Al Tribunale di Palmi dichiarazione spontanee del giornalista accusato di ricettazione

Pantano alla sbarra, ma manca il corpo del reato

Spanò, Corso e Pantano davanti al Tribunale di Palmi

Spanò, Corso e Pantano davanti al Tribunale di Palmi

PALMI (Reggio Calabria) – Il teste si è presentato ma, questa volta, mancava il corpo del reato. Nuovo clamoroso colpo di scena nel processo al cronista Agostino Pantano, che risponde davanti al Tribunale di Palmi del reato di ricettazione, dopo un’inchiesta giornalistica sullo scioglimento per mafia del Consiglio comunale di Taurianova, pubblicata nel lontano 2010.
Rocco Biasi, assessore provinciale di Reggio Calabria, questa volta si è presentato in aula – chiamato a testimoniare dalla Procura -, al contrario di quanto aveva fatto nel gennaio scorso, quando aveva mancato di partecipare all’udienza dichiarandosi impossibilitato per via di una vacanza “programmata da diverso tempo”. Il politico, la cui querela nei confronti di Pantano era stata archiviata nel 2011 – nel primo giudizio a cui è stato sottoposto il giornalista per gli stessi articoli – ha definito nuovamente “una saga diffamatoria” l’inchiesta pubblicata su 12 numeri del giornale Calabria Ora, venendo richiamato più volte dal giudice che lo ha invitato a “non fare valutazioni personali” e a non consultare durante l’escussione “atti che non sono stati immessi in questo procedimento”.
Sul reato della ricettazione, di cui Pantano è imputato in questo secondo processo – diventato un caso giudiziario fra i più paradossali, grazie alle denunce pubbliche della Federazione Nazionale della Stampa –, l’assessore non ha potuto fornire informazioni “visto che fra l’altro – ha sottolineato il giudice – non è stato sentito durante le indagini”, limitandosi a raccontare due fatti che, al contrario, sembrano supportare la difesa di Pantano.
“Per i reati che il giornalista quasi mi addebitava nei suoi articoli – ha dichiarato Biasi – io non ho mai ricevuto alcuna comunicazione dalla Procura”. Particolare questo che confermerebbe come i servizi del giornalista, che nascevano da informazioni assunte con la lettura della Relazione della Commissione d’accesso prefettizia, non abbiano affatto ostacolato indagini antimafia in corso. Ma, in un secondo caso, il racconto dell’ex sindaco taurianovese è apparso lacunoso, quando Biasi ha riferito di avere chiesto alla Prefettura di poter avere copia del documento “dopo aver letto gli articoli di giornale”, circostanza temporale che l’avvocato Claudio Novella ha confutato, chiedendo l’acquisizione della nota con cui l’Ufficio di governo respingeva l’istanza, sottolineando come quest’ultima fosse stata presentata molto prima della pubblicazione dei servizi giornalistici, ovvero subito dopo il decreto di scioglimento del 2009.
Per stabilire se quella Relazione fosse secretata o no, il pubblico ministero non ha trovato nel suo fascicolo la copia degli articoli incriminati, indispensabili per capire quali passaggi il giornalista avrebbe riportato dal documento. Essi, si è scoperto nell’imbarazzo generale, non sono stati fin qui immessi in maniera chiara nel procedimento, infatti figurano ancora come allegati alla vecchia querela di Biasi, ragion per cui il giudice ha ordinato alla Procura di provvedere per la prossima udienza a presentarli come “corpo del reato autonomo”.
Su richiesta dell’avvocato Salvatore Costantino, infine, il giudice ha autorizzato Pantano a rendere le sue dichiarazioni spontanee, particolarmente attese anche in ragione del fatto che il giornalista non era stato mai interrogato durante l’indagine, e fin li sembrava che la Procura non manifestasse l’intenzione di volerlo sentire quale imputato.
“In questo processo – ha detto, tra l’altro, Pantano – si è voluto equiparare la condotta di un cronista, che un giudice ha già definito figlia dell’esercizio di un diritto costituzionale, all’odiosa azione del favoreggiatore di un crimine comune che, a sua volta, compie un altro delitto di tipo predatorio contro le cose: la ricettazione, appunto. Ebbene sul punto del «profitto» che, secondo l’accusa, io avrei tratto con la pubblicazione di quegli articoli, dico che per un giornalista l’unico profitto possibile è quello di poter fare il proprio lavoro con un contratto legale e stabile, come era per me a quel tempo, di essere pagato da un giornale, come era per me a quel tempo, e di ricercare la verità da offrire ai cittadini nel nome di un dovere che abbiamo: come è stato per me a quel tempo”.
“Non si può processare un’inchiesta giornalistica antimafia – ha detto ancora Pantano – e, soprattutto, non lo si può fare se, come nel mio caso, essa non ha ostacolato la giustizia, non ha impedito l’azione penale, non ha favorito mafiosi e corrotti interrompendo indagini in corso. Io ho scritto ad un anno dallo scioglimento per mafia di quel Consiglio comunale. Sono stato attento ai tempi. Ho usato diligenza e ho selezionato le notizie. Ho approfondito notizie che in parte erano già uscite. In questo processo non mi si contesta il contenuto di quegli articoli, ma si tenta di reprimere la modalità corretta dell’essere giornalisti in terre di mafie”.
Il giudice ha aggiornato il processo al prossimo 14 luglio, per le conclusioni affidate alla requisitoria del Pm e all’arringa della difesa. Per l’udienza di oggi, l’emittente televisiva regionale calabrese LaC aveva chiesto l’autorizzazione formale ad effettuare delle riprese filmate del dibattimento, non ricevendola.
Per esprimere sostegno al giornalista impegnato contro un’accusa che gli fa rischiare una condanna fino a 8 anni di carcere, infine, hanno seguito l’udienza il referente di Reggio Calabria dell’associazione Libera, Francesco Spanò, e la delegata della start up etica “Cosa Vostra”, Immacolata Corso.

 

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