Il settimanale diocesano nato nel 1926 è vivo e vegeto, altro che da “rottamare”

Udine ha bisogno della sua “Vita Cattolica”

Vita CattolicaUDINE – Un progetto concepito 90 anni fa può essere ancora d’attualità oggi, quando uno dei verbi più di moda è «rottamare»? Se guardiamo alla storia de «la Vita Cattolica» dobbiamo rispondere senza dubbio di sì. Un giornale così era sicuramente necessario e atteso in quel lontano 10 gennaio del 1926 quando il primo numero uscì (appena 4 pagine, ma il primo passo di una avventura che ha cambiato la storia del Friuli), ma è altrettanto necessario per l’oggi del popolo friulano.
Tempi difficili, sia quelli di ieri che quelli di oggi. All’alba del 1926, sulla diocesi di Udine che cercava di lasciarsi alle spalle le conseguenze della terribile Grande Guerra, incombeva quello scontro di ideologie che avrebbe funestato tutto il resto del «secolo breve». Ai primi fermenti socialisti nelle campagne e nelle fabbriche faceva da contrappunto la rapida ascesa dell’ideologia fascista.
Un manipolo di laici (il nostro settimanale diocesano, infatti, non nasce come espressione della Curia o del clero, ma dall’intuizione dell’Azione Cattolica diocesana) decise che, in quel frangente (e in quelli ben più tragici che sarebbero venuti, e che i più intellettualmente accorti già presentivano), non si poteva lasciare campo libero alla propaganda dei ben finanziati mass media liberali e massonici, e nemmeno al movimentismo fascista e socialista. Non poteva mancare la voce dei cattolici friulani. E questi due aggettivi, nell’intuizione dei fondatori, andavano necessariamente a braccetto.
Così vedeva, infatti, «la Vita Cattolica», il suo primo direttore, don Olivo Comelli: «Una rassegna dei più importanti avvenimenti religiosi, sociali e politici dal punto di vista cattolico, avuto riguardo di quelli che più interessano il nostro Friuli». Occorreva certo una voce cattolica, ma era altrettanto necessario che ciò si realizzasse «da friulani», a partire dalle peculiarità della nostra cultura, della nostra lingua friulana, della struttura sociale di un Friuli legato alla terra e ad un tessuto di piccole comunità e paesi.
C’erano molti dubbi sul fatto che l’impresa potesse riuscire. Ma il giornale andò e divenne protagonista nell’opinione pubblica friulana. Oggi possiamo dire che «la Vita Cattolica» ha tenuto fede con onore per 90 anni al suo mandato fondativo. Tenne testa come si poteva al fascismo; lanciando messaggi di umanità e di speranza nel futuro preparò, sotto il tallone del Terzo Reich, il momento della liberazione; difese nel dopoguerra la libertà dal pericolo di una nuova ideologia totalitaria; seguì la rinascita del Friuli ma anche il dramma e le esigenze dei tanti emigranti; denunciò l’emarginazione e l’arretratezza delle campagne e della montagna. Le grandi battaglie per una ricostruzione post-terremoto rispettosa della cultura e della storia delle comunità coinvolte, per la nascita dell’Università del Friuli, per la tutela della lingua e della cultura friulana, per una informazione Rai meno triestinocentrica, per difendere il territorio da progetti di mero sfruttamento economico sono le grandi perle di questa lunga storia. Senza dimenticare il quotidiano impegno per far emergere nelle cronache la vivace vita delle comunità cristiane e delle «periferie», come direbbe Papa Francesco, a partire dalla montagna e dai piccoli paesi.
Battaglie, queste ultime, tutte ancora attuali. Anche le grandi conquiste del ‘900 per i friulani, sono oggi costantemente minacciate da orientamenti culturali, economici e politici che le mettono costantemente in discussione. Una visione prevalente sostiene che alla globalizzazione si può rispondere solo con l’accentramento verticistico dei poteri decisionali, la riduzione dell’autonomia decisionale dei poteri locali, siano essi politici che economici.
Le riforme istituzionali in atto, che diminuiscono la rappresentanza democratica e cancellano il Friuli suddividendolo in 17 entità amministrative privandolo di una unitaria espressione istituzionale, e quelle economiche che vanno all’attacco di ciò che resta dell’autonomia finanziaria locale (le Banche di credito cooperativo), ne sono una efficace espressione.
L’autonomia dell’Università del Friuli e la sua rispondenza all’originaria missione di riscatto dopo le distruzioni del terremoto, la promozione e la tutela della lingua e delle cultura friulana, il tema dell’informazione pubblica Rai sbilanciata verso Trieste, la difesa delle comunità locali alle quali si deve il «miracolo» di una vincente ricostruzione post-terremoto, sono tutte sfide apertissime. E accanto ad esse altri grandi nodi stanno arrivando al pettine: la pesante denatalità, che rischia di far letteralmente scomparire il popolo friulano; l’eclisse della famiglia, da sempre culla e motore dell’identità friulana, sempre più fragile e confusa con altre forme di convivenza caratterizzate da ben minore forza progettuale e stabilità; la nuova emigrazione, che vede la nostra gioventù (spesso il fior fiore, la parte meglio formata e più motivata) prendere la strada di qualche paese estero, privando il Friuli di forze e intuizioni essenziali; la desertificazione della montagna, una parte tanto rilevante per gli equilibri del Friuli, non solo per incidenza geografica ma anche culturale e sociale.
Per tutte queste sfide, e per tante altre, garantiamo ai friulani il nostro impegno. Tutto ciò è ispirato e rafforzato dal nostro essere settimanale della Chiesa Udinese, dalla nostra prima missione: far sì che il messaggio del Vangelo di Gesù Cristo, che ha permeato così a fondo la storia e la cultura del Friuli, continui ad operare in mezzo a noi e ad orientare le scelte della nostra società.
Si potrebbe obiettare che, nell’era di internet, c’è un sufficiente pluralismo di opinioni da rendere superfluo questo impegno informativo della Chiesa Udinese. Ma ciò solo in apparenza e superficialità: i numeri dell’informazione in Friuli-V.G. parlano di un sostanziale duopolio (i quotidiani del gruppo Espresso e i notiziari della Rai), ma che a causa della tendenza dell’informazione pubblica ad accodarsi alle gerarchie di notizie scelte da «Piccolo» e «Messaggero Veneto», somiglia spesso a un monopolio.
Chi vuole leggere qualcosa «fuori dal coro», sia sulla carta stampata che sul web, ha a disposizione «la Vita Cattolica» e non molto altro. Sempre meno, perché la gravissima crisi dell’editoria ha spento molte voci e altre rischiano di dover tacere nel breve periodo. Anche la nostra voce ha bisogno più che mai del sostegno dei suoi lettori, economico tramite gli abbonamenti e gli acquisti in edicola, ma ancor di più attraverso un costante confronto di idee, che oggi ha a disposizione molti canali sul web e sui social network.
Il Friuli ha bisogno de «la Vita Cattolica» e il settimanale diocesano, in questi tempi difficili, ha bisogno più che mai di lettori attenti e partecipi. Come fu in quel lontano e difficile 1926.

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