Botta e risposta tra il direttore della Gazzetta dello Sport e il procuratore di Bergamo

Ultrà e insulti, se la pezza è peggiore del buco

Roberto Pelucchi

Roberto Pelucchi

Gazzetta dello SportMILANO – “Credo che qua­lun­que per­so­na di buon senso, a fron­te dell’enor­mità del ca­ri­co gra­van­te sulla giu­sti­zia pe­na­le (sol­tan­to a Ber­ga­mo ogni anno ven­go­no aper­ti in Pro­cu­ra circa 30.000 nuovi pro­ce­di­men­ti pe­na­li), possa ri­te­ne­re che per un «uomo di merda» (et si­mi­lia) lan­cia­to in In­ter­net sia suf­fi­cien­te la sud­det­ta rea­zio­ne da parte dello Stato (che in ogni caso, come detto, non pre­clu­de né li­mi­ta in alcun modo il di­rit­to al ri­sar­ci­men­to dell’in­sul­ta­to), senza pro­ce­de­re alla fu­ci­la­zio­ne, anche se la vit­ti­ma dell’in­sul­to è un gior­na­li­sta e non un cit­ta­di­no qua­lun­que”. Ad affermarlo è il procuratore della Repubblica di Bergamo, Massimo Meroni, in una lettera al direttore della Gazzetta dello Sport, Andrea Monti, in risposta all’editoriale “Il cronista e il giudice futurista” relativo all’archiviazione della querela del giornalista nei confronti del sito «atalantini.com» perché, a giudizio del Gip Tino Pa­le­stra, “In ambito sportivo un insulto generico ci può anche stare”.
Il caso, denunciato da Massimo Gramellini, nel suo “Buongiorno” sul quotidiano La Stampa e rilanciato da Giornalisti Italia il 6 aprile scorso, ha registrato l’8 aprile la presa di posizione della Fnsi e dell’Associazione Lombarda Giornalisti, intervenuti con il segretario generale Raffaele Lorusso, il segretario generale aggiunto Carlo Parisi, il presidente Giuseppe Giulietti ed il presidente dell’Alg, Paolo Perucchini. Il sindacato dei giornalisti non ha esitato a definire “grave e inaccettabile che un giudice possa considerare di «particolare tenuità» gli insulti e le ingiurie che alcuni sedicenti ultrà dell’Atalanta hanno rivolto al collega Roberto Pelucchi della Gazzetta dello Sport, al quale va la solidarietà del sindacato dei giornalisti italiani”.
«Ancora più grave – ha sottolineato la Fnsi – è che il Gip Tino Palestra, nell’archiviare il procedimento, abbia rilevato che definire «uomo di merda» un giornalista deve ricondursi quantitativamente entro i limiti della particolare tenuità «perché in ambito sportivo un insulto generico ci può anche stare». Con queste parole – ha denunciato la Fnsi – il Gip ha di fatto sdoganato la libertà di insultare i cronisti che fanno il proprio dovere, riportando indietro le lancette della storia e cancellando con un colpo di spugna le battaglie di chi si sforza di allontanare la violenza verbale dai luoghi in cui si celebrano eventi sportivi perché questa è a sua volta l’anticamera dell’aggressione e della violenza fisica”.
Una vicenda grave che non può passare sotto silenzio. Tutt’altro. Giornalisti Italia vi ripropone, pertanto, l’editoriale di Andrea Monti, la lettera del procuratore di Bergamo, Massimo Meroni, la replica del direttore della Gazzetta dello Sport e, in coda, i link al “Buongiorno” di Massimo Gramellini sulla Stampa e la presa di posizione della Fnsi pubblicati da Giornalisti Italia. Ogni ulteriore commento è superfluo. (giornalistitalia.it)

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Ultrà e insulti: un’archiviazione curiosa…
Il cronista e il giudice futurista

Andrea Monti

Andrea Monti

MILANO – In quel­la ca­me­ra d’aria gon­fia di in­sul­ti, mia­smi e per­so­nag­gi biz­zar­ri che è di­ven­ta­to il no­stro cal­cio, ve­nerdì scor­so ha fatto ir­ru­zio­ne pure un giu­di­ce del Tri­bu­na­le di Ber­ga­mo con­qui­stan­do un posto di ri­lie­vo nella spe­cia­le clas­si­fi­ca di chi la spara più gros­sa. Il Gip Tino Pa­le­stra, evi­den­te­men­te un tipo atle­ti­co, è un vero ca­po­can­no­nie­re della pa­ro­la in li­bertà e va ade­gua­ta­men­te ce­le­bra­to perché il podio se l’è gua­da­gna­to a spese di un col­le­ga che i let­to­ri della Gaz­zet­ta co­no­sco­no e sti­ma­no.
La sto­ria, si­no­ra ta­ciu­ta su que­ste co­lon­ne per carità di pa­tria, è stata ri­ve­la­ta ma­gi­stral­men­te da Mas­si­mo Gra­mel­li­ni sulla Stam­pa. Ora pos­sia­mo rac­con­tar­la senza sem­bra­re au­to­re­fe­ren­zia­li o peg­gio pia­gno­ni. Va come segue: il no­stro Ro­ber­to Pe­luc­chi su­bi­sce da anni mi­nac­ce e pub­bli­ci in­sul­ti da una parte degli ultrà ata­lan­ti­ni per aver scrit­to di scan­da­li e scom­mes­se, dell’in­toc­ca­bi­le Doni e dei pro­ces­si che lo in­se­guo­no. Lui li de­nun­cia e i ma­gi­stra­ti ber­ga­ma­schi re­go­lar­men­te ar­chi­via­no, di­men­ti­ca­no o as­sol­vo­no. Ul­ti­mo epi­so­dio in or­di­ne di tempo: il no­stro spe­di­sce una pre­ci­sa­zio­ne al sito uf­fi­cia­le del tifo ata­lan­ti­no di­cia­mo così «mo­de­ra­to» e si becca una gra­gnuo­la di in­giu­rie dagli ultrà che nei com­men­ti lo de­fi­ni­sco­no sim­pa­ti­ca­men­te «uomo di merda». Nuovo espo­sto. Pe­luc­chi è un tipo su­scet­ti­bi­le, dirà qual­cu­no. O forse si è solo rotto i ca­ba­si­si. Op­pu­re vor­reb­be dallo Stato un po’ di tu­te­la, chissà… Co­mun­que, la par­ti­ta è ri­sol­ta dall’inef­fa­bi­le Pa­le­stra che, con un’or­di­nan­za ful­mi­nan­te, ar­chi­via il pro­ce­di­men­to. Nien­te da dire, è nei suoi po­te­ri. Le sen­ten­ze si ac­cet­ta­no, non si di­scu­to­no. A meno che non con­ten­ga­no com­men­ti stram­pa­la­ti, e qui caro Pa­le­stra entra in scena quel­lo stu­pen­do eser­ci­zio gin­ni­co che è la li­bertà di stam­pa e d’opi­nio­ne.
Dun­que, ve­dia­mo: in aper­tu­ra di gioco, nelle prime righe dell’or­di­nan­za, lei scri­ve di «tale Ro­ber­to Pe­luc­chi». Tale per la giu­sti­zia non do­vreb­be es­se­re nes­su­no, tale non è nep­pu­re un tizio sco­no­sciu­to e senza fissa di­mo­ra. Si­gnor Pe­luc­chi, si­gnor Pa­le­stra, si­gnor Monti, se pro­prio non si vuol ri­co­no­sce­re il ti­to­lo ac­ca­de­mi­co. Me­glio no? Poi pro­ce­de spie­gan­do che «uomo di merda» (per­do­na­te il tur­pi­lo­quio rei­te­ra­to) è un epi­te­to che «deve ri­con­dur­si quan­ti­ta­ti­va­men­te entro i li­mi­ti della par­ti­co­la­re te­nuità». Trat­tan­do­si con ogni evi­den­za di que­stio­ni le­ga­te all’in­te­sti­no tenue, quan­ta ma­te­ria igno­bi­le deve pren­der­si in testa un mal­ca­pi­ta­to per su­pe­ra­re la so­glia del pe­na­le? Im­pa­vi­do, il Gip ci for­ni­sce una ri­spo­sta: «In am­bi­to spor­ti­vo un in­sul­to ge­ne­ri­co ci può anche stare». Quin­di negro, fi­noc­chio o fi­glio di mi­gnot­ta gli suo­ne­reb­be­ro più spe­ci­fi­ci? Mannò, non avete ca­pi­to. Il fatto è che «la pro­ve­nien­za igno­ta, at­tra­ver­so nic­k­na­mes più o meno plau­si­bi­li, non ag­giun­ge ma to­glie ca­ri­ca ri­spet­to alle of­fe­se che hanno nome e co­gno­me di chi le ma­ni­fe­sta». Quin­di, se pro­prio do­ve­te vio­la­re la legge, fa­te­lo a volto co­per­to che è meno grave. E in­fat­ti ra­pi­na­to­ri e ter­ro­ri­sti pro­prio per que­sto si ca­la­no il pas­sa­mon­ta­gna.
Giuro che si­no­ra non ho in­ven­ta­to nulla. Ma il bello viene ades­so. Un gol par­ti­ta in ro­ve­scia­ta. Sì perché, se­con­do Pa­le­stra, tutto nasce da «un in­ter­ven­to che il Pe­luc­chi aveva (im­pru­den­te­men­te?) ri­te­nu­to di fare sullo stes­so sito, met­ten­do­si così – se il pa­ra­go­ne regge… – nelle con­di­zio­ni di chi si mette a cor­re­re per stra­da du­ran­te la festa di Pam­plo­na, e non può la­men­tar­si più di tanto se qual­che toro fi­ni­sce per in­cor­nar­lo». Lui, quel gran cor­nu­to di Pe­luc­chi.
No, caro giu­di­ce, non regge pro­prio. Mia o sua zia pos­so­no dire «te la sei cer­ca­ta». Un ma­gi­stra­to do­vreb­be cer­ca­re altro. Ma­ga­ri il senso delle cose, i pre­ce­den­ti (gli stri­scio­ni allo sta­dio «Pe­luc­chi in­fa­me», per esem­pio) o il ri­spet­to delle leggi anche quan­do la quan­tità di escre­men­ti è mo­di­ca o tenue. Ma do­vreb­be so­prat­tut­to evi­ta­re or­di­nan­ze di co­lo­ri­tu­ra fu­tu­ri­sta, nel senso let­te­ra­rio del ter­mi­ne na­tu­ral­men­te, che certo sa­reb­be­ro pia­ciu­te a Ma­ri­net­ti ma a noi un po’ meno. Pa­ro­li­be­re, le de­fi­ni­va il poeta. «Ma­na­te di pa­ro­le es­sen­zia­li senza alcun or­di­ne con­ven­zio­na­le. Unica pre­oc­cu­pa­zio­ne del nar­ra­to­re ren­de­re tutte le vi­bra­zio­ni del suo io» . Palla, ri­pal­la, ar­ra­pal­la, pal­let­ta, pa­le­stra, pal­lac­cia, eia eia pal­lillà.

Andrea Monti

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IL CASO ULTRA’ Il giudice di Bergamo scrive alla Gazzetta
Caro Direttore, quel “tenue” è giusto

Massimo Meroni

Massimo Meroni

Egre­gio Di­ret­to­re
Il suo ar­ti­co­lo del 6-4-2016, ti­to­la­to «Il cro­ni­sta e il giu­di­ce fu­tu­ri­sta: i ti­fo­si dell’Ata­lan­ta e gli in­sul­ti a Pe­luc­chi», non con­sen­te al let­to­re di com­pren­de­re ve­ra­men­te la vi­cen­da e il si­gni­fi­ca­to della de­ci­sio­ne del giu­di­ce.
In realtà il dot­tor Pa­le­stra, con una de­ci­sio­ne, con­di­vi­si­bi­le o meno (pe­ral­tro in ac­co­gli­men­to di una ri­chie­sta dell’Uf­fi­cio della Pro­cu­ra), ma cer­ta­men­te ar­ti­co­la­ta e non già li­mi­ta­ta alle fra­set­te a ef­fet­to estra­po­la­te dal con­te­sto e ri­por­ta­te nel suo ar­ti­co­lo, non ha per nien­te sta­tui­to che i gra­tui­ti in­sul­ti di pseu­do ti­fo­si ata­lan­ti­ni, lan­cia­ti a mezzo In­ter­net nei con­fron­ti del dot­tor Pe­luc­chi, non co­sti­tuis­se­ro dif­fa­ma­zio­ne, ma anzi ha sta­tui­to esat­ta­men­te il con­tra­rio e cioè che erano dif­fa­ma­to­ri ma, sic­co­me si trat­ta­va di fatto di scar­sa of­fen­si­vità (sul punto la sua fa­ci­le iro­nia con ri­guar­do al pro­dot­to dell’in­te­sti­no tenue vo­glio spe­ra­re sia solo frut­to di igno­ran­za della norma, che parla ap­pun­to di «te­nuità» dell’of­fe­sa), il pro­ce­di­men­to ve­ni­va ar­chi­via­to (ma, si badi bene, iscrit­to come pre­ce­den­te nel ca­sel­la­rio giu­di­zia­le), come pre­vi­sto dall’ar­ti­co­lo 131 bis del co­di­ce pe­na­le, non re­pu­tan­do­si op­por­tu­no met­te­re in piedi un pro­ces­so pe­na­le che, nel mi­glio­re dei casi, si sa­reb­be con­clu­so con una con­dan­na, quasi cer­ta­men­te so­spe­sa, al pa­ga­men­to di una multa nell’or­di­ne di qual­che cen­ti­na­io di euro (fermo re­stan­do che il dot­tor Pe­luc­chi ha sem­pre di­rit­to di chie­de­re il ri­sar­ci­men­to dei danni a co­lo­ro che lo hanno in­sul­ta­to).
Credo che qua­lun­que per­so­na di buon senso, a fron­te dell’enor­mità del ca­ri­co gra­van­te sulla giu­sti­zia pe­na­le (sol­tan­to a Ber­ga­mo ogni anno ven­go­no aper­ti in Pro­cu­ra circa 30.000 nuovi pro­ce­di­men­ti pe­na­li), possa ri­te­ne­re che per un «uomo di merda» (et si­mi­lia) lan­cia­to in In­ter­net sia suf­fi­cien­te la sud­det­ta rea­zio­ne da parte dello Stato (che in ogni caso, come detto, non pre­clu­de né li­mi­ta in alcun modo il di­rit­to al ri­sar­ci­men­to dell’in­sul­ta­to), senza pro­ce­de­re alla fu­ci­la­zio­ne, anche se la vit­ti­ma dell’in­sul­to è un gior­na­li­sta e non un cit­ta­di­no qua­lun­que.
È però dav­ve­ro sin­go­la­re che pro­prio lei, si­gnor Di­ret­to­re, men­tre si la­men­ta che non sia stata ade­gua­ta­men­te ri­co­no­sciu­ta e pu­ni­ta una dif­fa­ma­zio­ne nei con­fron­ti di un gior­na­li­sta, in­dul­ga al di­leg­gio gra­tui­to e cer­ta­men­te of­fen­si­vo nei con­fron­ti del giu­di­ce che avreb­be «con­qui­sta­to un posto di ri­lie­vo nella spe­cia­le clas­si­fi­ca di chi la spara più gros­sa», «evi­den­te­men­te un tipo atle­ti­co perché è un vero ca­po­can­no­nie­re della pa­ro­la in li­bertà», che scri­ve sen­ten­ze «con com­men­ti stram­pa­la­ti» o or­di­nan­ze «dal sa­po­re fu­tu­ri­sta».
O forse no, non è sin­go­la­re, di­men­ti­ca­vo che lei ha giu­sta­men­te eser­ci­ta­to il suo di­rit­to di li­bertà di opi­nio­ne, pec­ca­to sol­tan­to che a volte qual­che gior­na­li­sta ri­ten­ga che que­sto sia un di­rit­to esclu­si­vo della ca­te­go­ria.

Massimo Meroni
Procuratore della Repubblica di Bergamo

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CASO ULTRA’ La replica del direttore
Caro giudice, minimizzare è sbagliato

Gazzetta dello SportPren­do vo­len­tie­ri atto della ret­ti­fi­ca del giu­di­ce Me­ro­ni. Benché non pro­ven­ga dall’aven­te di­rit­to – che è il giu­di­ce Pa­le­stra – la pub­bli­co nelle mo­da­lità e con il ri­sal­to pre­vi­sto dalla legge. Ac­cet­to pure, senza nulla con­te­sta­re, quan­to si evin­ce dal testo. E cioè che la mia prosa «non con­sen­te al let­to­re di com­pren­de­re la vi­cen­da», che ri­por­to «fra­set­te a ef­fet­to estra­po­la­te dal con­te­sto» e che in­dul­go «al di­leg­gio gra­tui­to e cer­ta­men­te of­fen­si­vo» anche se, data la pro­fes­sio­ne dello scri­ven­te, que­sto pas­sag­gio non mi la­scia af­fat­to tran­quil­lo, visto che suona come an­ti­ci­pa­zio­ne di giu­di­zio e isti­ga­zio­ne alla que­re­la.
Mi li­mi­to sem­pli­ce­men­te a ri­ba­di­re la que­stio­ne di so­stan­za sol­le­va­ta dal mio edi­to­ria­le. Non con­te­sto l’ar­chi­via­zio­ne fon­da­ta sulla «te­nuità» dell’in­sul­to «uomo di merda». Ri­le­vo in­ve­ce che il tono ge­ne­ra­le della mo­ti­va­zio­ne su cui si regge e al­cu­ne delle frasi pe­san­te­men­te iro­ni­che ivi con­te­nu­te, non ten­go­no alcun conto del con­te­sto in cui la tenue vi­cen­da pro­ces­sua­le avreb­be do­vu­to es­se­re col­lo­ca­ta. Anzi, suo­na­no come una mi­ni­miz­za­zio­ne inac­cet­ta­bi­le del clima in­ti­mi­da­to­rio in­stau­ra­to da al­cu­ni grup­pi ultrà ber­ga­ma­schi nei con­fron­ti dei media. E non sol­tan­to di quel­li. Da anni, que­sti grup­pi rap­pre­sen­ta­no un con­cla­ma­to pro­ble­ma di or­di­ne pub­bli­co. Da anni, la Gaz­zet­ta e altri or­ga­ni di stam­pa, Pe­luc­chi e al­cu­ni suoi col­le­ghi, sono aper­ta­men­te in­sul­ta­ti e mi­nac­cia­ti. Da al­tret­tan­ti anni, i no­stri espo­sti alla ma­gi­stra­tu­ra quan­do non ri­man­go­no senza ri­spo­sta si ri­sol­vo­no in ar­chi­via­zio­ni e pro­scio­gli­men­ti, senza mai ge­ne­ra­re al­me­no un pub­bli­co di­bat­ti­men­to. Pro­pon­go a puro scopo do­cu­men­ta­rio due im­ma­gi­ni elo­quen­ti: per san­zio­na­re que­ste scrit­te mi­nac­cio­se non è stato di­spo­sto nep­pu­re un daspo benché l’espo­si­zio­ne di tali stri­scio­ni sia espres­sa­men­te vie­ta­ta dalla legge.
Chie­do in co­scien­za ai ma­gi­stra­ti di Ber­ga­mo – per cui nutro il ri­spet­to as­so­lu­to che è do­vu­to alle isti­tu­zio­ni – se dav­ve­ro ri­ten­ga­no che Pe­luc­chi e i suoi col­le­ghi pos­sa­no sen­tir­si ade­gua­ta­men­te tu­te­la­ti quan­do si re­ca­no allo sta­dio (ma anche a casa alla sera, pur­trop­po). E se sia cor­ret­to pa­ra­go­na­re un cro­ni­sta che fa il suo me­stie­re, de­nun­cian­do scan­da­li, par­ti­te ven­du­te e tifo vio­len­to a «chi si mette a cor­re­re per le stra­de di Pam­plo­na e non può la­men­tar­si più di tanto se un toro fi­ni­sce per in­cor­nar­lo».

Andrea Monti

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