Nella carriera del giornalista, scomparso a 90 anni, feroci polemiche e licenziamenti

Enzo Bettiza, conservatore coerente e inquieto

Enzo Bettiza

Enzo Bettiza

ROMA – Dire che in Italia non c’è giornalista – tra i meno giovani – che non abbia letto un articolo, un fondo, un editoriale di Enzo Bettiza non è un’esagerazione. Specie negli anni in cui dominava la Guerra fredda, in Europa c’erano più muri che oggi, e il comunismo sovietico era una presenza forte e in tanti ne erano attratti, qualunque cosa significasse nella realtà concreta per chi lo viveva in casa. Eppure lui quel comunismo lo criticava, e non poco. Anche a costo di vedersi sommergere da polemiche. Enzo Bettiza è morto, aveva compiuto da poco 90 anni.
A dare notizia della scomparsa del giornalista è stata La Stampa, quotidiano per il quale aveva a lungo lavorato offrendo le sue interpretazioni del sommovimento che scuoteva, dapprima lentamente e poi più forte, il vecchio continente. E La Stampa gli ha reso onore sottolineando che è stato “la prova vivente che, per diventare un grande del giornalismo, non serve far leva sulla simpatia: contano di più altre doti, professionali e umane. La coerenza con la propria storia, anzitutto”. E quella di Bettiza “è passata attraverso grandi drammi che ne hanno reso aspra, ironica e in qualche caso feroce la descrizione di come va il mondo”.
Profugo dalla Dalmazia (era nato a Spalato da una famiglia italiana dell’alta borghesia) quando non aveva ancora vent’anni sopravvisse per miracolo a una grave malattia. Campò di espedienti, fu anche contrabbandiere e venditore di libri a rate (come raccontò egli stesso) per sbarcare il lunario, sognando di diventare uno scrittore di successo.
Il suo cammino nel giornalismo iniziò con il settimanale “Epoca”, poi nel 1957 l’approdo a “La Stampa”, come corrispondente da Vienna e poi da Mosca. E nessuno come lui sapeva descrivere vicende e personaggi di una Mitteleuropa finita sotto il tallone sovietico.
Temperamento non facile da dominare, Bettiza nel 1964 entrò in conflitto con l’allora direttore Giulio De Benedetti, a sua volta poco incline al compromesso: ne scaturì il licenziamento del giornalista. Dopo trent’anni, però, Bettiza ritornò al quotidiano torinese, da editorialista e commentatore politico, senza più lasciarlo. In precedenza, tra il licenziamento e il ritorno, tra il 1964 e il 1994, ci fu il decennio al “Corriere della Sera”, da cui andò via in polemica con la svolta a sinistra voluta dall’allora direttore del quotidiano di via Solferino, Piero Ottone, e poi un decennio ad “Il Giornale”, che fondò nel 1974 con Indro Montanelli. Anche qui però la divisione, innescata dal giudizio su Bettino Craxi: Bettiza ne fu politicamente attratto, Montanelli per nulla.
Nella vita del giornalista scomparso c’è stata anche la parentesi parlamentare, tra le fila del Pli e poi del Psi, teorizzando in Italia l’incontro della cultura liberal con quella laburista. All’apparire della Lega Nord fu tra i pochi, nel giornalismo, a dare credito a Umberto Bossi. Un conservatore, Bettiza, ma non per questo non sapeva “leggere” i fenomeni e i momenti politici. (agi)

 

 

 

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