Il Garante per la Privacy: “La minaccia cibernetica, la sfida più temibile per gli Stati”

“Internet ha sempre più potere, anche politico”

Antonello Soro

Antonello Soro

ROMA – “Siamo perennemente connessi e siamo disposti, spesso inconsapevolmente, a consegnare informazioni in cambio di vantaggi o comodità. Quasi attoniti davanti alla ‘grande fiera delle meraviglie’ dei prodotti digitali”. Parola di Antonello Soro, Garante per la Privacy.
Riportiamo, di seguito, i passi salienti della relazione del Garante per il 2013:
“Quelle cedute però non sono soltanto le nostre generalità, ma la radiografia completa di interessi, opinioni, consumi, spostamenti, in sostanza pezzi della nostra vita che come tessere di un mosaico si scompongono e ricompongono per formare il nostro profilo identitario. Lo spazio digitale non è una realtà parallela, ma la dimensione in cui si dispiega una parte sempre più importante della vita reale. Ogni gesto quotidiano lascia tracce digitali che nessuno potrà far scomparire.
I giganti di Internet tendono ad occupare, in modo sempre più esclusivo, ogni spazio di intermediazione tra produttori e consumatori, assumendo un potere che inesorabilmente si traduce anche in un enorme potere politico.
Un potere sottratto a qualunque regola democratica. La delicatezza dei dati raccolti e archiviati in giganteschi server e la capacità di analizzare comportamenti individuali e collettivi elaborando miliardi di informazioni è tanto più evidente se si riflette sull’intreccio pericoloso, che il Datagate ha soltanto portato alla luce, e che può realizzarsi ogni giorno, tra aziende digitali e spionaggio.
I dati collezionati per finalità commerciali diventano sempre più interessanti anche per fini di sicurezza, a cui sono ormai irreversibilmente intrecciati.
Ancora più delicato è il potere che si concentra nelle mani delle grandi aziende che dispongono di un patrimonio informativo immenso e poggiano le loro attività quasi esclusivamente sul valore dei dati.
Le rivelazioni di Edward Snowden hanno rilanciato l’esigenza di porre la tutela dei dati a fondamento dello statuto di cittadinanza, perchè in un mondo segnato dall’incontenibile affidamento alla tecnologia di parti essenziali della nostra esistenza, proteggere i nostri dati significa proteggere la nostra vita e la nostra libertà.
Le vicende internazionali sullo spionaggio informatico e l’indignazione che ne è seguita hanno rappresentato l’occasione per una grande nuova consapevolezza dei diritti ma, insieme, un elemento di rottura che ha aperto molte dispute sul terreno giuridico, politico, nei rapporti tra Stati e ha seriamente compromesso la fiducia dei cittadini per le innovazioni legate alla rivoluzione digitale.
Il diritto alla riservatezza, tradizionalmente inteso come diritto a tutelare la vita intima dalle diverse ingerenze, ha assunto, nel mondo nuovo pervaso e condizionato dalle tecnologie, un profilo sempre più connesso alla dignità della persona, quale sintesi delle libertà che ci appartengono: libertà di scegliere, di non essere omologati, di non essere controllati, di esprimere spontaneamente la nostra creatività.
Maturano in rete nuove forme di criminalità, dal furto di identità, fino alla più organizzata criminalità cibernetica. E’ una emorragia stimata in 500 miliardi di dollari l’anno tra identità violate, segreti aziendali razziati, portali messi fuori uso e moneta virtuale sottratta.
Le violazioni troppo spesso coinvolgono sistemi vulnerabili perché non aggiornati e siti programmati senza i migliori standard di sicurezza. Si pensi alla recente falla Heartbleed che ha messo a rischio le informazioni personali di milioni di navigatori (incluse password, numeri della carta di credito, account bancari), e compromesso i servizi Internet utilizzati quotidianamente, dalla posta elettronica ai social network.
Il Datagate ha rappresentato un punto di non ritorno nel rapporto tra privacy e sicurezza. Quasi specularmente opposto a quell’11 settembre, che così profondamente aveva mutato la percezione delle nuove minacce, inducendo tolleranza per crescenti limitazioni della liberta’ in nome di un’idea, rassicurante sebbene illusoria, della sicurezza.
Le rivelazioni su Prism – aggiunge Soro – hanno dimostrato quanto possa essere rischiosa per la democrazia la combinazione in un unico Paese, ancorché democratico, tra concentrazione dei principali provider e leggi emergenziali contro il terrorismo. Rischi, questi, ulteriormente aggravati dalla vulnerabilità dei sistemi informatici cui sono affidati, assieme alle comunicazioni, interi pezzi della vita di ciascuno, resi accessibili alle agenzie d’intelligence da norme ispirate alla logica autoritaria dell’ ‘uomo di vetro’, secondo cui chi non ha nulla da nascondere non ha neanche nulla da temere.
La minaccia cibernetica costituisce oggi la sfida più temibile per gli Stati. Una strategia di difesa davvero efficace presuppone allora un’adeguata selezione degli obiettivi da controllare e dei dati da acquisire, nonché l’adozione di cautele utili a garantire la sicurezza dei sistemi.
Ci siamo impegnati per assicurare la nostra funzione anche nel contesto dell’intelligence, tradizionalmente caratterizzato dalla recessività dei diritti individuali rispetto alle esigenze di sicurezza nazionale. Soprattutto alla luce dell’attribuzione ai Servizi di specifiche competenze in questa materia e, dunque, del contestuale ampliamento dei loro poteri di accesso sistematico a tutti i database pubblici e privati”.

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