Dopo 8 anni di odissea giudiziaria la Cassazione rende giustizia a Paola Abenavoli

Licenziamento illegittimo: Finedit condannata

Paola Abenavoli

Paola Abenavoli

ROMA – Dopo otto anni di lunga battaglia giudiziale, si conclude positivamente per la giornalista Paola Abenavoli la vicenda che l’ha vista contrapposta alla Finedit – Finanziaria Editoriale srl di Castrolibero. La Corte di Cassazione ha, infatti, confermato la sentenza dell’11 marzo 2014, emessa dalla Corte di Appello di Catanzaro, che annullava – come nella sentenza di primo grado – il licenziamento “per giusta causa” della giornalista da parte della Finedit, editrice de “Il Quotidiano della Calabria”, avvenuto nell’agosto 2009.
Una lunga vicenda che ha riguardato Paola Abenavoli, giornalista professionista dal 2002, assunta da “Il Quotidiano della Calabria” nel 2000 e licenziata appunto nel 2009, e alla quale circa due anni prima, nell’ottobre 2007, era già stata tolta la qualifica di caposervizio della redazione di Reggio Calabria, ricoperta per 6 mesi (questione anch’essa inserita nell’ambito del procedimento e anch’essa risoltasi a favore della giornalista, con il riconoscimento della qualifica stessa).
Il seguito è agli atti del processo: due trasferimenti, prima a Siderno, poi a Crotone, intervallati da contestazioni, impugnazioni e provvedimenti giudiziari. Una prima vittoria arriva nel 2013, con l’annullamento del licenziamento, da parte del giudice del lavoro del Tribunale Ordinario di Cosenza, che ordinava alla Finedit di reintegrare la giornalista nella redazione di Reggio Calabria con la qualifica di caposervizio e condannava l’azienda al risarcimento del danno, nonchè al pagamento delle differenze retributive previste dal contratto nazionale di lavoro giornalistico per la qualifica di caposervizio.
Nel 2014 la Finedit veniva condannata anche in appello, ma le spettanze dovute non sono mai state erogate alla giornalista, mentre il reintegro da parte dell’azienda è avvenuto, in realtà, solo nel luglio 2014, per pochi mesi, prima della messa in cassa integrazione dell’Abenavoli, insieme ad altri giornalisti, e poi del licenziamento della giornalista e degli altri colleghi, nell’ottobre del 2016. Nel frattempo, la Finedit ha portato la questione davanti alla Corte di Cassazione (Vincenzo Di Cerbo presidente, Paolo Negri Della Torre relatore, Laura Curcio, Federico Balestrieri, Adriano Piergiovanni Patti consiglieri) che, udito il Pm Paola Mastrobernardino, ha rigettato in toto le contestazioni dell’azienda, ritenendole inammissibili, e condannato la stessa al pagamento delle spese legali ammontanti a 5.200 euro, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge. Dunque, una lunga battaglia conclusasi con la vittoria della giornalista, difesa dall’avvocato Ferdinando Salmeri.
Corte di Cassazione«Non ho mai voluto parlare pubblicamente, in questi otto anni, della mia vicenda lavorativa e della questione giudiziaria che ne è scaturita, avendo rispetto per il procedimento in corso e per il lavoro della magistratura. Oggi – afferma Paola Abenavoli – dopo otto anni, posso farlo: otto anni durante i quali ho voluto difendere la mia dignità, lavorativa e umana. In pochi hanno compreso veramente la mia battaglia: o meglio, ne hanno avuto timore. E, in questo, includo principalmente i colleghi giornalisti, senza distinzione di testata, e con pochissime eccezioni, che si contano sulle dita di una mano. Perchè la contraddizione principale della nostra categoria è quella di ergerci a difensori delle ingiustizie a livello lavorativo che riguardano altri comparti, ma di non guardare mai a cosa succede nel nostro. Molti hanno pensato che difendere i diritti, la dignità del lavoro fosse una battaglia del singolo, che non tocca gli altri: salvo poi ricredersi, quando la questione li ha riguardati da vicino. In realtà, è una battaglia che riguarda tutti, tutto il comparto e in generale il mondo del lavoro, ma che evidentemente pochi hanno il coraggio, la forza di combattere, rinunciando ai compromessi con sé stessi, al desiderio di visibilità che prevale su ogni cosa, al narcisismo della firma».
«Oggi posso dire non solo di aver vinto la mia battaglia per la difesa di un diritto, ma anche di aver avuto ragione a sostenere una scelta che ha messo davanti a tutto la parola dignità, e di essere fiera di averlo fatto, nonostante gli ostracismi o l’indifferenza di una parte del settore nel quale a volte fatico a riconoscermi, tra egoismi, egocentrismi e amore per l’apparenza dei social. Un giornalismo lontano da quello al quale mi sono sempre ispirata, ai principi che mi sono stati insegnati dai grandi maestri che ho avuto: persone come Ugo Ronfani, Gino Pallotta, Paolo Conti, ed un lungo elenco di altri giornalisti per i quali questo mestiere non era – e non è – la nostra faccia o la nostra firma, ma la notizia, scevra da commenti o personalismi».
“Un giornalismo – prosegue Paola – nel quale ho sempre creduto, che ormai si sta perdendo, che vede (in tutta Italia, nella carta stampata come nel mondo del web) la quantità prevalere sulla qualità del lavoro, sull’esperienza, e le parole “crisi”, “ottimizzazione”, “riduzione dei costi” ricadere sempre sui lavoratori».
«Dopo otto anni, dunque, – conclude Paola Abenavoli – questa battaglia finisce e desidero ringraziare quei (pochi) colleghi che hanno sempre mostrato la loro solidarietà e il Sindacato Giornalisti della Calabria, guidato da Carlo Parisi, che mi è stato a fianco in questo percorso. Una lunga battaglia che riguarda tutti, perchè – oggi forse più di ieri – la difesa del lavoro e della dignità dei lavoratori è la cosa più importante: e, come giornalisti, non dovremmo dimenticarlo mai». (giornalistitalia.it)

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Un commento

  1. Gianfranco De Franco

    Sono molto contento. Da consigliere del Sindacato Giornalisti della Calabria, con il Comitato di redazione dell’epoca abbiamo più volte, spesso anche con toni alquanto duri, strattonato azienda e direzione sulla vicenda. Sempre con l’appoggio determinante e convinto di Carlo Parisi. È, naturalmente, una vittoria di Paola, ma la sento (un tantino) anche mia.

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