Sentito nel processo per l’aggressione a Daniele Piervincenzi ed Edoardo Anselmi

Il pentito Cassia: “Gli Spada fanno paura a tutti”

Daniele Piervincenzi con Carlo Parisi, segretario generale aggiunto della Fnsi, prima di entrare in Aula al tribunale di Roma. Alle loro spalle Federica Angeli, anche lei nel mirino degli Spada

ROMA – «Gli Spada all’inizio, intorno al 2004, facevano principalmente attività di estorsioni contro i negozianti. Nel gergo dicevano metterli “sotto botta”: prestavano soldi a commercianti a tassi usurari impossibili da ripagare, quindi passavano alle minacce e intimidazioni, spezzavano gambe, ti bruciavano il negozio, fino a quando il commerciante era costretto a cedere loro l’attività. Poi hanno iniziato a diversi il territorio con gli altri clan per compiere le estorsioni, per esempio Piazza Gasparri apparteneva agli Spada. La gente a Ostia ha molta paura di loro, sono molto pericolosi e temuti, specie dai commercianti».
A parlare è Sebastiano Cassia, il primo pentito della nuova mafia romana, ascoltato a Roma al processo a carico di Roberto Spada e del 28enne di origini uruguaiane Ruben Alvez Del Puerto, accusati di lesioni personali e violenza privata aggravate dal metodo mafioso per l’aggressione al giornalista della trasmissione “Nemo – Nessuno escluso” Daniele Piervincenzi e all’operatore Edoardo Anselmi, avvenuta a Ostia lo scorso 7 novembre.
Il pentito, collegato in videoconferenza e già ascoltato come teste in passato anche nel processo di “Mondo di Mezzo”, traccia un quadro allarmante della situazione a Ostia e racconta il contesto, definito da lui stesso “mafioso”, in cui si vive nel litorale romano.
«Sono arrivato a Ostia negli anni ’90, quando ho conosciuto i Cuntrera, la famiglia siciliana attiva sul litorale laziale. I Triassi erano i loro luogotenenti, eseguivano i loro ordini ed erano potenti. Ma poi nel corso degli anni arrivò la “sorpresa” degli Spada, che anche grazie all’alleanza stretta con la famiglia Fasciani, diventati minoranza, sono diventati sempre più potenti, estromettendo del tutto i Triassi. Furono questi ultimi a chiedermi di sparare a qualcuno degli Spada per fermare la loro ascesa criminale, ma io non lo feci. Anche i Fasciani, nonostante l’alleanza, mi chiesero di intervenire contro gli Spada: davanti facevano gli amici, ma dietro in realtà covavano rancori per via delle piazze di spaccio che erano andate quasi totalmente agli Spada».
«Me lo presentò “zio Ciccio” (Francesco D’Agati, ndr) e Roberto subito mi disse che se mi serviva cocaina potevo rivolgermi a lui. Poi un’altra volta mi chiese di incontrarci per parlare di armi ma io non andai all’appuntamento. Sapevo che le armi gli servivano per espandersi nella gestione e spaccio della cocaina».
D’Agati, fratello del boss Giovanni, ritenuto capo del mandamento di Villabate, vicino Palermo, era riconosciuto da tutti come “il grande saggio”, quello «che cercava di fare da paciere in mezzo a queste faide, creare un qualche ordine. Lui era la “fonte di saggezza” – ha concluso Cassia – che riusciva a mettere d’accordo tutti».
«La gente a Ostia ha paura. Gli Spada fanno paura a tutti. Sono temuti soprattutto dai commercianti perché usano dei metodi molto violenti». Chiamato a illustrare il clima mafioso che da anni ha contaminato il litorale alle porte della Capitale, Cassia è partito dalle “origini” quando ha ricordato «che a metà degli anni Novanta c’erano a Ostia i Triassi, i luogotenenti della famiglia siciliana dei Cuntrera-Caruana, eseguivano i loro ordini ed erano potenti. Poi sono arrivati i Fasciani, vicini al gruppo di Michele Senese, che ad un certo punto hanno ritenuto più conveniente allearsi con gli Spada, gente di origine rom, perché erano diventati una minoranza. I Triassi vennero di fatto estromessi dal traffico di stupefacenti e i due gruppi hanno cominciato a spartirsi il territorio».
Il clan Spada, ha detto ancora Cassia, negli ultimi anni si è fatto sempre più potente: «All’inizio facevano i soldi con le attività di estorsione o prestando il denaro a tassi di usura. Chi non era in grado di onorare il debito saldandolo nei tempi concordati, veniva massacrato di botte. Se la vittima era un negoziante che non rispettava i patti, gli veniva tolto l’esercizio oppure dato alle fiamme. Gli Spada non perdono troppo tempo a minacciare o intimidire, passano subito per le vie di fatto. Per questo fanno paura».
Cassia ha ricordato che anche un suo ex cognato si fece prestare 20mila euro dal clan: «Gli Spada lo trattarono con riguardo solo perché era un mio parente». (agi)

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