare con Vallejo Balda, con Maio e con altri addetti era giustificata dal fatto che il lavoro che ci era stato affidato aveva come luogo di riferimento la Prefettura. Io non incontravo l’altro personale della Prefettura… Nego che si sia costituito un gruppo ristretto che operasse segretamente al di fuori del contesto dell’attività di COSEA» (doc. 134 f u p. 5). Peraltro la stessa imputata, nel suo interrogatorio del 12 novembre 2015 avanti al Promotore di Giustizia, aveva affermato che con gli altri due imputati era stata costituita (cfr. deposizione della stessa imputata davanti al Promotore di Giustizia, in data 17 novembre 2015, doc. 33 f u p. 1) una commissione «segreta» che «doveva interessarsi di acquisire notizie e documenti non di pertinenza COSEA e riguardanti i capi ufficio della Curia» (doc. 22 f u p. 1-2); di tale commissione parla, in quanto presente a tale interrogatorio, il teste S. De Santis il quale asserisce che una simile commissione segreta

«avrebbe dovuto riformare la riforma e aveva condotto per proprio conto attività di indagine e di ricerca» (doc. 178 f u p. 11).

Prima della rottura alla quale si è fatto cenno, anche l’imputata F. I. Chaouqui conferma l’intensità dei contatti anche informatici con l’imputato L. Á. Vallejo Balda: «Non è da sorprendersi dello scambio di comunicazioni e documenti tra Mons. Vallejo Balda e me in relazione al lavoro che facevamo insieme, in relazione al fatto che Mons. Vallejo Balda cercava un controllo anche linguistico e in relazione al fatto che si aspettava anche un sostegno al suo lavoro. I documenti che Mons. Vallejo Balda mi inviava erano tantissimi. Per quanto riguarda il contenuto dei messaggi a volte aggressivo o ironico, ciò è da ascrivere al clima contrario nei miei confronti, registrabile in quel tempo in Vaticano» (doc. 178 f u p. 8).

L’imputato N. Maio, nel suo interrogatorio, esplicita la propria posizione negli incontri con gli altri due imputati, dando le ragioni di quanto aveva asserito nell’interrogatorio reso davanti al Promotore di Giustizia il 4 novembre 2015 (cfr. doc. 9 f u p. 2 e p. 4): «Tradito dall’emozione durante la deposizione ho utilizzato l’espressione impropria parlando di “Commissione ombra” e di “super commissione segreta” in realtà è andata nel seguente modo: Mons. V allejo Balda era il mio diretto e in quel momento unico superiore gerarchico… Avevo un ruolo meramente esecutivo… Ero il più stretto collaboratore di Vallejo Balda» (doc. 136 f u p. 3).

Il medesimo imputato, in relazione ai rapporti con gli altri due imputati, afferma: «Io ero perennemente in stato di soggezione psicologica. Ero coinvolto da un impegno importante che comportava pathos», aggiungendo che non gli erano mai state prospettate attività illecite da parte dell’imputato L. Á. Vallejo Balda e di non aver mai avuto richieste anomale

«non finalizzate agli obiettivi propri dell’Istituzione e confligenti con il bene dello Stato e la volontà del Sommo Pontefice». Inoltre lo stesso imputato esplicita: «Tengo a precisare che nel mio interrogatorio davanti al Promotore di Giustizia [del 4 novembre 2015. Cfr. doc. 9 f u, p. 2] parlo del gruppo che si occupava “delle questioni economiche e non”, con il “non” intendevo indicare il fatto che il gruppo si doveva interessare anche di problematiche giuridiche, sempre legate alla riforma economica. Tengo anche a dichiarare di essere, così come anche la Commissione, estraneo alla Prefettura e la Commissione aveva compiti se mai di controllare e revisionare l’attività di questo Dicastero. Non mi meraviglierei quindi se questa posizione possa essere stata mal vista e mal percepita dai componenti della Prefettura stessa» (doc. 136 f u p. 4).

Il testimone A. Abbondi, in relazione alla sua partecipazione al sodalizio del quale si sta discutendo (cfr. interrogatori dei testi S. Fralleoni, doc. 147 f u p. 7; P. Pellegrino, doc. 149 f u p. 13 e R. Minotti, doc. 168 f u, p. 6) dichiara: «Io non partecipavo a discussioni relative a COSEA. La mia presenza era sporadica e in qualche modo di supporto quando mi veniva chiesto qualche aiuto attinente al mio ufficio… Il mio apporto era quello di supportare, quando mi veniva chiesto, un aiuto. Io partecipavo in quanto dovevo trascrivere o eseguire ciò che veniva, in determinati casi, deciso per COSEA. Tutto questo perché il Maio non era presente in quanto era presente al suo posto di lavoro a S. Marta» (doc. 168 f u pp. 12-13).

Per quanto attiene alle discussioni che avvenivano all’interno del gruppo del quale si sta parlando il medesimo testimone afferma: «Preciso che le discussioni interne al gruppo erano relative a problemi del momento di COSEA, come quelli relativi al suo finanziamento, a persone non affidabili che potevano avere contatti, ecc.» (doc. 168 f u p. 12). Il teste S. Fralleoni in proposito asserisce: «Ritengo che le riunioni avessero per oggetto attività di COSEA» (doc. 147 f u p. 14). Non altrimenti si esprime il testimone R. Minotti: «Ritengo che questo gruppo lavorasse per questioni attinenti a COSEA» (doc. 168 f u p. 7). Un po’ diversamente si pronuncia la testimone P. Monaco: «Traspariva una intesa tra di loro per motivi di lavoro e forse anche per motivi extraprofessionali» (doc. 149 f u p. 6). Del resto lo stesso l’imputato L.Á. Vallejo Balda, nel suo interrogatorio, sostiene di non aver comunicato a nessuno le proprie finalità criminose: «Non ho detto ad alcuno della mia intenzione di passare la documentazione ai giornalisti, neanche alla Dott.ssa Chaouqui e al Dott. Maio» (doc. 122 f u p. 17).

Questa situazione riguardante il sodalizio tra gli imputati L. Á. Vallejo Balda e F. I. Chaouqui non viene sostanzialmente mutata in chiave probatoria dagli altri documenti esistenti negli atti di causa. Se ne può avere una conferma nei numerosi contatti informatici con l’imputato L. Á. Vallejo Balda effettuati quasi esclusivamente dall’imputata F.I. Chaouqui verso la fine del mese di maggio 2015 contestati dal Promotore di Giustizia al medesimo imputato L. Á. Vallejo Balda nel corso dell’interrogatorio davanti a lui del 6 novembre 2015 (cfr. doc. 15 f u allegato 6). Si può anche osservare che quello preso in considerazione è un periodo burrascoso nella relazione tra i due imputati poiché, secondo quanto si è più sopra accennato (in questo medesimo numero), si sta consumando la rottura dei loro rapporti.

In tali messaggi – al di là dei toni a volte accattivanti e a volte aggressivi e, oltre a frequenti allusioni in un lessico difficilmente comprensibile per chi non ha parte nella abitualità della relazione comunicativa – si ha un linguaggio che si evidenzia – almeno per i non iniziati – non adatto a fornire elementi anche soltanto indiziari di una qualche consistenza, come si manifesta – per esempio – nella comunicazione informatica di martedì 26 maggio nella quale si parla di programmi definiti importanti ma per sé non individuabili come criminosi, per di più di intelligibilità assai difficoltosa: «Abbiamo [ci si riferisce a entrambi gli imputati L. Á. Vallejo Balda e F. I. Chaouqui] progetti grossi in mano tipo l’al di là e i cinesi e non siamo nelle condizioni di mandarci a quel paese come nulla fosse» (doc. 15 f u allegato 6).

Non diversamente (cfr. rapporto del Direttore del Corpo della Gendarmeria al Presidente del Tribunale Prot. 61/33/2015/Ris, pervenuto in Cancelleria il 19 maggio 2016 con il quale si trasmetteva la documentazione esibita nel suo interrogatorio del 16 maggio precedente – cfr. doc. 171 f u – dal vice Commissario del Corpo della Gendarmeria il teste

G. Gauzzi, cfr. doc. 172 f u, allegato 4) si può asserire per il messaggio inviato dall’imputata F. I. Chaouqui a Mons. L. Á. Vallejo Balda l’anno precedente, e più specialmente il 22 ottobre 2014 dal Salone del Gusto di Torino dove essa si trovava. Indubbiamente una tale comunicazione informatica – come la precedente appena richiamata

– mette a fuoco, tra i medesimi imputati, una condivisione di progetti e di sogni – grandi o piccoli che fossero – ma non offre, neppure in via indiziaria – alcuna solida prospettiva in un’ottica ermeneuticamente decifrabile, tanto meno di natura criminosa: «Sono a Torino al salone del gusto… Ho rivisto gli amici… e c’erano i sogni, i maledetti sogni che qualcuno ha distrutto. Quanto dolore, un dolore vero. Che nonostante i mesi continua a bruciare. E forte. Ma l’orto con Michelle Obama ce lo facciamo lo stesso… Torneremo e più forti di prima. Perché siamo quelli giusti…».

Sempre in via esemplificativa si può notare che ad un esito non altrimenti differente – da un’angolazione probatoria – porta anche il messaggio informatico inoltrato il 5 dicembre 2014 all’imputata F. I. Chaouqui dall’imputato N. Maio (allegato 4 dell’istanza depositata in Cancelleria il 28 novembre 2015 dall’avv. R.C. Baffioni, difensore dell’imputato N. Maio, doc. 58 f u), con il quale quest’ultimo simula un breve pezzo giornalistico, accusando l’ imputato L. Á. Vallejo Balda di perseguire, insieme con la destinataria della documentazione, illeciti in contrasto con la volontà del Romano Pontefice; tuttavia al di là della loro asseverazione, questi intendimenti vengono indicati in modo alquanto generico e soprattutto – senza offrire alcuna informazione concreta o comunque supportata, indiziariamente, da elementi presenti negli atti di causa, di come gli imputati medesimi stessero o volessero raggiungere il loro scopo e senza fornire riscontri effettivi processualmente radicati o radicabili; inoltre – almeno in base alle tavole processuali – qualche assunto appare di mera fantasia: «Erano stati chiamati da Papa Francesco ad archiviare le stagioni di intrallazzo e di malaffare… In questa inchiesta esclusiva riveliamo come [gli imputati L. Á. Vallejo Balda e F. I. Chaouqui]… abbiano forgiato un’alleanza d’affari per ottener potere, influenza e denaro. L’esatto contrario di ciò che aveva chiesto loro Sua Santità (nella grafica operazioni portate a termine con la copertura di organizzazioni spagnole e i buoni uffici della contessa O. D. P. e di L. B.)… Frequentatori del bel mondo nelle feste più esclusive, tutti aspettano il loro arrivo su auto di grossa cilindrata di volta in volta sempre diverse, un segretario-ombra li segue dappertutto e perfino una guardia del corpo…».

In definitiva – e gli scenari nei quali gli imputati agivano, ossia quello della Prefettura (cfr. supra, n. 49) e soprattutto quello della COSEA (cfr. supra, n. 50), sono in questa prospettiva, molto illuminanti – i risultati dell’analisi fattuale compiuta evidenziano una intensa attività espletata insieme, nei locali della Prefettura, dall’imputato L. Á. Vallejo Balda, che di quella Commissione era il segretario coordinatore, dall’imputato N. Maio che in quella medesima Commissione svolgeva le mansioni di segretario esecutivo, con compiti quindi, in particolare, di supporto nei confronti del primo, e dall’imputata F.I. Chaouqui, unico membro abitante stabilmente a Roma di quel medesimo Organismo che si riuniva mensilmente, anche se più frequenti erano gli incontri delle sottocommissioni nelle quali si articolava.

Le riunioni di questo gruppo ristretto di persone, che è verosimile si sia costituito a causa delle incombenze organizzative o della residenzialità dei suoi membri, era attendibilmente impegnato – secondo quanto si è potuto probatoriamente accertare – in rapporto alla COSEA, il cui lavoro era molto complesso, concernendo lo studio, con le proposte ristrutturative, delle attività economico-finanziarie della Santa Sede e delle Strutture che le realizzavano, tra le quali era compresa la stessa Prefettura. Per la natura del proprio mandato funzionale – oltre che per la sede nella quale operava, che era quella di una istituzione che doveva oggettivamente e costituzionalmente valutare – era del tutto naturale che un tale gruppo circoscritto, attivo per la COSEA, operasse con modalità di grande riservatezza, come era altrettanto naturale – in quanto composto in maggioranza di persone estranee al Dicastero – venisse percepito come un assetto anomalo dai dipendenti della Prefettura, specie considerando che l’imputato L.Á. Vallejo Balda (cfr. supra, n. 49) li giudicava negativamente e che aveva con taluni rapporti problematici, tanto più poi se si tiene conto che gli schemi operativi utilizzati dal gruppo stesso erano nella Curia – o per lo meno nella Prefettura – inusuali.

In questo contesto non è credibilmente individuabile la esistenza di una struttura associativa criminosa, così che il Collegio assolve gli imputati Lucio Ángel Vallejo Balda, Francesca Immacolata Chaouqui e Nicola Maio dal delitto di cui all’art. 248 c.p. per non aver commesso il fatto.

52. Il delitto rubricato come “divulgazione di notizie e documenti” – previsto e punito dall’art. 116 bis, introdotto con l’art. 10 della L. 11 luglio 2013 n. IX (in, A.A.S. Supplemento, 84 – 2013 – p. 114) – consta di tre commi ciascuno dei quali disciplina una particolare fattispecie del medesimo reato.

La prima di tali fattispecie peculiari attiene «chiunque si procura illegittimamente o rivela notizie o documenti dei quali è vietata la divulgazione»; per una simile ipotesi delittuosa la prescrizione legislativa in esame statuisce una pena alternativa e cioè, o quella della privazione della libertà personale – e più specialmente «la reclusione da sei mesi a due anni» – oppure quella pecuniaria, ossia «la multa da euro mille a euro cinquemila».

In effetti vengono normativamente individuate due attività dolose (costituente soggettiva) che, pur distinte tra loro, frequentemente si cumulano. Più specialmente il primo di tali comportamenti delittuosi concerne l’illegittimo procurarsi – vale a dire l’accaparramento illecito – di documenti o di notizie; la seconda condotta criminosa riguarda la rivelazione di documenti e di notizie non conosciuti dei quali è vietata la divulgazione, così che non vi rientra la trasmissione di cose note al fine di confermarne la verità (costituente materiale); si può osservare che la dizione normativa utilizza in chiave sinonimica due termini – rivelazione e divulgazione – per se stessi non completamente tali.

In relazione ad un tale enunciato normativo si può notare che del divieto di divulgazione non si precisa né chi deve porlo né l’oggetto che costituisce – e per ciò chiarisce – la ragione della proibizione. Tuttavia può aversi una risposta a questi interrogativi mediante l’interpretazione sistematica; la prescrizione che si sta prendendo in considerazione – per espressa disposizione positiva, oltre che per il numero che legislativamente la contrassegna – è collocata codicialmente nel secondo libro (“dei delitti in specie”) e, in questo, nel primo titolo (“dei delitti contro la sicurezza dello Stato”) e, più specialmente ancora, nel primo capitolo (“dei delitti contro la patria”); un simile contesto organico induce ermeneuticamente a supporre che l’autorità autorizzata a disporre il divieto sia quella dello Stato – e più specialmente il Romano Pontefice quale Capo dello SCV, in quanto titolare della sovranità (cfr. supra, n. 46) e della «pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario» (art. 1 della Legge fondamentale dello Stato del 26 novembre 2000, in, A.A.S. Supplemento, 71 – 2000 – p. 75) o un suo vicario o un suo delegato – e l’oggetto attenga allo stesso Stato; di più, a causa della natura strumentale dello SCV (cfr. supra, n. 46), si può ricollegare – in via interpretativa – autoritativamente, al medesimo Sommo Pontefice in quanto Supremo Pastore del Popolo di Dio e, oggettivamente, alla Chiesa stessa.

Del resto i riferimenti ecclesiali appena richiamati possono trovare una conferma nel “Motu proprio” di Papa Francesco dell’11 luglio 2013 “Ai nostri tempi” (in, A.A.S., 105 – 2013 – pp. 651-653); infatti con tale provvedimento (cfr. supra, n. 47) il Romano Pontefice, tra l’altro, ha operato la canonizzazione della L. 11 luglio 2013 n. IX – per i cui reati, anche al di fuori dei casi previsti dagli art. 3-6 c.p. così come modificati dagli art. 1-4 di quella medesima legge (in, A.A.S. Supplemento, 84 – 2013 – pp. 110-111) – ha stabilito, per delega, l’estensione della giurisdizione penale all’Autorità giudiziaria dello SCV, prescrivendola più specialmente per quei fedeli (cfr. can. 204 e 96 del codice di diritto canonico) che, «equiparati ai pubblici ufficiali» hanno perpetrato la loro attività criminosa

«in occasione dell’esercizio delle loro funzioni».

La seconda fattispecie riguarda la condotta che «ha avuto ad oggetto notizie o documenti concernenti gli interessi fondamentali o i rapporti diplomatici della Santa Sede o dello Stato»; la pena stabilita in questa ipotesi delittuosa è quella «della reclusione da quattro a otto anni».

Una tale fattispecie – pure essa di natura dolosa (costituente soggettiva) – attiene alla rivelazione di documenti o di notizie relative agli interessi – qualificati “fondamentali” – oppure ai rapporti diplomatici della Santa Sede o dello Stato. Anche per questa fattispecie normativa si può affermare l’individuazione di due comportamenti criminosi che possono anche essere conglobati insieme, ossia quelli relativi agli interessi fondamentali e quelli riguardanti i rapporti diplomatici (costituente materiale).

Con riferimento alla rivelazione di notizie o documenti la divergenza tra le fattispecie disciplinate rispettivamente dal primo e dal secondo comma dell’art. 116 bis – nella quale si radica anche la sua diversa gravità – consiste nella particolare caratterizzazione del loro oggetto la cui propalazione, semplicemente proibita nel primo caso, nel secondo caso viene invece specificata con la contraddizione agli interessi fondamentali o a quelli riguardanti i rapporti diplomatici della Santa Sede o dello Stato. Ancora, in relazione ai comportamenti delittuosi contemplati nel secondo comma della norma in esame e per la medesima motivazione addotta a proposito della fattispecie disciplinata nel primo comma, ci si può rapportare anche alla Chiesa e al Romano Pontefice in quanto ne è un vertice.

La terza fattispecie prevista dall’art. 116 bis c.p. attiene alla perpetrazione colposa del reato (costituente soggettiva) statuita, peraltro, in relazione alla sola componente materiale dell’ipotesi più grave, e cioè di quella regolamentata nel secondo comma della norma in esame, statuendo in questo terzo e ultimo caso «la pena della reclusione da sei mesi a due anni».

53. Per un conveniente inquadramento ed una corretta interpretazione del delitto di cui all’art. 116 bis c.p. è necessario un cenno al contesto generale nel quale tale disposizione legislativa deve essere inserita.

Al riguardo bisogna anzitutto osservare che la sussistenza di una lacuna nella positività umana del diritto dello SCV, per se stessa, non comporta una carenza normativa dal momento che la prima fonte dell’ordinamento è il diritto divino, “fonte delle fonti” poiché – almeno “in radice” – alimenta contenutisticamente ogni prescrizione positiva (cfr. supra, n. 46).

In questa prospettiva, occorre poi notare che, in considerazione della natura statuale – sia pure peculiarissima – della Città del Vaticano (cfr. supra, n. 46), si rende necessario fare riferimento al magistero della Chiesa come interprete della Parola di Dio nei limiti circoscritti nei quali chiarisce la sfera delle cose mortali specificatamente propria della Comunità politica, in particolare per quanto concerne l’ambito, distinto ma non separato, della morale (cfr. supra, n. 46); non invece – fatte salve le estensioni della penalità vaticana disposte dai Romani Pontefici, Benedetto XVI e Francesco (cfr. supra, n. 47) –, per sé e con immediatezza alla sfera dello spirituale, ossia all’ambito del diritto della Chiesa, che vige nel territorio dello Stato nel suo ordine proprio, secondo quel principio dualistico (cfr. supra, n. 46) affermato con grande chiarezza ancora dal Concilio Ecumenico V aticano II (cfr. Costituzione pastorale del 7 dicembre 1965 “Gaudium et spes” n. 76, in, Enchiridion Vaticanum [al quale ci si collega per il magistero conciliare e per quello successivo della Santa Sede poiché ne sono state utilizzate le traduzioni in lingua italiana], d’ora in poi EV seguito dal numero romano del volume e da quelli arabi, marginale e della pagina: EV, I, 1579-1584, 929-935).

Punto di partenza del nostro discorso non può che essere – divinamente radicato – il diritto alla libera manifestazione del pensiero che, sulla scorta del più recente magistero pontificio (cfr. Giovanni XXIII, enciclica dell’11 aprile 1963 “Pacem in terris”, in, A.A.S., 55 – 1963 –
p. 519), ha avuto un’autorevole affermazione nell’insegnamento del Concilio Vaticano II in base al quale bisogna «che l’uomo, nel rispetto dell’ordine morale e della comune utilità, possa liberamente investigare il vero e diffondere la sua opinione» (Costituzione pastorale del 7 dicembre 1965 “Gaudium et spes”, n. 59, EV , I, 1517, 891). In effetti di questo fondamentale diritto dell’uomo il magistero ecclesiale ha voluto sottolineare il nesso inscindibile con la verità, senza la cui sussistenza oggettiva, del resto, non ne è possibile un fondamento solido (cfr. Giovanni Paolo II, enciclica del 25 marzo 1995 “Evangelium vitae”, n. 96, EV, XIV, 2485-2487, 1421). Anzi, in un tale contesto naturalmente determinato, «a motivo della loro dignità tutti gli uomini, in quanto sono persone, dotate cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di responsabilità personale, sono spinti dalla loro stessa natura e tenuti per obbligo morale a cercare la verità… E sono pure tenuti ad aderire alla verità conosciuta e ordinare tutta la loro vita secondo le esigenze della verità» (Concilio Vaticano II, decreto del 7 dicembre 1965 “Dignitatis humanae”, n. 2, EV, I, 1046, 583).

Per forza di cose dalla esigenza di far conoscere le proprie opinioni – rimarcata dallo stesso magistero conciliare appena richiamato – si origina, connaturato nell’uomo stesso, il bisogno di divulgare le proprie idee, così che «il diritto di comunicare è il diritto di tutti» (Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Istruzione pastorale del 22 febbraio 1992 “Aetatis novae”, n. 15, EV, XIII, 1044, 519).

Mediante il continuo influsso cagionato dalla trasmissione interattiva del proprio pensiero, si forma così l’opinione pubblica che «già Pio XII aveva incisivamente descritto… definendola “l’eco naturale, la risonanza comune, più o meno spontanea, degli eventi e della situazione attuale negli spiriti e nei giudizi degli uomini”. La libertà di manifestare il proprio pensiero è una componente inderogabile per la formazione dell’opinione pubblica» (Pontificio Consiglio preposto agli strumenti di comunicazione sociale, Istruzione pastorale

– espressamente richiesta dallo stesso Concilio Vaticano II, cfr. decreto del 4 dicembre 1963, “Inter mirifica”, n. 23, EV I, 282, 115 – del 23 maggio 1971, “Communio et progressio”, EV, IV, 805, 519). Inoltre lo stesso Pio XII, in un celebre discorso ai giornalisti cattolici il 17 febbraio 1950, aveva messo in risalto che la mancanza, da qualsiasi motivo prodotta, di una pubblica opinione, costituisce un vizio, un malessere, una malattia per la vita sociale, cosicchè il ridurla al silenzio conforma «un attentat au droit naturel de l’homme, une violation de l’ordre du monde tel que Dieu l’a établi» (in, A.A.S., 42 – 1950 – p. 251).

Allo scopo di consentire alla Comunità politica di vivere l’ordine voluto da Dio si rendono così del tutto indispensabili gli strumenti di comunicazione sociale, vero “segno dei tempi” (Pontificio Consiglio della Comunicazioni Sociali, documento del 4 giugno 2000, “Great God” n. 4, EV, XIX, 880, 447), anzi veri “doni di Dio” («quamquam ex humano ingenio laboreque oriuntur, dona sunt tamen Dei Creatoris nostri», Pio XII, enciclica dell’8 settembre 1957, “Miranda prorsus”, in, A.A.S., 49 – 1957 – p. 765). In effetti, come ha insegnato Giovanni Paolo II: «Il primo areopago del tempo moderno è il mondo della comunicazione, che sta unificando l’umanità rendendola – come si suol dire – “un villaggio globale”. I mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali. Le nuove generazioni soprattutto crescono in modo condizionato da essi» (enciclica del 7 dicembre 1990, “Redemptoris missio” n. 37, EV, XII, 625, 519-521).

54.In effetti per il nostro tempo gli strumenti di comunicazione sociale – e la libertà insopprimibile per la loro stessa esistenza – rivestono un ruolo prezioso e fondamentale, senza del quale non si realizza l’informazione – ossia l’acquisizione e la divulgazione rapida in ambito comunitario e comunque generale, di notizie, che è grandemente importante vengano individuate nel contesto completo delle loro coordinate fondamentali (chi, “who”; dove, “where”; quando, “when”; che cosa, “what”; perché, “why”) – di natura utile ma contingente (così da tracciare una sostanziale distinzione con la trasmissione attuata tramite l’insegnamento). L’informazione – e in special modo quella attuata a mezzo della stampa, intesa in senso ampio, incessantemente arricchita dal progresso tecnologico di forme nuove sempre più coinvolgenti e penetranti, quali sono ad esempio i mezzi audiovisivi e soprattutto gli strumenti informatici – realizza un tessuto connettivo che, a detrimento di quelli privati, rende sempre più ampi gli spazi della pubblica opinione dinamicizzando in maniera estremamente convulsa la vita comunitaria e soprattutto condizionandola giacché «l’impatto delle comunicazioni sociali è fortissimo. Le persone entrano in contatto con altre persone e con eventi, elaborano opinioni e valori. Non solo trasmettono e ricevono informazioni e idee attraverso questi strumenti, ma spesso la loro esperienza umana diventa un’esperienza mediatica» (Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, documento del 4 giugno 2000 “Great God”, n. 2, EV, XIX, 876, 445), facendosi modello di comportamenti e di obiettivi da raggiungere. L’informazione costituisce il contesto fondamentale divinamente ingenito, «in quanto essenziale per la vita e lo sviluppo dell’individuo e della nostra società» («quae quidem solidae necessitati innititur ipsius hominis et hodiernae societatis nostrae», Pontificio Consiglio, preposto agli strumenti di comunicazione sociale, Istruzione pastorale del 23 maggio 1971 “Communio et progressio”, n. 33, EV, IV, 813, 523 per la versione italiana, 522 per la versione latina). Di più l’informazione in una vasta area che comprende ogni legittimo interesse, costituisce, sia per coloro che la ricevono sia per coloro che la formano, un diritto secondo il chiaro ammaestramento del Concilio Vaticano II: «Appartiene alla società umana il diritto all’informazione su quanto, secondo le rispettive condizioni, convenga alle persone sia singole che associate. Tuttavia il retto esercizio di questo diritto richiede che la comunicazione del suo contenuto sia sempre vera e, salve la giustizia e la carità, integra, inoltre nel modo sia onesta e conveniente, cioè rispetti scrupolosamente le leggi morali, i legittimi diritti e la dignità dell’uomo, sia nella ricerca, sia nella divulgazione» (Decreto del 4 dicembre 1963 “Inter mirifica”, EV, I, 253, 101).

Come ogni diritto, anche quello fondamentale alla informazione – evidenziato dalla sua stessa identità – ha una propria delimitazione – ancorché, a causa della sua essenzialità per l’uomo, ristretta e contenuta – oggettivamente definita dalla verità, costruita senza manipolazioni e manipolabilità oltre che convenientemente contestualizzata nella sua completezza; di più, un tale diritto è sostanzialmente circoscritto dalla armonizzazione con gli interessi vitali dell’uomo, sia come singolo sia come parte delle formazioni sociali nelle quali si attua necessariamente la sua personalità (cfr. Pontificio Consiglio preposto agli strumenti di comunicazione sociale, Istruzione pastorale del 23 maggio 1971 “Communio et Progressio”, n. 42 e 43, EV, IV, 822-823, 529).

In questa ottica il diritto all’informazione viene esplicitato – e per ciò chiarito – dai criteri morali fondamentali ai quali viene paradigmaticamente commisurato: «Il principio etico fondamentale è il seguente: la persona umana e la comunità umana sono il fine e la misura dell’uso dei mezzi di comunicazione sociale. La comunicazione dovrebbe essere fatta da persone a beneficio dello sviluppo integrale di altre persone… Un secondo principio è complementare al primo: il bene delle persone non si può realizzare indipendentemente dal bene comune delle comunità alle quali le persone appartengono. Questo bene comune andrebbe inteso esclusivamente come somma totale di propositi condivisi per il cui raggiungimento tutti i membri della comunità si impegnano insieme e al cui servizio è l’esistenza stessa della comunità» (Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, documento del 4 giugno 2000, “Great God”, n. 21 e 22, EV, XIX, 906-907, 469-471).

55. Un tale contesto, in alcuni casi, può rendere necessario limitare l’informazione tramite l’imposizione di un segreto. Una simile condizione può aversi anche in ambito ecclesiale, nel quale «il segreto quindi deve essere conservato solo nella stretta misura necessaria per salvaguardare la fama e la reputazione di qualcuno o rispettare i diritti di singoli e di gruppi (Ponficio Consiglio preposto ai mezzi di comunicazione sociale, Istruzione pastorale del 23 maggio 1971, “Communio et progressio”, n. 121, EV, IV, 901, 581).

Poiché taluni fatti in controversia – per effetto delle estensioni della normativa penale e della funzione giudiziaria dello SCV sancite dai Romani Pontefici Benedetto XVI e Francesco (cfr. supra, n. 47) – coinvolgono il segreto pontificio è opportuno un cenno alla normativa canonica che lo riguarda, ossia l’Istruzione “Secreta continere” approvata da Papa Paolo VI mediante “Rescriptum ex audientia” del 4 febbraio 1974 (cfr. EV, V, 98- 106, 128-137), la cui vigenza normativa è stata confermata anche dall’art. 34, § 2 del Regolamento generale della curia romana, approvato con “Rescriptum ex audientia” dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II il 30 aprile 1999 (cfr. EV, XVIII, 572, 423).

In riferimento a questo documento normativo si può osservare che nella parte che precede l’articolato è possibile rintracciare qualche indice per individuare la basilarità di un interesse riguardante la Santa Sede, ermeneuticamente apprezzabile per l’interpretazione dell’art. 116 bis c.p.: «A buon diritto a coloro che sono chiamati al servizio del popolo di Dio vengono affidate alcune cose da custodire sotto segreto, e cioè quelle che se rivelate o se rivelate in tempo o modo inopportuno, nuocciono all’edificazione della chiesa o sovvertono il bene pubblico oppure infine offendono i diritti inviolabili di privati e di comunità (cfr.. Communio et progressio, 121)» (EV, V, 99, 129).

In evenienze, quindi, indubitabilmente circoscritte, sono individuabili interessi primari della Santa Sede. Più specialmente questi sono collegati o a un nocumento nella edificazione della Chiesa – «assemblea visibile e… comunità spirituale», mediante la quale Cristo «diffonde su tutti la verità e la grazia» (Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica del 21 novembre 1964, “Lumen Gentium”, n. 8, EV, I, 304, 133-135) – oppure al “sovvertimento”, e cioè allo sconvolgimento, del bene comune, o ancora all’ “offesa”, vale a dire alla lesione, di uno dei diritti inviolabili dell’uomo, considerato sia nella sua singolarità individuale sia nella sua compartecipazione ad una socialità per lui necessaria.

Nel medesimo documento che si sta esaminando si esplicita altresì come la secretazione abbia la sua individuazione anche tramite la determinazione di coloro che la possono stabilire. «Infatti è chiaro che trattandosi dell’ambito pubblico, che riguarda il bene di tutta la comunità, spetta non a chiunque, secondo il dettame della propria coscienza, bensì a colui che ha la cura della comunità stabilire quando e in qual modo e gravità sia da imporre un tale segreto» (EV. V, 100, 129-131).

Di più, al di là del segreto d’ufficio – al quale sono tenuti anche coloro che prestano servizio nelle curie diocesane (cfr. can. 471, 2° del codice di diritto canonico) – nel documento del quale si sta discutendo si spiega che nel Popolo di Dio si possono avere situazioni particolari che, con riferimento alla secretazione necessitano di una normativa speciale: «Per quanto riguarda la curia romana… in taluni affari di maggiore importanza si richiede un particolare segreto che viene chiamato “segreto pontificio” e che deve essere custodito con obbligo grave» (EV, V, 101, 131).

La regolamentazione di tale segreto, nell’art. I statuisce, in rapporto agli interessi di fondo della Santa Sede, una elencazione dei casi nei quali questo può essere esigito. Più specialmente poi, dopo una enumerazione di ipotesi nelle quali la precisa rilevanza ecclesiale e la conseguente ragione della secretazione sono evidenti, una tale disposizione individua un’ultima fattispecie di chiusura nella quale emerge la eccezionalità del segreto pontificio: «Gli affari o le cause che il sommo pontefice, il cardinale preposto a un dicastero e i legati della Santa Sede considerano di importanza tanto grave da richiedere il rispetto del segreto pontificio» (EV, V, 103-133).

L’art. II di quella medesima regolamentazione, dopo aver enumerato coloro che, a causa di una ingiunzione particolare o della loro posizione ecclesiale – nella quale debbono essere ricompresi gli imputati dei quali si sta discutendo la responsabilità penale – sono i possibili destinatari per i quali un tale segreto può essere disposto, nell’ultimo numero – ermeneuticamente rilevante in riferimento all’art. 116 bis c.p. – si individua una peculiare categoria di soggetti vincolabili, sancendo: «Tutti coloro che, in modo colpevole avranno avuto conoscenza di documenti o affari coperti dal segreto pontificio o, che pur avendo avuto tale informazione senza colpa da parte loro, sanno con certezza che essi sono ancora coperti dal segreto pontificio» (EV, V, 104, 133-135).

Quest’ultima norma dispone quindi che si può essere coinvolti e astretti dalla secretazione pontificia solo in particolari circostanze, ossia quando l’informazione secretata sia stata acquisita illecitamente o, anche lecitamente, ma, in tale ipotesi, unicamente se si ha la certezza della permanenza di un tale segreto. La secretazione pontificia, per ciò, è contrassegnata, così oggettivamente come soggettivamente, da una sua peculiare eccezionalità.

56. Il reato di cui all’art. 116 bis c.p. nella controversia in discussione viene in considerazione come plurisoggettivamente perpetrato, in quanto commesso dagli imputati L. Á. Vallejo Balda, F. I. Chaouqui e N. Maio in concorso tra loro.

Nel codice penale la partecipazione di più persone ad uno stesso crimine – oltre che in relazione alle singole fattispecie, come nell’ipotesi già ricordata dell’associazione criminosa (cfr. supra, n. 48) o in quelle nelle quali conforma un elemento o costitutivo o aggravante della previsione delittuosa – viene valutata sotto il profilo generale negli artt. 63 e 64. Queste ultime norme – diversamente dal codice penale vigente in Italia (cfr. art. 110) che si consolida attorno ad un archetipo sostanzialmente unitario – delineano un modello cooperativistico sostanzialmente differenziato (cfr. E. Pessina, Manuale… Parte prima, op. cit., p. 100), prevalentemente ispirato ad esigenze di tipizzazione legale e, per ciò, limitativo della discrezionalità del giudice che deve tener conto della diseguaglianza normativamente soppesata del ruolo collaborativo, a volte principale (cfr. art. 63 c.p.) a volte variamente accessorio (cfr. art. 64 c.p.) di quanti concorrono al fatto criminale.

Anzitutto il primo comma dell’art. 63 c.p. prende in considerazione – sottoponendoli tutti alla medesima pena del reato perpetrato – coloro che, in quanto correi, sono gli autori del reato, ossia «ciascuno degli esecutori e dei cooperatori immediati» dell’attuazione del fatto delittuoso del quale sono responsabili essenziali e principali. Più specialmente questa prescrizione attiene alla correità materiale che si ha quindi, ogniqualvolta – in qualsiasi modo questa collaborazione primaria avvenga – la fattispecie criminosa viene posta in essere nella sua fattispecie esterna.

La medesima correità è invece morale quando la collaborazione fondamentale – comunque ne venga prodotto l’effetto – è efficacemente causativa della volontà attuativa del disegno criminoso, ossia, secondo quanto dispone il capoverso dell’art. 64 c.p., allorché il delinquente «ha determinato altri a commettere il delitto», essendone quindi stato la causa prima ed efficiente. La pena, come per l’esecutore e il cooperatore immediato, è quella medesima prevista per il reato che è stato commesso, salvo le diminuzioni sancite per il caso nel quale il correo materiale abbia perpetrato il crimine anche per motivi propri.

La cooperazione di più persone in un medesimo reato assume una minore gravità – consolidata in pene di entità minore rispetto a quelle sancite per la correità – nei casi di complicità previsti dal primo comma dell’art. 64 c.p., che nel numero uno prevede due ipotesi di concorso morale stabilite nella eventualità in cui questo si realizzi «con l’eccitare o rafforzare la risoluzione a commetterlo, o col promettere assistenza od aiuto da prestarsi dopo il reato».

Nella prima di tali ipotesi criminose si ha il problema della distinguibilità dalla fattispecie di correità morale, specie allorché si ha una motivazione propria anche da parte dell’esecutore o cooperatore immediato. Pur se rimane sempre ardua e complessa l’indagine fattuale per cogliere le due situazioni nella loro diversa identità, da un’autorevole dottrina si è proposto un criterio per risolvere una simile questione; più specialmente quando il reo ha creato o ha fatto sorgere «nella mente altrui… il proposito criminoso, che non esisteva affatto, nonché la risoluzione di agire conformemente, allora si ha il correo morale; quando tale proposito esisteva già nella mente dell’esecutore, sia pure in forma latente o embrionale e solo» è stato «svegliato o eccitato o rinvigorito od avviato dall’opera di altri, si ha il complice morale» (E. Florian, Trattato… vol. I, Parte prima, op. cit., pp. 537-538).

Nella seconda ipotesi di complicità morale l’elemento centrale della fattispecie legislativamente prevista è costituito dalla necessità che l’assistenza o l’aiuto siano state concretati in una promessa anteriore alla perpetrazione del reato, poiché se un tale impegno manca, il supporto originato solo successivamente al crimine, costituisce il diverso archetipo del favoreggiamento di cui all’art. 225 c.p.

La complicità materiale è invece disciplinata nei numeri successivi dello stesso primo comma dell’art. 64 c.p. e si ha «2° col dare istruzioni o col somministrare mezzi per eseguirlo; 3° col facilitarne l’esecuzione, prestando assistenza od aiuto prima o durante il fatto».

La cooperazione relativa ai mezzi – che non diversamente dagli ammaestramenti occorre che siano idonei ed efficaci – deve essere anteriore al compimento delle fattualità delittuose, poiché se è concomitante alla effettuazione del reato costituisce una fattispecie di correità (cfr. E. Florian, Trattato… vol. I, Parte prima, op. cit., p. 540). Anche le agevolazioni esecutive di appoggio e di sussidio all’attività criminosa previste dal n. 3 del primo comma dell’art. 64 c.p. – oltre che efficaci – bisogna che siano messe in pratica prima o durante l’esecuzione del reato, in quanto se fossero successive, conformerebbero una complicità morale ogniqualvolta sussistesse una precedente promessa di supporto, in mancanza della quale si avrebbe invece una fattispecie di favoreggiamento.

Una ipotesi normativa del tutto particolare è poi quella disciplinata dal secondo comma dell’art. 64 c.p. attinente alla complicità necessaria, vale a dire alla complicità senza della quale il reato non si sarebbe potuto compiere. Una tale peculiare complicità – la cui essenzialità in rapporto al reato va valutata in astratto, in quanto nella concreta perpetrazione del crimine il ruolo di ogni partecipante ha, per sé, il crisma della necessarietà

– per la sua gravità, evidenziata da una collaborazione la cui insostituibilità consolida una responsabilità sostanzialmente non diversa da quella degli autori della fattualità delittuosa, viene legislativamente sanzionata con la stessa pena stabilita per la correità.

A questo punto occorre fare qualche considerazione sulle costituenti così soggettiva come oggettiva comuni alle diverse fattispecie relative al concorso di più persone nello stesso reato. All’elemento soggettivo in realtà si è già avuto occasione di accennare (cfr. supra, n.
44) rilevando come la sussistenza della plurisoggettività criminale si colleghi al dolo specifico.

In tali casi quindi, allo scopo di affermare la colpevolezza si rende necessario riscontrare nel reo la volontà di attuare consapevolmente il fatto criminoso nella tipicità delle componenti che lo costituiscono materialmente – ossia nel complesso delle parti che individuano ciascun crimine nella sua specificità assiologica (antigiuridicità) legislativamente, e per ciò nel diritto vaticano (cfr. supra, n. 46) eticamente proibita (cfr. art. 45-46 c.p.; cfr. anche sentenza di rinvio a giudizio del Giudice istruttore del Tribunale dello SCV del 13 agosto 2012, n. 5, in, Il diritto penale della Città, op. cit., pp. 178-179) –, alla quale si deve inoltre aggiungere (dolo specifico) l’intenzione di partecipare scientemente alla esecuzione del fatto delittuoso da parte di ognuno dei cooperanti (cfr. E. Pessina, Manuale… Parte prima, op. cit., pp. 98-99).

Quest’ultima puntualizzazione, fattualmente e quindi probatoriamente di grande importanza, ha trovato una sua conferma anche nella giurisprudenza della Corte di Cassazione consolidata sulla normativa del codice Zanardelli; in effetti nella decisione del 7 settembre del 1905 si asseriva: «Attesoché questa Suprema Corte ha costantemente insegnato che i concorrenti in uno stesso delitto, nelle diverse ipotesi del concorso primario e secondario, a mente degli art. 63 e 64 Cod. Pen. possono essere animati da fine diverso…; e poiché ogni colpevole deve essere punito in ragione di quello che ha voluto e che ha compiuto.. dee chiaramente affermarsi l’elemento morale necessario alla esistenza giuridica del reato… A tale scopo, [la Suprema Corte] ha pur insegnato che il sistema di proporre, nelle questioni principali espressamente e direttamente l’elemento morale per ciascun concorrente, è preferibile all’altro, col quale l’elemento stesso dee desumersi dalla scienza del fine dell’autore principale» (Rivista penale, vol. LXII, p. 641; significantemente un tale passo è testualmente richiamato, insieme ad altri precedenti susseguenti di sentenze della Corte di Cassazione a conferma della necessità che il dolo specifico venga riferito a ciascun concorrente del reato, dal Florian, cfr. Trattato… vol. I, Parte prima, op. cit., p. 543, nota 1).

Per quanto attiene alla costituente materiale si può osservare che il supporto così del correo come del complice si contrassegna per la sua utilità, vale a dire per la sua efficacia, in ordine alla fattualità criminosa, così che è individuabile un concorso nel tentativo di effettuazione del reato ma non un tentativo di concorso. Inoltre la situazione dell’esecutore che non soggiace alla pena allorché desiste volontariamente dalla fattualità delittuosa ogniqualvolta quella compiuta non costituisce per se stessa un reato (cfr. art. 61 secondo comma c.p.), non si estende al correo morale poiché quella intenzionalità interruttiva è, per quest’ultimo, del tutto estranea oltre che casuale.

Secondo una dottrina consolidatasi durante la vigenza italiana del codice del 1889 «caratteristica comune delle varie forme di concorso è la natura di accessorietà rispetto al reato principale [anche se un tale fondamento del concorso non è scevro in talune ipotesi di una qualche difficoltà] e ciò nel senso che il fatto di correità o di complicità non è punibile se non dipendentemente dal reato al quale si riferisce. Esclusa la punibilità del fatto principale, anche la punibilità delle forme di concorso viene meno» (E. Florian, Trattato… vol. I, Parte prima, op. cit., pp. 544-545).

57. Nel caso in questione, del concorso di più persone nel reato è stata contestata agli imputati l’ipotesi normativamente più grave, ossia quella di correità sancita dall’art. 63 c.p., e non quella meno grave, e cioè quella di complicità disciplinata dal primo comma dell’art. 64 c.p. In tale evenienza i criteri basilari che vengono in considerazione sono quelli contemplati negli artt. 416 e 417 c.p.p. In particolare l’art. 416 c.p.p. nel primo comma dispone: «Qualora nel dibattimento risulti un reato concorrente, o la continuazione di reato, ai sensi degli art. 77, 78 e 79 del codice penale, ovvero una circostanza aggravante, e non ve ne sia specifica menzione nella sentenza di rinvio, nell’atto di accusa, nella richiesta, nella istanza o nel decreto di citazione, il presidente a domanda del promotore di giustizia…, purché la cognizione non ecceda la competenza del giudice, li contesta, a pena di nullità, all’imputato, inserendone la menzione nel processo verbale, e, salvo che si tratti dell’aggravante della recidiva, lo avverte che ha diritto di chiedere un termine per la difesa».

In tale prospettiva legislativa è ragionevole ritenere che il Tribunale, sulla base delle risultanze dibattimentali, possa modificare nella sentenza l’imputazione posta a carico di colui che è stato rinviato a giudizio, a condizione che non si ecceda il suo ambito di competenza, non si determini un aggravamento della responsabilità dell’imputato e (cfr. art. 417 c.p.p.) non si abbia diversità rispetto al fatto contestato.

In effetti in dottrina si è osservato: «Il principio fondamentale, che non può essere con serietà oppugnato, è questo. Per conseguire i fini supremi di conservazione sociale, ai quali è preordinata l’amministrazione della giustizia, è necessario che sia assicurata al giudice piena autonomia nel decidere sulla consistenza del fatto, qualunque modificazione esso riceva nel corso del giudizio, e così pure nel valutarlo giuridicamente anche all’effetto della pena da infliggere, purché nell’una e nell’altra ipotesi la cognizione resti contenuta nell’orbita della competenza. Questa autonomia si traduce processualmente nella facoltà concessa al giudice di proseguire e definire il giudizio con sentenza anche di condanna, malgrado le modificazioni emerse dal dibattimento circa il fatto accertato nel periodo istruttorio e degli atti preliminari, o circa la qualificazione giuridica stabilita negli atti anteriori. Deve farsi eccezione per quelle modificazioni, concernenti esclusivamente il fatto dedotto nell’imputazione, le quali portino un aggravamento di responsabilità o trasformino il fatto fino a renderlo diverso» (L. Mortara – U. Aloisi, Spiegazione pratica del codice di procedura penale. Parte seconda, Torino, 1915, p. 130).

In una tale ottica, dalla analisi degli enunciati di cui agli artt. 416 e 417 c.p.p. (cfr. ibidem, pp. 129-145) si è così potuto asserire, in relazione alle ipotesi di perpetrazione plurisoggettiva del reato, la necessità di procedere in base a quanto stabilito dall’art. 416 c.p.p., se taluno «sia stato chiamato a rispondere di complicità (art. 64 c.p.), e nel dibattimento risulti che deve rispondere di correità (art. 63 ibid.) o di complicità necessaria (art. 64, capoverso)», al contrario invece nelle «ipotesi inverse (passaggio dall’imputazione di reato consumato, a quella di mancato; dall’imputazione di autore a quella di complice [come nella controversia in discussione], e via dicendo) essendo ipotesi di modificazioni favorevoli al giudicabile, sfuggono… alla disciplina del testo» (ibidem, p. 437), vale a dire che in queste ultime fattispecie non si rende necessaria la contestazione dibattimentale, di cui all’art. 416 c.p.p.

È poi necessario e sufficiente rammentare la disposizione sancita nel terzo comma dell’art. 413 c.p.p.: «Se i giudici, presenti al dibattimento, eccedono il numero legale [di tre giudici, cfr. art. 4, secondo comma della L. 21 novembre 1987, n. CXIX, legge che approva l’ordinamento giudiziario dello SCV, in, A.A.S. Supplemento, 58 – 1987 – p. 46] i meno anziani non possono partecipare alla votazione [relativa alla delibera della sentenza, cfr. art. 413, primo comma c.p.p.] a pena di nullità, salvo che uno di essi sia stato relatore all’udienza, nel qual caso egli prende il posto del meno anziano fra coloro che avrebbero dovuto votare».

58. Nelle prospettive giuridiche alle quali si è fatto cenno occorre soppesare la responsabilità degli imputati L. Á. Vallejo Balda, F. I. Chaouqui e N. Maio in relazione alla perpetrazione in concorso tra loro del reato di cui all’art. 116 bis c.p. attinente alla «divulgazione di notizie e documenti», secondo quanto è scritto nella rubrica della prescrizione stessa. Bisogna innanzitutto ricostruire il contesto nel quale si sono compiute le fattualità in discussione in riferimento all’imputato L. Á. Vallejo Balda.

Il giornalista G. Nuzzi nel suo interrogatorio dichiara che – anche se non forse dai primissimi colloqui con lui (cfr. doc. 138 f u, p. 4) – l’imputato L. Á. Vallejo Balda era a conoscenza della sua intenzione di scrivere un libro sulle vicende vaticane, non altrimenti del resto dall’imputata F. I. Chaouqui (cfr. doc. 138 f u, p. 7). In effetti l’imputato G. Nuzzi

– che si era interessato prevalentemente di altri problemi dopo l’uscita del suo ultimo volume in materia nel 2012 – dalle notizie che apparivano sulla stampa aveva capito che l’attività riformatrice di Papa Francesco stava incontrando la resistenza di taluni ambienti curiali romani ed anzi, dalla dott.ssa F. I. Chaouqui, era venuto a conoscere il «profondo disagio e rammarico» al riguardo da parte dello stesso segretario coordinatore della COSEA dovuti al timore di un rallentamento del rinnovamento portato avanti dal Romano Pontefice e di una «vanificazione» dei lavori della Commissione (cfr. doc. 138 f u, pp. 2-3).

L’imputato L. Á. Vallejo Balda, tramite la dott.ssa F. I. Chaouqui, aveva avuto l’opportunità di entrare in contatto con il giornalista G. Nuzzi, al quale – come quest’ultimo racconta (cfr. doc. 138 f u. p. 3) – nel suo primo incontro avvenuto alla fine di marzo del 2015, allo scopo di fargli conoscere il clima che si viveva negli ambienti della Curia romana, aveva mostrato le fotografie prese con il suo cellulare – dalle quali il medesimo imputato G. Nuzzi era rimasto «molto impressionato» (doc. 138 f u, p. 7) – relative al furto con effrazione di un armadio blindato accaduto nei locali della Prefettura nella notte tra il 29 e il 30 marzo 2014; erano immagini che l’imputato L. Á. Vallejo Balda – secondo quanto egli stesso riconosce nelle dichiarazioni rese all’Autorità di polizia giudiziaria il 16 novembre 2015 (cfr. p. 1 doc. 35/A f u nel quale le foto sono anche allegate) – aveva poi inviato via whatsapp al giornalista G. Nuzzi che le aveva in seguito pubblicate alle pp. 298-299 del suo scritto “Via Crucis”.

Per quanto concerne il suo rapporto con l’imputato L. Á. Vallejo Balda, il giornalista G. Nuzzi, nel suo interrogatorio, spiega: «Dai colloqui con Mons. Balda ebbi la conoscenza di tre punti: la forza di resistenza alle riforme, l’enorme difficoltà in cui aveva operato la COSEA [cfr. anche supra, n. 50] e la situazione fuori controllo dei conti dopo le dimissioni di Benedetto XVI» (doc. 138 f u, p. 4). Anzi lo stesso imputato subito dopo aggiunge:
«L’idea di scrivere il libro coincide con il progetto e la condivisione con il mio editore del progetto editoriale dell’aprile-maggio 2015 [cfr. anche interrogatorio dell’imputato L. Á. Vallejo Balda, doc. 122 f u, pp. 7-8], nel momento in cui ho verificato che le notizie delle quali ero destinatario erano fondate e che c’era la possibilità di uno sviluppo editoriale» (doc. 138 f u p. 4, cfr. anche ibidem, p. 3 e p. 5).

L’andamento dei rapporti tra i due imputati e le fasi del suo sviluppo appaiono con chiarezza da quanto ancora riferisce il giornalista G. Nuzzi: «Ho avuto un secondo incontro con Mons. Vallejo Balda che posso collocare a metà del successivo aprile [del 2015] a casa della Chaouqui e alla presenza della medesima. Io mi presentai con un taccuino e conversammo diverso tempo. La prima frase appuntata sul taccuino è: “problemi che non si risolvono mai”. Sullo stesso taccuino è scritto: “hanno 200 conti allo I.O.R. in relazione ai processi di Beatificazione e Santificazione”. Io chiesi con garbo: “ma queste cose come facciamo a dimostrarle?”, perché i lavori della COSEA erano da tempo ultimati [fine maggio 2014, cfr. supra, n. 50]. Lo stesso [imputato L. Á. Vallejo Balda] mi disse che tutti i documenti dell’archivio COSEA erano ormai imballati. Mi fece vedere sul cellulare le copie fotostatiche di alcuni documenti e io dedussi che li stava aprendo o dalla sua e-mail o dalla memoria del cellulare stesso» (doc. 138 f u p. 4).

In effetti l’imputato confessa di avere inviato dei documenti al giornalista G. Nuzzi – che conferma la trasmissione (cfr. doc. 138 f u p. 5, ma cfr. anche ibidem, p. 4) avvenuta via whatsapp, come esplicita anche il testimone G. Gauzzi – (cfr. doc. 171 f u p. 14) – precisando: «Ho consegnato al giornalista G. Nuzzi n. cinque pagine con ottantacinque password [cfr. doc. 10 f u allegato quattro]. Ogni Password apre un documento» (doc. 122 fu p. 7). A detta dello stesso giornalista G. Nuzzi queste sono state le uniche passwords che gli sono state inviate dall’imputato L. Á. Vallejo Balda (cfr. doc. 138 f u p. 9).

Del resto il medesimo imputato aveva già ammesso il fatto nel suo interrogatorio del 4 novembre 2015 davanti al Promotore di Giustizia: «Ho trasmesso a Nuzzi solo un documento che poteva accedere ai documenti di un gruppo di lavoro di COSEA» (doc. 10 f u, p.4), rilevando peraltro nel successivo confronto con l’imputata F. I. Chaouqui, avvenuto il successivo 17 novembre del medesimo anno davanti allo stesso Promotore di Giustizia:

«Le password il Nuzzi già le possedeva. Ciò lo desumo da alcuni colloqui che ho avuto con Gianluigi Nuzzi» (doc. 34 f u p. 2).

Il medesimo imputato, su precisa sollecitazione del Promotore di Giustizia in merito alla «consegna di una chiavetta per l’accesso alla posta elettronica e quindi a tutta la documentazione», «conferma» il fatto, «precisando che poche ore dopo ha cambiato le password» (doc. 122 f u, p. 19). In realtà anche l’imputata F. I. Chaouqui, avallando quanto aveva già asserito nel suo interrogatorio del 17 novembre davanti al Promotore di Giustizia e ribadito il medesimo giorno di fronte allo stesso Promotore di Giustizia nel confronto avuto con l’imputato L. Á. Vallejo Balda (cfr. doc. 34 f u, p. 2), afferma: «In un incontro tra me, Mons. Vallejo Balda e Nuzzi, Mons Vallejo consegnò spontaneamente a Nuzzi una password che accedeva alla casella e-mail… Ero presente alla consegna della password ma non sapevo il contenuto della stessa» (doc. 134 f u, p. 9).

Si può anche osservare che lo stesso imputato L.Á. Vallejo Balda, nel confronto appena rammentato con l’imputata F. I. Chaouqui del 17 novembre 2015 avanti al Promotore di Giustizia, aveva recisamente negato la trasmissione della password della propria casella di posta elettronica (cfr. doc. 34 f u p. 2), pur se il giorno precedente, 16 novembre 2015, nelle sue dichiarazioni davanti all’Autorità di polizia giudiziaria aveva affermato: «In questo momento intendo precisare che le password a cui faccio riferimento sono relative all’accesso alla mia casella di posta elettronica nella quale sono contenuti tutti i documenti di COSEA, quindi Nuzzi ha potuto prelevare detta documentazione e la stessa è nella sua disponibilità e l’ha potuta pubblicare; solo dopo ho capito che quando gliel’avevo data io (la password) egli già la possedeva. Vi assicuro che quando ho dato la password a Nuzzi, l’ho fatto in modo del tutto spontaneo, probabilmente non ero nella condizione di piena lucidità» (doc. 35A f u p. 1).

In questo quadro generale, tra gli imputati L. Á. Vallejo Balda e G. Nuzzi si ebbero diversi incontri personali di carattere conviviale (cfr. doc. 138 f u p. 6), ai quali il Prelato si è recato in borghese per tutelare la propria persona a causa della notorietà del giornalista (cfr. doc. 138 f u p. 5); tutti questi abboccamenti, salvo il secondo di metà aprile 2015 in casa e alla presenza di F. I. Chaouqui (cfr. doc. 138 f u p. 4), sono avvenuti in assenza di quest’ultima come afferma Mons. L. Á. Vallejo Balda: «Ho chiesto di essere solo con i giornalisti in quanto ero certo che la Chaouqui utilizzasse il suo lavoro per divulgare questi documenti per ricattare. Ho la certezza morale di quanto sto dichiarando» (doc. 122 f u p. 8).

Questi colloqui personali – i cui esiti, secondo quanto sottolinea l’imputato G. Nuzzi (cfr. doc. 138 f u, p. 5) erano suffragati tramite delle documentazioni – avevano in particolare lo scopo di fornire «un contributo alla chiarificazione dei messaggi e degli avvenimenti» (doc. 138 f u, p. 5), tanto più che l’imputato L. Á. Vallejo Balda, non fidandosi dell’ambiente che lo circondava, li riteneva più sicuri (cfr. doc. 138 f u p. 5).

I documenti trasmessi al giornalista G. Nuzzi erano «quasi tutti… protetti da password», peraltro non data a tutti i componenti della COSEA, in quanto «solo la sottocommissione che li aveva prodotti era in grado di poterli leggere» (interrogatorio del teste G. Gauzzi, doc. 171 f u p. 14; cfr. anche interrogatorio dell’imputato G. Nuzzi, doc. 138 f u, p. 9). Mediante le passwords trasmessegli dall’imputato L. Á. V allejo Balda il giornalista G. Nuzzi era stato posto in grado di procurarsi una vasta documentazione, secondo quanto riconosce lo stesso Mons. L. Á. Vallejo Balda nelle sue dichiarazioni all’Autorità di polizia giudiziaria a proposito di un atto relativo ai lavori della COSEA: «Non ricordo di averlo inviato o trasmesso in qualche modo a Nuzzi, ma certamente, avendo lo stesso giornalista la disponibilità della password che gli avevo precedentemente fornito e che permetteva la lettura di alcuni documenti riservati dei lavori della COSEA può darsi che Nuzzi lo abbia preso autonomamente, come pure altri documenti che poteva estrapolare attraverso la stessa password» (doc. 35A f u p. 1).

Tuttavia non necessariamente tutta la documentazione che aveva o poteva avere avuto a disposizione tramite l’imputato L. Á. Vallejo Balda, in modo particolare mediante la via informatica, è stata utilizzata per la redazione del libro “Via Crucis”, nel quale è ragionevolmente presumibile abbia trovato posto quella che il giornalista ha ritenuto di peculiare interesse e la cui consistenza è stata elencata dal testimone G. Gauzzi nel suo interrogatorio, nel quale peraltro ha evidenziato la documentazione che comunque era nella disponibilità del Prelato o della quale questi avesse parlato con il giornalista G. Nuzzi. Bisogna però osservare che, in mancanza di un riscontro relativo all’effettuazione dell’accesso da parte del giornalista, non si ha una prova certa della acquisizione o della verifica dell’autenticità del documento che l’imputato G. Nuzzi potrebbe avere avuto da un’altra fonte credibile.

Il testimone G. Gauzzi (cfr. doc. 171 f u p. 14) ha pure rilevato nella sua analisi comparativa che i primi quattro documenti della sua enumerazione sono stati inviati al giornalista dall’imputato L. Á. Vallejo Balda direttamente via whatsapp, in quanto considerati forse di particolare rilevanza per il suo interlocutore. Più specialmente i primi due documenti – ai quali poco più sopra si è già avuto occasione di fare un cenno – attengono alle fotografie del furto perpetrato nel marzo del 2014 nei locali della Prefettura pubblicati alle pp. 298-299 del libro del giornalista G. Nuzzi; il terzo, pubblicato a p. 300 dello stesso volume, concerne una lettera del 26 marzo 2014 di S.E.R. Mons. Fernando Vérgez Alzaga, Segretario Generale del Governatorato dello SCV, al Cardinale George Pell riguardante i “benefits” dei cardinali (in allegato al doc. 35A f u), il quarto documento è costituito da una lettera dei revisori generali della Prefettura a Papa Francesco del 27 giugno, pubblicata alle pp. 281- 282 del medesimo scritto (in allegato al doc. 35A f u), la cui recezione, a seguito della trasmissione ad opera dell’imputato L. Á. Vallejo Balda, è anche confermata dal giornalista G. Nuzzi nel suo interrogatorio (cfr. doc. 138 f u, p. 8).

Quest’ultimo documento – contestato dal Promotore di Giustizia nell’interrogatorio reso davanti a lui dall’imputato L. Á. Vallejo Balda (cfr. doc. 10 f u p. 3) e preso altresì in considerazione dal medesimo imputato nelle dichiarazione rese all’Autorità di polizia giudiziaria il 16 novembre dello stesso anno (cfr. doc. 35A f u p. 1) – è una missiva al Romano Pontefice sottoscritta dal dott. Maurizio Prato a nome di tutto il Collegio dei revisori internazionali della Prefettura, all’epoca composto di cinque membri, che « in virtù della… personale, e non “ufficiale” possibilità di condividere con » il Papa «le preoccupazioni riguardanti l’attuale situazione finanziaria del vaticano e per proporre consigli su future riforme», esprime, «a titolo personale», talune «preoccupazioni e raccomandazioni», «sollevando la Prefettura da ogni responsabilità derivante dalla… schiettezza e sincerità, che manca dello stile “diplomatico” generalmente presente nei documenti della Curia».

Un tale documento reca la dicitura “sub secreto pontificio”. L’originale tuttavia non aveva una tale iscrizione (cfr. interrogatorio della teste P. Pellegrino, doc. 149 f u p. 13; il timbro con una tale scritta venne richiesto dall’imputato N. Maio all’archivista della Prefettura che peraltro non ne era in possesso, cfr. ibidem, p. 14), conformemente del resto a quanto viene puntualizzato, nella parte anteposta all’articolato, nel “Rescriptum ex audientia” relativo all’Istruzione della Segreteria di Stato del 4 febbraio 1974 “Secreta continere” (cfr. supra, n. 55): «Per quanto riguarda la curia romana… in taluni affari di maggiore importanza si richiede un particolare segreto, che viene chiamato “segreto pontificio” e che deve essere custodito con obbligo grave» (EV, V, 101, 131).

59. Più circoscritto appare il rapporto intercorso tra gli imputati L. Á. Vallejo Balda ed E. Fittipaldi, che – oltre ad un tentativo di contatto da parte e per iniziativa del secondo tra aprile e maggio 2014, non colto dal primo (cfr. doc. 122 f u p. 15) – si conoscono nella tarda primavera del 2015 quando la scrittura del libro del giornalista si è ormai quasi conclusa e abbraccia pochi colloqui personali sui cui esiti viene invocato dal medesimo giornalista il segreto professionale (cfr. doc. 122 f u p. 22), secondo quanto quest’ultimo rammenta: «Mons. Balda mi fu presentato a fine maggio 2015 dalla Chaouqui. L’ho incontrato 4 volte» (doc. 122 f u p. 20; non diversamente si è espresso in proposito anche l’imputatoL.Á.VallejoBalda,cfr.doc.122fup.17),puntualizzandoancora:«Hoiniziato a lavorare sul libro Avarizia a metà del 2014. Lavoro a “L’Espresso” dal 2008 e mi sono sempre dedicato alle attività del V aticano, soprattutto l’aspetto finanziario. Aggiungo, inoltre, che quando ho conosciuto Balda il libro era praticamente già finito e pochissime cose sono entrate nel testo stesso» (doc. 122 f u p. 20).

Lo stesso giornalista E. Fittipaldi, a proposito della documentazione trasmessagli dall’imputato L. Á. Vallejo Balda – per ragioni che ignora e che del resto non lo interessano (cfr. doc. 122 f u p. 12) – precisa: «È stato lo stesso Balda che mi ha inviato spontaneamente i documenti che peraltro non avevano alcun interesse giornalistico, in quanto il bilancio dello IOR era già semipubblico [di un tale documento ricorda l’invio al giornalista lo stesso Mons. L. Á. Vallejo Balda nelle sue dichiarazioni all’Autorità di polizia giudiziaria del 16 novembre 2015, al cui verbale è infatti allegato, cfr. doc. 35/A f u p. 2; lo stessodocumentoèinoltreallegatoalverbaledell’interrogatoriodelmedesimoimputatodel 4 novembre 2015 davanti al Promotore di Giustizia, cfr. doc. 10 f u]. Preciso che dei documenti inviati circa venti pagine, io ho utilizzato 1 pagina che si è poi tradotta in poche righe del libro “Avarizia”» (doc. 122 f u p. 20).

A proposito di questa documentazione l’imputato L. Á. V allejo Balda, nelle sue dichiarazioni all’Autorità di polizia giudiziaria del 16 novembre 2015, rammenta: «Nel secondo incontro che ho avuto con Fittipaldi gli ho consegnato una busta dove all’interno erano contenuti una decina di fogli relativi ad alcune pratiche delle cause dei Santi. Detti documenti, che erano riservati ad uso esclusivo della Santa Sede, erano custoditi nel mio ufficio e ne avevo totale disponibilità. Parlo esattamente del documento [allegato al doc. 35/A f u] pubblicato nel libro di Fittipaldi a pag. 98» (doc. 35/A f u p. 2). Il giornalista E, Fittipaldi ha poi avuto occasione di spiegare le ragioni che lo spingevano ad occuparsi delle cause attinenti ai processi relativi alle cause dei santi: «Il mio interesse… nasceva dal fatto della discordanza tra le dichiarazioni ufficiali e altre informazioni circa il costo delle stesse; di qui l’interesse per accertare la realtà da una fonte assolutamente indiscutibile, come quella del Segretario della Prefettura» (doc. 122 f u p. 21).

L’imputato E. Fittipaldi, a proposito di documentazioni avvenute via whatsapp tra lui e l’imputato L. Á. Vallejo Balda, ha avuto l’opportunità di affermare sia che lo scambio dei documenti dei quali si parla nel messaggio del 21 agosto 2015 (cfr. doc. 41/D f u p. 22), sul contenuto dei quali invoca il segreto professionale, non è avvenuto (cfr. doc. 122 f u p. 20), sia che la richiesta di informazione del 5 settembre 2015 (cfr. doc. 41/D, p. 25) è rimasta sostanzialmente senza seguito (cfr. doc. 122 f u p. 21), come del resto si evinceva chiaramente dalla risposta alla domanda di ragguaglio dello stesso giornalista.

Si può anche notare come, in riferimento al documento pubblicato alle pp. 65-68 dello scritto di questo medesimo giornalista riguardante il verbale dell’adunanza avvenuta il 12 settembre2014dellacommissionecardinaliziaprepostaall’APSA(allegatosiaaldoc.10fu che al doc. 35/A f u), l’imputato L. Á. Vallejo Balda, nelle dichiarazioni rese all’Autorità di polizia giudiziaria il 16 novembre 2015, asserisca: «Ricordo con precisione di averlo dato a Francesa Immacolata Chaouqui. Non ricordo di averlo consegnato in qualche modo ai giornalisti Fittipaldi o Nuzzi» (doc. 35/A f u p. 2).

Si è così potuto prendere in considerazione, anche in rapporto ai loro libri, la documentazione più significativa che il giornalista E. Fittipaldi ha utilizzato e che il giornalista G. Nuzzi ha avuto o poteva avere a disposizione per effetto dell’attività delittuosa posta in essere dall’imputato L. Á. Vallejo Balda, discussa processualmente in modo particolare – oltre che negli interrogatori avanti al Promotore di Giustizia del 4 (cfr. doc. 10 f u) e del 6 (cfr. doc. 15 f u) novembre 2015 e nelle dichiarazioni rese il 16 novembre dello stesso anno all’Autorità di polizia giudiziaria (cfr. doc. 35/A f u) – nell’interrogatorio espletato dal medesimo imputato nelle udienze dibattimentali del 14 e del 15 marzo 2016 (cfr. doc. 122 f u). Ai fini della rilevanza della documentazione trasmessa ai giornalisti occorre tener presente anche quanto viene puntualizzato dall’imputato L. Á. Vallejo Balda: «Nell’e-mail non è presente tutto il lavoro della COSEA, i documenti più riservati erano solo cartacei. E tutti questi documenti cartacei sono nell’archivio COSEA. Non ho mai consegnato documenti cartacei» (doc. 122 f u p. 7).

Il Collegio ritiene che la documentazione valutata e legittimamente raccolta (cfr. supra, n.
49) dall’imputato L. Á. Vallejo Balda sia certamente rimarchevole e ragguardevole per la convenienza e la funzionalità della Santa Sede – specialmente nella sua veste di Autorità suprema della Chiesa cattolica (cfr. supra, n. 52) – così che si deve quindi opinare – con la sua natura riservata comprovata anche dalla quasi generale protezione tramite password – la proibizione di essere rivelata e divulgata, rientrando quindi nella responsabilità criminale prevista e punita dal primo comma dell’art. 116 bis c. p. Lo stesso Collegio reputa invece che la documentazione discussa in controversia non sia tale da cagionare una essenziale compromissione della vita e della edificazione della Chiesa e dello Stato, o un sostanziale sconvolgimento del bene comune tanto dell’una quanto dell’altro o una lesione determinante dei diritti inviolabili sia del fedele sia del cittadino come singolo o come partecipe di un formazione sociale necessaria all’attuazione della sua personalità, così che la sua rivelazione e la sua divulgazione non incide sulla difesa degli «interessi fondamentali» della Chiesa e dello SCV statuita nel secondo comma dell’art. 116 bis c.p.

Nel suo interrogatorio l’imputato L. Á. Vallejo Balda a proposito della documentazione – lecitamente a sua disposizione a causa delle funzioni che svolgeva (cfr. supra, n. 49) – e della intenzione di trasmetterla ai giornalisti non partecipata ad alcuno, neppure agli imputati F I. Chaouqui e N. Maio (cfr. supra, n. 51) – spiega: «Consegnare questi documenti era in un certo senso per me pagare la mia libertà. È evidente che prima di conoscere i giornalisti non avevo in mente di fare questo. Tutto è avvenuto nel periodo aprile-maggio 2015» (doc. 122 f u p. 17).

Per una corretta ponderazione della responsabilità penale dell’imputato L. Á. Vallejo Balda occorre tener conto, con la condizione sacerdotale e con la posizione apicale espletata in ambito curiale romano come segretario della Prefettura (cfr. anche supra, n. 49) e della COSEA (cfr. pure supra, n. 50), del suo stato giuridico di persona incensurata come della sua formazione e dei servizi ecclesiali attuati prima di venire a Roma (cfr. certificazioni relative al suo stato di servizio, doc. 90 f u). Al di là della non apprezzabilità in chiave psicopatologica (cfr. la certificazione psichiatrica redatta dal prof. Enzo Fortuna e dal dott. Moreno Marchiafava il 24 aprile 2015 e la relazione psicologica sottoscritta il 27 aprile del medesimo anno dalla dott. Silvia Degni, cfr. doc. 116 f u), bisogna aver presente un qualche logoramento e una certa tensione psico-emotiva che hanno tormentato l’imputato L. Á. Vallejo Balda dopo la fine dei lavori della COSEA. Come lo stesso imputato rileva nel suo interrogatorio si tratta di una situazione psico-fisica determinata da una pluralità di cause, quali l’atteggiamento anche telematicamente minaccioso dell’imputata F. I. Chaouqui e del marito in seguito alla perdita del lavoro curiale della medesima imputata (cfr.. doc. 122 f u, pp. 6-7, p. 7 e pp. 14-15; cfr. anche supra, n. 51), il timore che altri – in particolare la dott.

F. I. Chaouqui la quale peraltro nega ogni addebito di questa natura (cfr. doc. 134 f u p. 11) e il giornalista E. Fittipaldi, che tuttavia smentisce di sapere qualunque cosa al riguardo (cfr. doc. 122 f u p. 21) – potesse avere notizie relative o alla Santa Sede, o alla sua situazione economica personale ed alla vita del medesimo imputato e servirsene contro di lui (cfr. doc. 122 f u p. 15, p. 11 e p. 18) e ancora la sensazione dello stesso Mons. L. Á. Vallejo Balda di essere costantemente sorvegliato.

A quest’ultimo riguardo nel suo interrogatorio il medesimo imputato ha rimarcato: «Con modo coinvolgente Francesca mi disse che tutte le conversazione con Enrico Giano erano state registrate. Mi disse inoltre che avevano fatto arrivare in Segreteria di Stato una relazione psichiatrica dove si evinceva un rapporto morboso con mia madre [causa, insieme allo stress che lo affliggeva, a detta dello stesso imputato (cfr. doc. 122 f u p. 10, cfr. anche, ibidem, p. 14), delle richieste attestazioni in chiave psichica appena ricordate]; mi fecero credere che ero seguito tutto il giorno ed avevo conferma di queste cose essendo seguito da persone del suo mondo come Pietro Grillo che è stato sempre accanto a me per due mesi (aprile-maggio 2015) e riferiva tutto a Francesca» (doc. 122 f u p. 10).

In queste condizioni, non senza qualche fondamento – se, commentando la fotografia della effrazione alla porta di ingresso, il giornalista G. Nuzzi pensa di confermare che l’episodio poteva costituire un “avvertimento” (cfr. doc. 138 f u pp. 8-9) – il medesimo imputato L. Á. Vallejo Balda arriva a dire: «C’è stato un momento in cui ho temuto per la mia vita» (doc. 122 f u p. 7). Del resto in relazione ai comportamenti dell’imputata F. I. Chaouqui il gendarme S. De Santis, nella sua testimonianza, asserisce: «Sicuramente dal 2014 al 2015 le pressioni della Chaouqui su Mons. Vallejo Balda sono andate aumentando e al riguardo basta leggere l’ultimo messaggio in cui lo apostrofa con: “Sei un verme”. Chiusa la COSEA e rotti i rapporti tra i due, la Chaouqui mise alle costole di Vallejo Balda un tale Pietro Grillo perché lo controllasse ventiquattro ore su ventiquattro. Non a caso nelle comunicazioni che abbiamo trascritto, tanto Mons. V allejo Balda quanto il giornalista interlocutore, si raccomandano la massima discrezione fuori del Vaticano nei confronti della Chaouqui» (doc. 178 f u p. 12). Si possono poi ricordare le posizioni sostenute dagli imputati L. Á. V allejo Balda e F . I. Chaouqui nel confronto da essi avuto davanti al Promotore di Giustizia il 17 novembre 2015: «Domanda: Monsignore i giornalisti Le hanno mai fatto pressioni per consegnare i documenti? Risposta di Mons. Vallejo: i giornalisti e Francesca Chaouqui mi hanno sollecitato e fatto pressioni per avere i documenti. Alcune volte sono stato addirittura minacciato, in quanto i giornalisti mi hanno fatto intendere che loro – attraverso Francesca

– avevano molte notizie sulla mia vita. Risposta della Chaouqui: non ho mai fatto pressioni in questo senso; posso dire che Fittipaldi mi ha riferito verso metà settembre 2015 di non avere avuto altri contatti con Mons. Vallejo, mentre sono certa di contatti tra Mons. Vallejo e Nuzzi, fino a poche settimane prima della presente inchiesta» (doc. 34 f u p. 3).

Comunque al riguardo l’imputato L. Á. Vallejo Balda nel suo interrogatorio dice: «In concreto nei whatsapp c’è traccia di minacce che mi venivano rivolte da Francesca. Mi sono sentito minacciato anche dal tono dai giornalisti. Le minacce dirette sono venute solo da Francesca; i giornalisti facevano parte della sua stessa struttura» (doc. 122 f u p. 14). In realtà nel verbale di quel medesimo interrogatorio si legge anche: «Alla domanda specifica dell’Avv. Palombi [difensore dell’imputato G. Nuzzi] se si sentiva minacciato o era minacciato [l’imputato L.Á. Vallejo Balda] precisa: mi sentivo minacciato» (doc. 122 f u p. 18). Una tale risposta – se può avallare la sussistenza oggettiva di un atteggiamento in se stesso corretto da parte dei giornalisti (cfr. in questo medesimo senso, interrogatorio dell’imputata F. I. Chaouqui, doc. 134 f u p. 11) secondo quanto hanno del resto affermato gli imputati E. Fittipaldi (cfr. doc. 122 f u, p. 18) e G. Nuzzi (cfr. doc. 138 f u p. 11) – non modifica nella sostanza la posizione psicologicamente soggettiva di Mons. L. Á. Vallejo Balda nei loro confronti.

Ponderando la ricostruzione fattuale effettuata sulla base degli atti di causa nella prospettiva del quadro giuridico che si è delineato (cfr. supra, n. 52-57), il Collegio ritiene l’imputato Lucio Ángel Vallejo Balda colpevole del reato previsto e punito dal primo comma dell’art. 116 bis c.p.; il Collegio, valutando inoltre il quadro circostanziale complesso nel quale il medesimo imputato ha attuato la propria condotta delittuosa, reputa di commisurare la pena da comminare in diciotto mesi di reclusione.

60. Tenendo conto come contesto generale di riferimento di ciò che si è già avuto occasione di richiamare in proposito (cfr. supra, n. 49, 50, 51, 58 e 59), occorre ricostruire i fatti di causa con riferimento all’imputata F. I. Chaouqui. Quest’ultima indubitabilmente aveva nella sua disponibilità la documentazione relativa alla propria attività nella COSEA della quale era stato membro (cfr. supra, n. 50). Anzi l’imputata era stata l’unico appartenente della Commissione abitualmente dimorante a Roma (cfr. interrogatorio dell’imputato L. Á. Vallejo Balda, doc. 122 f u p. 6) insieme al segretario coordinatore con il quale aveva, per ciò, allacciato un rapporto molto stretto (cfr. supra, n. 51), tanto che si era avuto tra i due imputati, prevalentemente per via telematica, uno scambio di incartamenti non sempre relativi agli ambiti attinenti alle mansioni disimpegnate nella COSEA.

In proposito, a titolo meramente esemplificativo, si possono ricordare il verbale concernente la riunione del 12 settembre 2014 della commissione cardinalizia preposta all’APSA (cfr. dichiarazioni dell’imputato L. Á. Vallejo Balda all’Autorità di polizia giudiziaria del 16 novembre 2015, doc. 35/A f u p. 2, cfr. supra, n. 58), un regolamento della stessa Commissione che l’imputata, nel suo interrogatorio precisa di avere avuto da Mons. L. Á. Vallejo Balda senza tuttavia comunicarlo ad altri (cfr. doc. 134 f u p. 12), l’importante documento contenente le ottantacinque passwords (cfr. supra, n. 58), inviato secondo quanto ha affermato il teste G. Gauzzi, «a Mons. Vallejo Balda da parte di Enrique Llano (22 dicembre 2014 – alle ore 18,00 circa) via mail e successivamente» inoltrato dal medesimo imputato «via mail alla Chaouqui » alla quale lo trasmetteva anche «via whatsapp (circa marzo 2015)» (doc. 171 f u p. 14).

A questo proposito il medesimo testimone ad una precisa domanda del Promotore di Giustizia enumera una serie di dati, soprattutto riguardanti le attività economico-finanziarie della Santa Sede in possesso di Mons. L. Á. Vallejo Balda e da questi trasmessi alla dott. F.
I. Chaouqui esistenti nel libro e negli scritti giornalistici dell’imputato E. Fittipaldi (cfr. doc. 171 f u p. 16-17).

In questa accurata disamina significantemente, tra le altre cose si rileva: «Sono state pubblicate delle informazioni circa il portafoglio immobiliare della Santa Sede. Queste informazioni sono state reperite nella mailbox di Mons. Vallejo Balda il quale in data 1° luglio 2014 dalle ore 23.30 alle ore 23.59 circa ha inviato 5 e-mail alla Chaouqui con allegata la documentazione sopra citata [si può annotare che questo è il periodo nel quale il giornalista E. Fittipaldi ha cominciato a lavorare al suo libro, cfr. interrogatorio del medesimo imputato, doc. 122 f u p. 21; cfr. supra, n. 59]. Nell’ultima e-mail delle 23.54 circa, la Chaouqui risponde a Mons. Vallejo Balda: «Questa è la nota di “Promontory”, l’abbiamo anche noi nella Commissione, documentazione dell’APSA Ordinaria.

Documentazione degli investimenti ma non cose delle ditte sennò finiscono diretti a noi». Subito dopo la Chaouqui ne invia un’altra: “questi sì, ma non si può costruire molto. Serve un documento di proprietà APSA. Proprio non di Promontory. Di Promontory ho tutto”. Questi documenti risultano essere stati pubblicati sul libro di Fittipaldi» (doc. 171 f u p. 16).

Da quanto si è prospettato si può evincere la singolare coincidenza di una presenza nelle pubblicazioni giornalistiche, in special modo dell’imputato E. Fittipaldi, di atti attinenti più che altro alle attività economico-finanziarie della Santa Sede nella disponibilità di Mons. L. Á. Vallejo Balda e da questi trasmessi alla dott. F. I. Chaouqui.

Secondo quanto lei afferma nel suo interrogatorio (cfr. doc. 134 f u p. 8; cfr. altresì interrogatorio dell’imputato G. Nuzzi, doc. 134 f u p. 8), l’imputata F. I. Chaouqui conosceva «da molto tempo» il giornalista G. Nuzzi che, puntualizzato come lei conoscesse che stava scrivendo un libro di argomento vaticano (cfr. doc. 138 f u p. 7), ha anche aggiunto: «Preciso che con la Dott.ssa Chaouqui nel periodo estivo del 2015 ero molto prudente a parlare del mio libro, per evitare fughe di notizie» (doc. 138 f u p. 7).

Nel suo interrogatorio nel corso dell’udienza del 15 marzo 2016 il giornalista E. Fittipaldi ha avuto occasione di affermare: «Ho conosciuto la Chaouqui circa un anno e mezzo fa, in merito al famoso ricevimento svoltosi durante la canonizzazione dei due Papi [Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II avvenuta il 27 aprile 2014]» (doc. 122 f u p. 22). Del resto in proposito il testimone G. Gauzzi ha asserito: «Fino al 21 maggio 2014, data dell’uscita su L’Espresso del servizio sul famoso party della terrazza durante la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, non esisteva nella rubrica della Chaouqui il numero di Fittipaldi, numero che è stato registrato in quel giorno, dopodiché risultano dei messaggi mail di cui è stato cancellato il contenuto» (doc. 178 f u p. 7). Dagli atti di causa emergono quindi due fatti. Il primo di questi, secondo quanto si è già osservato, è costituito dalla esistenza simultanea di dati riguardanti la Santa Sede attinenti prevalentemente ad aspetti economico-finanziari in possesso dell’imputata F. I. Chaouqui, trasmessile soprattutto dall’imputato L. Á. Vallejo Balda, nelle pubblicazioni giornalistiche degli imputati G. Nuzzi e specialmente E. Fittipaldi. Il secondo fatto concerne la conoscenza, da parte della dott.ssa F. I. Chaouqui, dei giornalisti G. Nuzzi – da molto tempo – ed E. Fittipaldi, dal momento nel quale inizia a lavorare al suo libro “Avarizia”. Peraltro, malgrado le perplessità che possono aversi per la singolarità delle coincidenze, occorre avvertire che una tale duplice fattualità, pur enucleandone i presupposti necessari, non fornisce alcun indizio effettivo sul nesso di causalità tra i due fatti, cioè sulla rivelazione e sulla divulgazione di documenti concernenti la Santa Sede ad opera dell’imputata F. I. Chaouqui.

Al riguardo – mentre l’imputato L. Á. Vallejo Balda, genericamente e senza dare alcun elemento di supporto, afferma di avere la certezza morale di una comunicazione di documenti da parte dell’imputata F. I. Chaouqui (cfr. doc. 122 f u p. 8; cfr. supra, n. 58) – quest’ultima per parte sua asserisce: «Non ho mai consegnato alcuna documentazione relativa al mio lavoro in COSEA o di interesse della Santa Sede al giornalista Nuzzi» (doc.

134 f u p. 10). Anzi, con riferimento a quest’ultimo imputato, annota ancora: «Personalmente non mi ha mai chiesto alcuna documentazione, neanche negli anni in cui ho lavorato in COSEA, ed io l’ho sempre apprezzata come cosa, in quanto mi dimostrava rispetto» (doc. 134 f u p. 8).

L’imputato E. Fittipaldi in proposito assevera: «Non ho mai chiesto né ricevuto dalla Chaouqui alcuna documentazione» (doc. 122 f u p. 22). Del resto l’imputata F. I. Chaouqui nel suo interrogatorio davanti al Promotore di Giustizia aveva osservato: «Per quanto riguarda i documenti utilizzati dal giornalista Emiliano Fittipaldi suppongo che gli stessi se li procurava attraverso altre fonti che non sono né Mons. Vallejo né la sottoscritta» (doc. 33 f u p. 2). Più specialmente poi in quel medesimo interrogatorio la stessa imputata, in riferimento al documento contenente il verbale della riunione del 12 settembre 2014 della commissione cardinalizia preposta all’APSA (cfr. supra, n. 59), asserisce: «Non sono stata io a comunicare a Fittipaldi un tale documento» (doc. 33 f u p. 2).

D’altro canto in riferimento all’imputata F. I. Chaouqui, se il giornalista G. Nuzzi rileva che per lui «è stata soltanto un contatto» (doc. 138 f u p. 17) e l’imputato L. Á. Vallejo Balda dichiara : «Non ho mai visto Francesca consegnare documenti brevi manu ai due giornalisti», precisando tuttavia che «gli incontri insieme con Francesca e singoli giornalisti si sono svolti una sola volta» (doc. 122 f u p. 14), il testimone S. De Santis esclude recisamente che, nel gruppo (cfr. supra, n. 51) formato con Mons. L. Á. Vallejo Balda e N. Maio (cfr. doc. 178 f u p. 11), avesse il compito «di passare informazioni alla stampa» (doc. 178 f u p. 13).

Nelle dichiarazioni rese il 31 ottobre 2015 all’Autorità di polizia giudiziaria, rispondendo ad alcune domande, l’imputata F. I. Chaouqui afferma: «Ho mandato documentazione afferente alla Santa Sede al giornalista Gianluigi Nuzzi… Non ricordo precisamente di quale documentazione si tratta ma a livello temporale dopo lo scioglimento della commissione» (doc. 4 f u allegato 2, pp. 2-3). La medesima imputata nella stessa occasione rileva ancora: «Non ricordo se ho inviato la documentazione via mail o via whatsapp, certamente non ho mai consegnato a mano documentazione cartacea a Gianluigi Nuzzi… Ho inviato la documentazione afferente la Santa Sede a Gianluigi Nuzzi di mia spontanea volontà» (doc. 4 f u allegato 2, p. 3).

In relazione alla contestazione di questa posizione da parte del Promotore di Giustizia avvenuta in dibattimento, la stessa imputata in modo non persuasivo – specie se si considera la volontarietà dell’invio e il dubbio relativo alle modalità di trasmissione – spiega: «È vero. Al riguardo si trattava del documento relativo all’invito e negli atti non ci può essere alcuna prova. L’unica cosa che gli [al giornalista G. Nuzzi] ho trasmesso è il biglietto di invito in terrazza della Prefettura, il giorno della canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII» (doc. 134 f u p. 11).

Tuttavia non emerge dagli atti di causa né la individuazione né la natura di una peculiare documentazione inviata al giornalista G. Nuzzi. In effetti in merito alla comunicazione di documenti a quel giornalista (cfr. anche interrogatorio del teste S. De Santis, cfr. doc. 178 fu p. 10) – ma così come viene delineato si tratta di un inoltro “sui generis” – si può rammentare quanto esplicita l’imputata F. I. Chaouqui: «Dopo lo scioglimento della COSEA ho trasmesso al Nuzzi la documentazione pubblica relativa al VAM [ossia “Vatican Assets Management”, proposta di istituzione «di un fondo sovrano in Lussemburgo», secondo quanto aveva già detto nelle sue dichiarazioni del 31 ottobre 2015 all’Autorità di polizia giudiziaria», doc. 4 f u, allegato 2, p. 3], con modalità Word. Il documento VAM non lo posseggo e non l’ho mai posseduto» (doc. 134 f u p. 11).

La stessa imputata spiega anche la ragione del mancato possesso di questo documento (cfr. anche interrogatorio in confronto degli imputati L. Á. V allejo Balda e F . I. Chaouqui avvenuto il 17 novembre 2015 davanti al Promotore di Giustizia, doc. 34 f u p. 1) relativo ad una idea “bocciata” dal Romano Pontefice (cfr. doc. 134 f u p. 8): «[Il VAM] era stato proposto in COSEA e sviluppato in seguito dalla Commissione FIOR, di cui non facevo parte. Io mi sono limitata a passare al giornalista Nuzzi una rassegna stampa che è agli atti. Ho parlato di questa questione anche con altri giornalisti» (doc. 134 f u p. 8).

Si può poi richiamare un altro dossier alla cui formazione ha contribuito l’imputata F. I. Chaouqui che nel suo interrogatorio rileva: «Mons. Vallejo Balda redige insieme a me un documento riservato per il Papa e scritto al computer da Maio [cfr. interrogatorio dell’imputato N. Maio, doc. 136 f u p. 7]. Io sono stata incaricata da Balda di costituire una documentazione in grado di informare il Santo Padre dei fatti gravi occorsi. Questa documentazione è in possesso della Gendarmeria» (doc. 134 f u p. 6).

A questo medesimo proposito l’imputato L. Á. Vallejo Balda enuclea: «Si trattava di un dossier creato in base a notizie di internet [precisazione confermata anche dall’imputato N. Maio, cfr. doc. 136 f u p. 5], la sua redazione fu redatta da Francesca e da Maio. Chi ha deciso di creare questo documento sono stato io, perché mi sembrava un dovere farlo. Insisto che alla fine dei lavori della COSEA mi sono arrivate informazioni, e mi è sembrato giusto ordinarle e raccoglierle per informare i miei superiori. In questo dossier non c’era nessun documento riservato, ma solo informazioni pubbliche. Sono stato io personalmente a consegnare il dossier al Santo Padre» (doc. 122 f u p. 17).

In realtà tale documentazione – a detta della medesima imputata nelle sue dichiarazioni del 31 ottobre 2015 davanti all’Autorità di polizia giudiziaria (cfr. doc. 4 f u allegato 2, p 3) – pur se non in campo giornalistico ha avuto una sua diffusione in ambito curiale, determinando anche qualche reazione: «Il Cardinal Abril e Mons. Vallejo sono andati dal Santo Padre presentando il dossier. Ad esito del colloquio il Santo Padre invita il Card. Abril e Mons. Vallejo a presentare l’intero dossier al Card. Pell che si trovò in totale disaccordo. Mons. Vallejo provvide a divulgare il dossier a prelati a lui vicini ed era sua intenzione che giungesse nelle mani del Card. Madariaga».

I fatti in controversia così come sono stati ricostruiti mediante le tavole processuali con riferimento agli imputati L. Á. Vallejo Balda e F I. Chaouqui evidenziano una complicità certa di quest’ultima nel delitto perpetrato dal primo. Soprattutto dagli atti di causa, secondo quanto si è annotato, si rileva una facilitazione alle attività di rivelazione e di divulgazione dei documenti, in particolare a cagione del rapporto posto in essere tra Mons. L. Á. Vallejo Balda e i giornalisti.

In effetti l’imputata F. I. Chaouqui ha promosso un tale contatto, consapevole dell’interesse dei due giornalisti per le attività vaticane, interesse che si era concretato nella stampa di alcuni volumi in materia da parte del giornalista G. Nuzzi. Quest’ultimo è stato pure reso consapevole dalla medesima imputata delle inquietudini del segretario della Prefettura, in particolare in riferimento agli intralci che ostacolavano l’opera riformatrice del nuovo Romano Pontefice e ai rischi di neutralizzazione degli esiti della COSEA (cfr. interrogatorio dell’imputato G. Nuzzi, doc. 138 f u p. 13; cfr. supra, n. 58). In tale attività dell’imputata, pur senza determinare i giornalisti ad effettuarne la divulgazione, vi erano però i presupposti per una pubblicizzazione dei documenti in discussione, qualora ne fossero maturate le circostanze.

In questa prospettiva la conoscenza acquisita da Mons. L. Á. Vallejo Balda mediante la dott. F. I. Chaouqui dei giornalisti E. Fittipaldi (cfr. interrogatorio dello stesso imputato, doc. 122 f u p. 20; cfr. supra, n. 59) e G. Nuzzi (cfr. interrogatorio del medesimo imputato, doc. 138 f u p. 7; cfr. supra, n. 58), è stata il tramite e quindi – in forza dell’art. 64 primo comma 2° c.p. – un mezzo per la perpetrazione del delitto di cui all’art. 116 bis c.p. Tuttavia, secondo quanto si può arguire dalle dichiarazioni dello stesso imputato L. Á. Vallejo Balda, si deve osservare che non gli sarebbero mancate altre opportunità per raggiungere lo stesso risultato, così che la complicità ha costituito uno strumento, concretamente ma non potenzialmente (cfr. supra, n. 56), necessario: «Ho ricevuto una chiamata tra aprile e maggio 2014 dal dott. Fittipaldi, alla quale non ho voluto rispondere perché non mi sembrava corretto aver rapporti con i giornalisti» (doc. 122 f u p. 15). Ed ancora: «Durante i lavori di COSEA ho cercato di evitare qualsiasi contatto con i giornalisti. Li ho conosciuti in seguito. I primi incontri con Nuzzi e Fittipaldi, seppur in momenti separati, li ho avuti tramite Francesca nell’aprile-maggio 2015» (doc. 122 f u pp. 7-8).

Inoltre, secondo quanto si riscontra nel suo interrogatorio – ancorché già sussistente nell’imputato L. Á. Vallejo Balda che ha preso una tale decisione da solo (cfr. interrogatorio del medesimo imputato, doc. 122 f u p. 17) – la risoluzione a commettere il crimine è stata rafforzata dal comportamento dell’imputata F. I. Chaouqui – qualificabile quindi quale complicità morale, ai sensi dell’art. 64 comma 1, n. 1 c.p. (cfr. supra, n. 56) – grazie a “sollecitazioni” (cfr. doc. 122 f u p. 8), “pressioni” (cfr. doc. 122 f u p. 9) e anche a “minacce” (cfr. doc. 122 f u p. 14).

Nel considerare la posizione dell’imputata F. I. Chaouqui occorre poi aver presente, con la sua condizione ecclesiale di membro della COSEA ed il suo stato di persona incensurata, il comportamento processuale, che, pur non del tutto lineare, fin dal momento della sua prima comparsa davanti all’Autorità di polizia giudiziaria, è stato disponibile e collaborativo (cfr. interrogatorio del teste S. De Santis, doc. 178 f u p. 10) e che, specie nella sua dichiarazione del 7 luglio 2016 anteriore alla pronuncia del dispositivo della sentenza, ha mostrato rammarico ed una certa resipiscenza per la propria condotta relativa ai fatti di causa.

Valutate le fattualità di causa così come sono state ricostruite sulla base delle tavole processuali nell’ottica giuridica che si è additata (cfr. supra, n. 52-57), il Collegio reputa che nei confronti di Francesca Immacolata Chaouqui in relazione al delitto di cui all’art. 116 bis c.p., non si abbia quella prova certa che, invece, si è consolidata per quanto attiene alla perpetrazione di quel medesimo reato in rapporto alla complicità disciplinata e punita dal primo comma dell’art. 64 c.p.; il Collegio, vagliando il complesso quadro circostanziale nel quale la condotta criminosa si è consumata, ritiene di quantificare la pena da comminare all’imputata in dieci mesi di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale della pena.

61. Per quanto concerne l’imputato N. Maio occorre osservare che la sua posizione, in relazione ai fatti criminosi dei quali si discute, si evidenzia dagli atti di causa come sostanzialmente marginale, secondo quanto del resto si è già avuto occasione di annotare (cfr. supra, n. 49, 51), individuando la sua operatività di segretario esecutivo della COSEA – prevalentemente alle dipendenze dell’imputato L. Á. Vallejo Balda del quale si dice «perennemente in stato di soggezione psicologica» (doc. 136 f u p. 4) – attuata in modo particolare nello SCV alla “domus” Santa Marta nella quale era stato collocato l’archivio della COSEA e, solo successivamente allo scioglimento di quella Commissione Pontificia, in Prefettura, della quale non era dipendente ma nei cui locali era collocato l’ufficio del segretario coordinatore della COSEA che della medesima Prefettura era il segretario.

Del resto l’attività curiale dell’imputato N. Maio ha avuto una durata di poco maggiore di un anno; infatti, nominato segretario esecutivo della COSEA il 4 ottobre 2013 (cfr. interrogatorio del medesimo imputato, doc. 136 f u p. 2), il dott. N. Maio si è dimesso (cfr. supra, n. 50) il 15 dicembre 2014 – come lui stesso puntualizza (cfr. doc. 136 f u p. 5 e pp. 7-8) – per lo stato inessenziale nel quale si era venuto a trovare dopo lo scioglimento della COSEA nel maggio del 2014, per il tentativo di coinvolgimento in attività “paravaticane” che non approvava ed anche per il mutato atteggiamento nei suoi confronti di Mons. L. Á. Vallejo Balda.

L’imputata F. I. Chaouqui, nelle sue dichiarazioni davanti all’Autorità di polizia giudiziaria del 1° novembre 2015, asserisce: «I documenti della Santa Sede a firma del Card. Calcagno, rescriptum ex Audientia, e il documento a firma di Sua Eccellenza Vérgez, relativo ai benefit concessi ai Cardinali sono stati sottratti da Nicola Maio e consegnati entrambi a Mons. Balda. Non sono in grado di dire se detti documenti sono stati inviati agli organi di stampa da Nicola Maio, però credo che sia stata opera di Mons. Balda perché si stava attuando l’opera di screditamento del Card. Pell» (doc. 4 f u allegato 3, p. 1).

Tuttavia in dibattimento la medesima dott.ssa F. I. Chaouqui, rispondendo ad una precisa domanda del difensore dell’imputato N. Maio, modifica quella sua affermazione: «Non capisco se in quella dichiarazione vi fu un errore nella trascrizione o nella mia esposizione. Quello che posso precisare è che non è stato Maio ma Balda a sottrarre i documenti» (doc. 134 f u p. 13). Il dott. N. Maio, per parte sua, precisa in proposito: «Non ho mai visto il rescriptum ex Audientia prima dell’avvio del procedimento, mentre il secondo documento poteva essere nella mia disponibilità e potevo legittimamente mostrarlo a Mons. Balda dietro sua richiesta» (doc. 136 f u p. 2), aggiungendo ancora che una simile missiva «non faceva parte dei documenti di COSEA» (doc. 136 f u p. 6).

D’altro canto lo stesso imputato N. Maio, che afferma di non aver mai preso documentazione dalla Prefettura (cfr. doc. 136 f u p. 3), per le mansioni e il ruolo che svolgeva nell’ambito della COSEA – da lui stesso definito «meramente esecutivo» (doc. 136 f u p. 4), pur se era «un impegno importante che comportava un pathos» (doc. 136 f u

p. 4) – aveva nella propria disponibilità un certo numero di atti, peraltro di rilevanza non primaria, secondo quanto egli stesso esplicita: «Nel momento in cui ho lavorato sia in COSEA che in Segreteria per l’Economia, su disposizione della COSEA, avevo la disponibilità di documenti» (doc. 136 f u p. 4), precisando «che si trattava di documenti pratici e non di alta strategia, e che questi documenti può averli portati con sé presso i vari uffici» (doc. 136 f u p. 5).

Il medesimo imputato N. Maio, in riferimento ai due giornalisti imputati in questa causa, rispondendo ad una domanda del proprio difensore, «dichiara di non aver mai conosciuto prima i giornalisti Fittipaldi e Nuzzi, che la loro conoscenza è avvenuta alla prima udienza» (doc. 136 f u p. 6). Una tale puntualizzazione ha avuto riscontro negli interrogatori degli imputati E. Fittipaldi (cfr. doc. 122 f u p. 22) e G. Nuzzi (cfr. doc. 138 f u p. 10).

In rapporto poi alla rivelazione e alla divulgazione di documenti – senza che in atti si abbia una prova diversa – lo stesso imputato N. Maio, nel suo interrogatorio, assevera «che quando gli veniva richiesto da Mons. V allejo Balda, inviava a destinatari legittimi documenti cifrati dal suo account. In rarissime occasione gli è stato chiesto di trasmettere documenti in inglese, a destinatari legittimi, dall’indirizzo di posta elettronica di Mons. Vallejo Balda di cui non conosceva la password che metteva lui stesso», aggiungendo che quando avveniva ciò, lo faceva in presenza di Mons. Vallejo Balda, o in Prefettura o alla Domus [Santa Marta]» (doc. 136 f u p. 6).

Nel quadro che si è tracciato da ultimo, integrato tuttavia nell’intero contesto che lo ha visto coinvolto nei fatti di causa (cfr. supra, n. 49-51 e 58-60) ricostruito in conformità alle tavole processuali, valutato dall’angolazione giuridica che si è delineata (cfr. supra, n. 52- 57), il Collegio assolve l’imputato Nicola Maio per non aver commesso il fatto.

P.Q.M. Il Tribunale

in relazione agli imputati Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi;

rilevata la sussistenza, radicata e garantita dal diritto divino, della libertà di manifestazione del pensiero e della libertà di stampa nell’ordinamento giuridico vaticano;

valutati gli artt. 4, 5 e 6 c.p. così come modificati rispettivamente dagli artt. 2, 3 e 4 della Legge 11 luglio 2013, n. IX;

considerato peraltro che lo svolgimento processuale, la cui istruzione si è perfezionata solamente nel corso del dibattimento, ha evidenziato che i fatti contestati agli imputati sono avvenuti al di fuori del proprio ambito ordinario di giurisdizione;

tenuto conto che gli stessi imputati non rivestono, ai sensi del diritto penale, la qualificazione di pubblici ufficiali né sono ad essi equiparati; visto il m.p. di Papa Francesco dell’11 luglio 2013 “Ai nostri tempi”, con il quale si sancisce, al di là dei limiti ordinari, la giurisdizione penale degli organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano in ordine ai reati di cui alla legge 11 luglio 2013, n. IX, unicamente se commessi nell’esercizio delle loro funzioni da persone equiparate ai pubblici ufficiali dal n. 3 di quel medesimo motu proprio,

dichiara

il proprio difetto di giurisdizione;

Visti gli articoli del codice penale 59, così come sostituito dall’art. 26 della legge 21 giugno 1969 n. L, 63 e 64, 116 bis così come è stato introdotto dall’art. 10 della legge dell’11 luglio 2013 n. IX, 248 così come è stato integralmente sostituito dall’art. 25 della stessa legge n. IX;

visti gli articoli del codice di procedura penale 413, 416, 417, 421, 422, 423 così come modificato dall’art. 9 della citata legge L, del 1969, nonché l’art. 429;

tenuto conto che la legge n. IX del 2013 è entrata in vigore il 1° settembre dello stesso anno;

in relazione agli imputati Lucio Ángel Vallejo Balda, Francesca Immacolata Chaouqui e Nicola Maio, considerato che le risultanze processuali non hanno evidenziato la sussistenza di elementi che consentano di ricondurre i fatti addebitati agli imputati alle fattispecie di cui all’art. 248 c.p., così come sostituito dall’art. 25 della legge n. IX del 2013,

assol ve

gli imputati stessi dal reato di cui all’art. 248 c.p. per non aver commesso il fatto; in

relazione all’imputato Nicola Maio,

considerata la non evidenza processuale degli elementi costitutivi il reato di cui agli artt. 63, 64 – in quanto ipotesi meno grave ancorché non contestata – e 116 bis, così come introdotto dalla legge n. IX del 2013,

assolve

l’imputato stesso dal reato ascrittogli per non aver commesso il fatto; in relazione all’imputato Lucio Ángel Vallejo Balda, tenuto conto che le risultanza processuali evidenziano la sussistenza di elementi costitutivi il reato di cui all’art. 116 bis c.p., considerate le aggravanti e le attenuanti,

condanna

l’imputato alla pena di diciotto (18) mesi di reclusione;

in relazione all’imputata Francesca Immacolata Chaouqui,

valutato che le risultanze processuali non evidenziano sufficientemente che l’imputata abbia rivelato notizie o documenti di cui è vietata la pubblicazione, ma dimostrano il concorso nel reato commesso da Lucio Angel Vallejo Balda, considerate le attenuanti e le aggravanti,

condanna

la stessa alla pena di dieci (10) mesi di reclusione;
sospende l’esecuzione della pena per cinque (5) anni alle condizioni di legge.

condanna

Lucio Ángel Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui al rifacimento delle spese processuali.

Città del Vaticano, 7 luglio 2016 Giuseppe Dalla Torre, Presidente

Piero Antonio Bonnet, Giudice estensore Paolo

Papanti-Pelletier, Giudice

Raffaele Ottaviano, Cancelliere

Depositata a norma dell’art. 433 c. p .p., oggi ventidue (22) dicembre duemilasedici (2016).
IL CANCELLIERE

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