Se prevarranno i modelli di Bruxelles l’ufficio stampa non avrà vita lunga

Legge 150, 14 anni di occasioni perdute

Gino Falleri

Gino Falleri

ROMA – Ha solo quattordici anni ed è già vecchia e decrepita. Stiamo parlando della celeberrima legge 150/2000 sulle “Attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni”, salutata non appena approvata dal parlamento, era il 7 giugno 2000, con grande entusiasmo. Mancava solo la Marcia trionfale dell’Aida per magnificarla per le occasioni di lavoro che avrebbe offerto ai giornalisti. Restate comunque allo status quo ante. Come peraltro il profilo dell’addetto stampa e la sua regolamentazione. Senza la Cgil la Fnsi non va lontano.
Senza dubbio la 150 è da considerare una legge innovativa con notevoli prospettive per quanto si riferisce alla comunicazione pubblica e ha, inoltre, istituito la figura del portavoce, già presente da anni nelle istituzioni dell’Unione europea e in molti paesi che ne fanno parte. Per quanto riguarda l’addetto stampa non è partita con il piede giusto. Il legislatore non ha imposto alla Pubblica Amministrazione nessun obbligo. Solo la possibilità di dotarsi di un ufficio stampa all’interno del quale debbono lavorare solo i giornalisti. Le regole per le relative dotazioni organiche fissate dalla stessa legge.
Non era il provvedimento che avrebbe voluto il Gus, il gruppo giornalisti uffici stampa, a cominciare dal verbo usato dal legislatore all’articolo 9. Alla Pubblica Amministrazione non si doveva conferire nessun potere discrezionale. E’ stato lo stesso Gus, fin dalla sua costituzione, ad auspicarla e suggerirla. La molla per tradurre le aspirazioni in una legge la diversa posizione contributiva tra professionisti e pubblicisti allorché questi venivano chiamati ad assolvere la funzione di addetto stampa dei Ministeri.
Il nodo da sciogliere era a quale istituto (Enpas, Inps o altro) dovessero essere versati i contributi previdenziali secondo l’elenco di appartenenza. Per i professionisti niente contratto giornalistico e contributi all’ente dei pubblici dipendenti. Di qui una proposta prettamente d’interesse dei giornalisti che per via del concerto, ogni ministero doveva dire la sua, è invece assurta a legge dei comunicatori.
Le sorprese sono arrivate nel momento di applicarla, dopo l’entrata in vigore del regolamento. La finalità principale dei proponenti, soprattutto del Gus, era quella di assorbire parte della disoccupazione. Non è stato così per una serie di ragioni mai chiarite. Solo ipotesi. Il risultato? Sono stati sistemati coloro che già prestavano la loro opera negli uffici stampa della Pubblica Amministrazione non iscritti all’albo per una discutibile delibera del Consiglio nazionale dell’Ordine a cui il Sindacato avrebbe dovuto opporsi. Non lo ha fatto. Perché?
La legge 69/63 all’articolo 45 non vieta l’esercizio della professione a coloro che sono senza il relativo titolo? La stessa legge non impone ai Consigli regionali, articolo 11, di vigilare per la tutela del titolo di giornalista e di svolgere attività diretta di repressione dell’esercizio abusivo della professione? E se l’attività dell’addetto stampa era ricongiungibile al giornalismo come mai sono stati privilegiati i non iscritti rispetto ai titolati?
Le leggi si propongono e si sostengono per risolvere i problemi che interessano parte o tutti i cittadini. E in questo caso erano i giornalisti. 
E’ stato detto che è vecchia e decrepita. Si potrebbe aggiungere che ha creato non pochi problemi a cominciare da quella circostanza, non secondaria, che all’interno della PA non si trovano mai le professionalità che ipotizzano gli amministratori, soprattutto quelli eletti. Poi si bandiscono concorsi ad hoc per favorire qualcuno, si irridono professionalità con proposte retributive in netta violazione dell’articolo 36 della Costituzione e si operano discriminazioni a danno dei pubblicisti, che nel pubblico da tempi remoti hanno dato ossatura all’ufficio stampa.
Basta scorrere le pagine dei giornali online giornalistitalia.it, giornalisticalabria.it o sui siti di Franco Abruzzo e della Fnsi per rendersi conto che la 150/2000 è una legge da riformare o da riscrivere su nuove basi. Per ora è fallimentare. 
Le notizie che vi compaiono sono da bollettino di guerra. Tutto negativo. Nello stesso tempo consentono a chi non ha dimestichezza con la burocrazia di comprendere che la PA è un muro di gomma.
Le leggi, talvolta, sono un optional e appare quanto mai salutare il proposito del governo Renzi di dare una bella scrollata alla burocrazia. E’ al servizio del governo e dei cittadini e non può costituire un freno.
 Con quanto precede non si vuole sostenere che non ci siano state iniziative, più locali che nazionali per correggere od indirizzare, nonché l’impegno del sindacato per risolvere singoli problemi. Ma quanto pesa? Preoccupante che non si riesca a livello nazionale a coinvolgere i sindacati confederali e le autorità politiche a sedersi intorno ad un tavolo. A sottoscrivere una direttiva comune per tutti e chi non la rispetta risponde delle sue azioni. Ci si può accontentare della redazione di due Carte dei doveri dell’addetto stampa e di qualche protocollo d’intesa che in genere resta sulla carta? Come peraltro non è stato ancora sciolto il nodo se la PA comunica o informa mentre i compiti dell’ufficio stampa, con la presenza delle tecnologie sempre più avveniristiche, non sono più quelli fissati dalla Direttiva Frattini.
Gli specialisti del settore parlano dell’ufficio stampa 2.0, che ha un contatto privilegiato con l’audience di riferimento, un dialogo senza intermediari, e l’addetto stampa 2.0, che costituisce una nuova figura professionale sia dal punto di vista metodologico che per i modelli di comunicazione. Per veicolare le notizie le affida alla rete, di conseguenza diventa editore di se stesso, mentre le notizie possono essere seguite e aggiornate. 
L’informazione – è bene ricordarlo – vuole la mediazione, l’intervento del giornalista. L’addetto stampa è libero di riferire, o meglio di raccontare secondo le tre “I”, quello che ritiene sia di interesse collettivo? Nella PA vige il principio gerarchico. Quindi si deve trovare un punto d’incontro.
In alcune regioni gli uffici stampa si sono trasformati in agenzie di informazione mentre nell’Unione si comunica, e quindi non si informa, con l’Ufficio del Portavoce, che parla in nome e per conto del vertice politico.
Dopo quattrodici anni una riflessione sulla 150/2000 e sul suo bilancio non sarebbe male poiché se prevarranno i modelli di Bruxelles l’ufficio stampa, come lo intendiamo noi, non avrà vita lunga. Se non altro perché già esistono gli Uffici per le relazioni con il pubblico che ambiscono, e non lo nascondono, a sostituirsi ad essi.

Gino Falleri
Presidente nazionale del Gus
Coordinatore Commissione Uffici Stampa Fnsi

 

 

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